IV
Mille occhi, mille braccia
Mille occhi, mille braccia
«Dove diavolo sono andati a finire?» chiese il primo agente.
«Proprio in questo posto di merda dovevano entrare?» si lamentò il secondo.
«Faccio rapporto, tanto non li ritroviamo...»
Il secondo agente spense la torcia con un click.
«Riley a base, Evopoli, zona nord, distretto commerciale, edificio abbandonato, ex sede Team Galassia, abbiamo perso contatto con gli obiettivi alle quindici e zero due, sono entrati nel palazzo, non sappiamo da dove siano usciti, necessitiamo di una triangolazione satellitare al più presto, daremo aggiornamenti ogni dieci minuti, passo» disse il primo, in collegamento tramite un dispositivo.
«Usciamo di qui, Harper ci sta aspettando» esortò l’altro agente.
Si udì il suono della lampo di un piumino e i passi dei due individui divennero sempre più lontani, fino a sparire.
Poi, il silenzio perdurò per qualche gelido istante.
«Hanno un cazzo di satellite» esclamò Gold, rompendo la calma.
«Sono gli agenti delle squadre tattiche Faces, girano in incognito e servono a tenere d’occhio le situazioni di interesse» spiegò Kalut «ne ho dovuti seminare un paio ogni volta che mi sono incontrato con voi».
Ruby, Sapphire e Gold, in compagnia di Celia, Aurora e Kalut, i membri della Resistenza, avevano ascoltato gli agenti dalla stanza segreta del quarto piano dell’edificio del Team Galassia. Si erano occultati lì per rimanere in incognito e poter parlare fuori dalla portata di orecchie nemiche.
«Quindi la tua copertura è saltata?» domandò Aurora.
«Mi hanno tenuto d’occhio perché ero sospetto, ma non hanno ancora idea di chi sia» rispose lui, sicuro.
«Dobbiamo lavorare con questi alle costole?» chiese Ruby.
«Sono due anni che lavori con questi alle costole» gli disse Kalut.
Il Campione di Hoenn sorrise amaramente.
«Insomma, eravamo qui per una ragione...» cercò di fare il punto Aurora.
«La nevicata a luglio?» disse Gold.
«Sapete che cosa sta succedendo?» chiese Ruby, sperando che qualcuno gli concedesse maggiore chiarezza.
«Abbiamo delle informazioni» cominciò Aurora «da qualche mese teniamo d’occhio i movimenti di alcuni uomini che lavorano in incognito per la Faces...»
«Li pedinate come loro pedinano noi?» domandò Sapphire.
«Preferiamo combattere alla pari» ribatté Celia.
«In ogni caso, abbiamo seguito questa pista: agenti Faces con la passione per le scalate in montagna» continuò Aurora «non crederete mai a ciò che abbiamo scoperto poco tempo dopo».
«Scalavano montagne? Non capisco» borbottò Ruby.
«Hanno catturato migliaia di Pokémon di tipo Ghiaccio» chiarì Aurora «non è una stima approssimativa, se ne sono procurati in quantità incredibile. Hanno fatto in modo che il metodo di caccia non alterasse l’ecosistema distribuendolo tra territori diversi e catturando principalmente esemplari non a rischio... tutto con lo scopo di non essere individuati» proseguì.
«Hanno usato questi Pokémon per far scendere questo inverno?» chiese Sapphire, incredula.
«Vuoi sapere la cosa divertente? Non abbiamo idea di come abbiano fatto...» rivelò la ragazza «anche con tanti Pokémon di tipo Ghiaccio... nessuno sarebbe capace di concentrare tutta la loro potenza per far scendere la neve, non su un territorio tanto vasto... non per così tanto tempo... inoltre, dove avrebbero piazzato questi Pokémon?» aggiunse.
«Effettivamente, con ciò che è accaduto a Unima con il Team Plasma... sarebbero stati degli idioti a catturare migliaia di tipo Ghiaccio per ottenere praticamente gli stessi risultati» commentò Gold.
«Il dubbio resta: hanno usato quegli esemplari per evocare una glaciazione il cui centro focale fosse Sinnoh, ma in che modo?» fece Aurora.
«Nessuno si è chiesto per quale motivo avrebbero dovuto fare una cosa del genere?» domandò Ruby.
«Oh... lo sappiamo» rispose Kalut.
