UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
Unima, Austropoli, Main Street, 11
Aprile 20XX
Sapphire
aveva preso troppi ascensori per i suoi gusti, da quando era atterrata a Unima.
Smooth Operator di Sade suonava in quella modalità polifonica così fastidiosa
che non riusciva a capire come faceva il suo fidanzato ad avere stampato quel
sorriso sul volto.
“Vedrai!”
esclamava entusiasta Ruby. “È praticamente il mio regno!”.
E quando
le porte si aprirono, una rientrando verso destra e l'altra verso sinistra, poté
appurarlo da sola.
Eleganza,
ovunque. E un calore non indifferente.
Il ragazzo
sorrise ancora, stringendole la mano e trascinandola fuori, in quel grosso
ambiente che altro non era che il suo atelier.
Due file
di quattro scrivanie erano disposte larghe, e quattro ragazzi e quattro ragazze
erano già all'opera, chi con spilli e forbici, chi con matite e tessuti tra le
mani.
Il rumore
delle macchine da cucire era intermittente ma sempre presente, nonostante la
voce di Nina Simone in sottofondo cercasse di stemperare un po' la situazione.
Parquet
sul pavimento e parete di sinistra interamente rivestita di quercia e
tappezzata di lavagne, strumentazioni a parete, fotografie e, poco più avanti,
manichini più eleganti di quanto Sapphire fosse mai stata.
La parete
di destra era composta da un'unica grande finestrata, che si affacciava sul
corso principale di Austropoli.
Ruby
avanzò lentamente, sorridendo, quindi si voltò e allargò le braccia.
“Tesoro...
benvenuto all'Atelier Automne!” esclamò, euforico. Poi si voltò,
aspettando che la ragazza si avvicinasse. “E loro sono i ragazzi che lavorano
me. Ragazzi!” urlò poi, attendendo che ogni macchina da cucito cessasse la
propria attività.
Conquistò
immediatamente il silenzio.
“Spero
abbiate passato buone vacanze di Pasqua. E se non festeggiate