Il ragazzo dai capelli bianchi attirò l’attenzione dei Dexholder col suo fare misterioso di chi sa tutto di tutti.
«Congelare una regione... perché?» introdusse lui, lasciando la parola ad Aurora.
«Sinnoh è impossibile da conquistare economicamente, come la Faces ha già fatto con Sidera... è troppo fiorente, troppo grande, troppo ricca. C’è un enorme traffico di Allenatori in viaggio per sfidare le Palestre, affrontare il Parco Lotta, vincere le Gare e ci sono le grandi famiglie di imprenditori, come i Berlitz e i Granlotto» spiegò la ragazza.
«Intendono ucciderla...» dedusse Sapphire.
«Quasi. Intendono trasformarla» la corresse Kalut.
«Non potevano neanche divorarla dall’interno come hanno fatto con Hoenn, poiché non riuscivano a trovare la persona giusta e...»
Ruby guardò il pavimento, poiché tutti gli occhi si posarono per un breve istante su di lui.
«...hanno deciso di mutarla, una volta che Sinnoh avrà perso il proprio mercato, la propria ricchezza, il proprio potere a causa delle condizioni meteorologiche proibitive... diverrà un enorme parco tematico» concluse Aurora.
Il silenzio tornò nella stanzetta. Nessuno ebbe il coraggio di dire nulla. Persino Gold sembrava a secco di parlantina.
«Un parco tematico...» ripeté Sapphire.
«Una sorta di safari artificiale, un area giochi, un sito escursionistico... non conosciamo le peculiarità del progetto, solo l’idea generale» continuò Aurora.
«E’ orribile» commentò la Dexholder.
«E’ geniale» la contrastò Kalut «un’idea orribile, certo, ma anche lungimirante e intelligente, degna di una mente alquanto raffinata» aggiunse, inquietando tutti con il suo tono di ammirazione.
«Ogni tanto mi chiedo da che parte stai» lo criticò Celia.
«Insomma, tutto questo fa parte del loro piano per la conquista globale? E poi cosa? I chip sottocutanei e la fecondazione programmata?» fece Gold.
«Possiedono già Hoenn, Sidera, Alola e Kalos, a breve conquisteranno Holon, visti gli avvenimenti degli ultimi giorni e la strategia per incastrare Zero che era l’unica barriera tra loro e la sua regione e, se non li fermiamo, anche Sinnoh sarà loro» spiegò Kalut.
«Zero era davvero così importante?» chiese Sapphire, non potendo credere che il responsabile della disgrazia di Silver e Crystal fosse un così forte sostenitore della loro fazione.
«Zero riusciva a bloccare i loro tentacoli, Holon era ancora intatta, era lì che concentravamo le forze della Resistenza, utilizzavamo la sua regione come base operativa, prima...» riprese Aurora, con amarezza.
«Prima della nostra scissione» concluse Kalut.
«Ed è per questo che ora organizzate gli incontri nei palazzi abbandonati e non in una sala riunioni con la moquette e il caffellatte?» domandò Gold.
«Non sottovalutare le conseguenze della separazione di Zero dalla Resistenza» lo intercettò Aurora.
«No, non le sottovaluto, quelle conseguenze hanno ammazzato il mio amico e altre trecento persone, o ve ne siete già dimenticati?» inveì Gold, perdendo la pazienza.
Cadde di nuovo il silenzio.
«Perdonami... hai ragione» mormorò Aurora, abbassando lo sguardo «ti chiedo scusa» disse, mortificata.
«Comunque... il nostro obiettivo è scoprire come la Faces sia riuscita a congelare Sinnoh» fu Kalut a riprendere il punto della situazione.
«Basta così?» domandò Sapphire «niente a proposito di... fermarla, o qualcosa del genere?»
«Conseguentemente» approvò Kalut.
«Che diavolo vogliono ottenere, alla fine?» riprovò la Dexholder «per quale motivo intendono conquistare tutto questo potere?»
La discussione si chetò per la terza volta. Forse ognuno dei presenti si era reso conto che Sapphire era finalmente giunta al cuore della questione.
«Forse è il momento di raccontarvi la mia storia» mormorò Celia, ponendosi sotto i riflettori.
Tutti la guardarono: Gold, Sapphire e Ruby avevano gli sguardi accesi di curiosità. I Dexholder la studiarono a fondo, soffermandosi sui suoi capelli chiarissimi e sul suo sguardo troppo stanco per una della sua età; si resero conto che i suoi occhi, appesantiti dall’insonnia, brillavano di un’intensa sfumatura lilla. Sarebbe stata una ragazzina bellissima se non avesse avuto quell’aria grigia e deprimente.
«L’anno scorso, vivevo a Sidera con mio padre, ci eravamo trasferiti da poco. Il professor Jason Willow, un affiliato della Faces, ha chiesto a me e a mio fratello di lavorare per loro... senza rivelarmene le vere ragioni» cominciò Celia «mi hanno chiesto di utilizzare uno strumento particolare necessario alla creazione di un programma. Il dispositivo, chiamato PokéNet, raccoglieva dati e informazioni in automatico, per poi confrontarli e rielaborarli. Insomma, la Faces sta sviluppando una matrice da utilizzare per la sorveglianza di tutti gli Allenatori del mondo» si fermò per qualche istante, tanto i Dexholder pendevano dalle sue labbra «vogliono limitare l’universo dell’Allenamento Pokémon: tutto per impedire che altre associazioni come il Team Rocket, i Team Idro e Magma, il Team Galassia e così via possano sorgere e dal nulla diventare talmente potenti da scatenare eventi virtualmente apocalittici» spiegò.
«Il loro obiettivo è conquistare il mondo... per proteggerlo?» domandò Sapphire.
«Loro dicono di volerlo proteggere, ma ciò che intendono fare è mutilarlo» precisò Celia.
«I trecento morti a Vivalet per loro cosa sono? Incidenti di percorso?» chiese Gold.
«Evidentemente la conquista di Holon e la sconfitta di Zero valevano più della vita di quelle persone, per loro» chiarì Aurora.
I Dexholder cercarono di digerire ciò che avevano appena dovuto ingoiare, a proposito della Faces. Finalmente il pezzo centrale del puzzle sembrava più chiaro e definito.
«Ebbene, vi è stato spiegato come stanno veramente le cose, intendete ancora lavorare con noi?» chiese Kalut.
Ognuno dei presenti cercò di non prendersi la briga di rispondere per primo.
«E’ la cosa giusta» disse infine Ruby, spingendo anche i suoi amici a dare un parere.
«Ci sto» annuì Gold.
«Contate su di me» si aggiunse Sapphire.
«Non resta che comunicare tutto ai vostri due amici, Blue e Green, perché anche loro possano prendere una decisione» fece Aurora.
«Sono sicuro che accetteranno» anticipò Gold.
I membri della Resistenza trascorsero i dieci minuti seguenti a chiarire le curiosità dei Dexholder: i ragazzi avevano bisogno di sapere che i progetti della Faces riguardanti il controllo degli Allenatori fossero veramente pericolosi come erano stati presentati loro. Purtroppo, sia Celia che Aurora erano in possesso di poche informazioni superficiali, ma Kalut ebbe qualcosa di più interessante da proporre.
«La Faces prende contromisure per proteggere il mondo da se stesso» cominciò «ma costruisce un impero sulla menzogna e sull’inganno».
Ci fu un annuire generale.
«Quello che voglio dire è: il loro controllo non può essere la risposta, se dev’essere la conseguenza del dominio ottenuto con la forza. Intendono imporre dei limiti, intendono impedire che ciò che i professori Pokémon, i Capipalestra, le Leghe e in generale ogni singolo Allenatore di qualsiasi regione ha cercato di creare, continui a perdurare» riassunse.
Le sue parole furono sufficienti a muovere gli animi di tutti nella giusta direzione in maniera definitiva.
«Quindi per prima cosa dobbiamo capire come la Faces ha potuto far scendere l’inverno su Sinnoh» Ruby tornò all’interno del seminato «e magari fermarli, se siamo ancora in tempo».
«Conosciamo questo piano da un anno, ormai, ma non siamo mai riusciti ad ottenere niente» specificò Aurora «sono stati bravi a nascondersi e a eluderci, ma la loro copertura non può andare avanti ancora».
«Giorni fa ho incaricato Platinum di condurre qualche indagine qui nella sua regione» disse Sapphire «non pensavo trovasse qualcosa, il mio primo obiettivo era tenerla lontana dal pericolo, ma ci siamo date appuntamento per vederci, stasera. Probabilmente ha qualche indizio» spiegò.
«Ottimo, possiamo iniziare da lei, allora» annuì Kalut.
«Intendiamo muoverci tutti insieme?!» chiese Gold, retoricamente.
«Sì e dovremo impegnarci per lavorare in incognito» rispose Aurora.
«Dobbiamo anche uscire di qui, in incognito» sottolineò Sapphire.
«Spiegatemi perché dovremo muoverci in formato squadrone, ancora non mi è chiaro» riprese Gold.
«Voglio tenere d’occhio Ruby» rivelò Kalut, alla fine, creando il silenzio.
Nessuno ebbe alcunché da ridire. Il Campione di Hoenn sbuffò, rinunciando al dibattito. Si sentiva come in una sorta di libertà vigilata.
«Non perché non mi fidi di te» lo intercettò il ragazzo dai capelli bianchi «perché non mi fido della Faces... credi che non abbiano modi per farti giocare al loro gioco anche quando pensi di combatterli? Quando te ne dimentichi, ripensa allo scherzetto che hanno fatto a Zero» gli spiegò.
Ruby rimase piacevolmente colpito da quella realizzazione. Sorrise a Kalut, che era stato uno dei primi dopo tanto tempo a dirgli di avere fiducia in lui.
«Va bene, insomma, muoviamoci» ripeté Gold.
Con calma, i sei ragazzi provarono ad elaborare un modo di fuggire da quel palazzo senza essere individuati dagli agenti che sicuramente stavano sorvegliando il perimetro circostante: seminarli avrebbe sicuramente dato loro un grosso vantaggio.
«Hanno richiesto una triangolazione satellitare, probabilmente per individuarvi utilizzano i dispositivi che avete con voi capaci di collegarsi ad un satellite: cellulari, Cellulare, Pokénav e così via» spiegò Kalut.
«Dovremmo spegnerli, giusto?» chiese Sapphire.
«Aiuterebbe» rispose lui.
«Come usciamo di qui?» domandò Gold, tossendo per finta per attirare l’attenzione.
«Dall’alto» rispose Kalut «avete tutti dei Pokémon volanti?»
Quelli annuirono.
«Distrarrò le guardie, voi decollerete dal tetto e, una volta raggiunta l’alta quota, potrete evitare di essere individuati.
Il gruppo continuò a salire rampe di scale piene di detriti e pezzi di intonaco. Una volta giunti in alto, si trovarono davanti all’uscita di sicurezza sigillata.
«Devo forzarla?» chiese Sapphire, tenendo in mano la Ball di Gallade.
«Abbiamo le chiavi» rispose Aurora.
Era strano, ma nessuno di loro si chiese per quale motivo i membri della Resistenza fossero in possesso delle chiavi di un vecchio edificio appartenuto ad un’organizzazione criminale. Uscirono sul tetto, non senza difficoltà, vista la gran quantità di neve che vi si era ammassata sopra. Tornarono, con una boccata di sollievo, all’aria aperta. Erano rimasti parecchio tempo all’interno di quell’ambiente chiuso e claustrofobico, furono felici di ricominciare a respirare aria contenente ossigeno, anche se gelida. Gold starnutì immediatamente, stringendosi il Montgomery nero che Ruby gli aveva prestato, Sapphire ebbe un brivido e si sistemò la sciarpa attorno al collo, Celia mugolò come se avesse appena preso un ceffone. Gli unici a proprio agio sembravano Kalut, Ruby e Aurora. Il primo era una sorta di super umano la cui reale natura restava ancora ignota ai Dexholder, il secondo era termoregolato dalle Gemme e la terza era una Capopalestra di tipo Ghiaccio.
«Penso alle guardie, quando sentite il verso di uno Xatu decollate, ritroviamoci fuori dalla città, uscita ovest» fece Kalut, tornando dentro e lasciandoli sul tetto.
Chiuse la porta alle sue spalle.
“Squadra da pedinamento standard, tre agenti...” pensò il ragazzo dai capelli bianchi, scendendo le scale “uno sorveglia il perimetro, due entrano. Perso il contatto con l’obiettivo... sul perimetro passano i due, il terzo gira in ricognizione, probabilmente sale su un punto sopraelevato, poiché siamo in ambiente urbano” rifletté.
Cercò di sbirciare fuori: era al secondo piano, le finestre erano sbarrate con delle assi, ma riuscì ad osservare attraverso le fessure. Individuò un uomo seduto sulla panchina di un parchetto sorseggiare una bevanda calda, era il primo agente. Corse dall’altra parte del piano, affacciandosi ad una seconda finestra che dava dalla parte opposta. Da lì vide il secondo: era vestito di bianco in modo da confondersi facilmente con l’ambiente innevato, passeggiava lentamente senza dare nell’occhio fermandosi di tanto in tanto alle spalle di un cartello o dietro un albero. Kalut provò altri tre o quattro punti di osservazione, ma non riuscì ancora ad individuare il terzo agente. Non era sul tetto di un palazzo, non era a terra, non era in un’automobile.
«E va bene, Houdini» mormorò, tra sé e sé «intendi bloccarmi l’uscita dal parcheggio» dedusse.
Il complesso aveva un parcheggio interrato che avrebbe potuto essere utilizzato come uscita di sicurezza, per questo era intuibile che l’uomo si fosse appostato lì, per sorvegliare ogni possibile uscita. Kalut scese fino al piano interrato appendendosi al cavo dell’ascensore, dopo averne forzato le porte ed essere entrato nel vano. Liberò il suo Scolipede dalla Ball e si tolse la sciarpa, avvolgendola attorno alla mano.
«Sonnifero» ordinò al Pokémon, che subito rilasciò le sue spore soporifere sul tessuto della sciarpa.
Kalut arrivò fino all’uscita di sicurezza che dava sul parcheggio. Diede un calcio alla porta, spalancandola nel modo più rumoroso possibile. Poi tornò nel palazzo e fece il giro, giungendo alla seconda uscita, quella del personale. Si mosse silenziosamente tra le colonne del parcheggio, tenendo d’occhio ogni angolo buio. Quando i suoi occhi riuscirono ad oltrepassare l’oscurità, individuò una sagoma accucciata dietro un’automobile abbandonata. Il rumore della porta aveva attratto l’agente, che si era messo in copertura nei pressi dell’uscita di sicurezza, attento a tenerla d’occhio. Kalut lo aveva raggirato. L’agente non si rese nemmeno conto della presenza del ragazzo alle sue spalle, prima di ritrovarsi il panno intriso di sonnifero premuto sulle vie respiratorie. Perse subito conoscenza, svenendo senza emettere suoni. Kalut lo sistemò sotto l’automobile solo per divertimento, gli sottrasse tutta l’attrezzatura e la fece bruciare del suo Arcanine, ma tenne i suoi Pokémon che avrebbe liberato in seguito e l’auricolare. Estrasse di nuovo il Magnezone che aveva utilizzato per illuminare la stanza segreta, gli accostò il dispositivo di comunicazione.
«Qui Greaves, perimetro sud regolare, nessun cambiamento, passo» disse uno dall’altra parte.
«Ferrostrido» ordinò, premendo il tasto dell’audio.
Non sentì cosa avvenne dall’altra parte, ma era sicuro che i due agenti stessero imprecando.
«Riley, sei tu?» chiese Greaves.
«No!» rispose Riley.
«Harper, cosa sta succedendo? Rispondi» Greaves era in allarme.
«Raggiungo la sua posizione» fece Riley.
Kalut attese meno di trenta secondi, poi un altro agente raggiunse quel parcheggio con passo felpato e la torcia accesa in mano. Kalut, nascosto dietro una colonna, fece cenno a Magnezone di attaccare. L’agente non sentì arrivare il colpo, percepì una scossa lungo tutto il suo sistema nervoso e cadde a terra, anche lui privo di sensi. La sua attrezzatura era andata in corto circuito, rimanendo inutilizzabile, ma Kalut se ne sbarazzò lo stesso, tenendo ancora solo le Ball e l’auricolare.
«Riley, Harper, rispondete» chiamava Greaves, dall’altro capo. La sua voce era calma, probabilmente rassegnata.
Kalut poté uscire senza essere visto, l’agente era ancora seduto su quella panchina, apparentemente impassibile, aveva molti punti ciechi. Gli fu alle spalle, ma non intervenne, non lo avrebbe messo KO come gli altri, anche perché era all’aperto. Tese invece le orecchie.
Greaves finì di bere ciò che Kalut comprese essere caffè americano grazie all’odore. Poi prese un secondo strumento di comunicazione, una sorta di walkie-talkie più discreto e meno ingombrante «Greaves a base, Evopoli, distretto commerciale, emergenza di primo livello, gli obiettivi hanno scoperto che li seguiamo e hanno preso Riley e Harper, non riesco a determinare le loro condizioni, hanno interrotto il collegamento, attendo ordini, passo» disse, calmissimo.
«Base a Greaves, abbandonare la missione, manderemo una squadra per il recupero di Riley e Harper, ordine di rientro immediato, passo» rispose qualcuno dall’altro capo del collegamento.
«Greaves a base, ricevuto, faccio rientro immediato... passo e chiudo» e l’agente chiuse il collegamento «figli di puttana...» disse a bassissima voce, prima di alzarsi e andarsene, con la solita discrezione.
Quando fu abbastanza lontano, Kalut chiamò il suo Xatu.
“Quando sei pronto” gli disse, telepaticamente.
Quello emise il suo verso, allo stesso tempo silenzioso ma udibile in tutta l’area circostante. Da lontano, il ragazzo vide un gruppo di Allenatori spiccare il volo dalla cima del palazzo e sparire tra le nubi. Si incamminò, li avrebbe intercettati all’uscita della città, a ovest, come secondo accordi.
«Ok, ci sono» affermò Green, chiudendo la sua valigia.
Blue lo stava aspettando sulla porta, anche lei portava il suo bagaglio. I due ragazzi si erano dotati di abiti invernali per fronteggiare le gelide temperature di Sinnoh.
«Possiamo andare» sorrise Blue, alzandosi sulle punte per baciare Green sulle labbra.
«Ti va di passare al laboratorio, prima?» chiese il ragazzo.
«Sì, è un’ottima idea» acconsentì lei.
In quel momento si trovavano a Smeraldopoli, nell’appartamento di Green adiacente alla sua Palestra.
«Tanto siamo in largo anticipo, con l’aereo» aggiunse il castano.
I due abbandonarono quella casa, Green chiuse con diverse mandate, sicuro di dover rimanere fuori per parecchio tempo. Scesi in strada, ripresero i loro Pokémon volanti, per giungere velocemente a Biancavilla. Avevano capito che per muoversi in quel modo erano necessari cappello e sciarpa a causa dell’aria fredda e infatti si erano preparati di conseguenza. Giunsero al paesino di campagna dopo poche decine di minuti di volo. Atterrarono nel vialetto del laboratorio che un tempo era stata la casa di Green e in cui ora lavorava suo nonno con qualche assistente e suonarono il campanello.
«Chi è?» domandò una voce, preventivamente.
«Margi, sono io» rispose il Capopalestra.
Quella aprì.
«Un tempo lasciavamo le porte aperte» commentò Blue.
Margi sorrise e abbracciò entrambi. Fu un abbraccio sereno, rassicurante, entrambi si resero conto di sentirsi come se fossero tornati al nido. Biancavilla sapeva di casa, ma anche di nostalgia e lontananza da casa.
«Non vi aspettavo» fece lei, preparando il caffè.
«Infatti siamo qui solo per un saluto e per qualche... aggiornamento» tagliò corto il ragazzo.
«Come va a Sidera?» chiese Blue.
«Tutto bene, in realtà dovrò ripartire proprio domani, non hanno mie notizie da un bel po’, ormai» la sorella maggiore di Green aveva aperto un proprio laboratorio Pokémon a Sidera da qualche tempo, dove svolgeva il ruolo di professoressa Pokémon.
«Dai, capiranno, con tutto quello che è successo...» la rassicurò Blue.
«Già, appunto... Crystal e Silver... come stanno?» chiese Margi.
Nessuno dei due Dexholder si affrettò a rispondere, la ragazza recepì il messaggio.
«Dov’è il nonno?» domandò Green.
«Oh, di sopra, non credo vi abbia sentiti entrare, ultimamente lavora spesso con la radio accesa».
«Posso salire o chiediamo a lui di scendere giù?» chiese lui.
«Non vuole che nessuno metta gli occhi sui suoi lavori» rise Margi «gli chiederò di scendere».
Green annuì e cominciò a sorseggiare il caffè, mentre sua sorella si dirigeva verso il piano superiore del laboratorio.
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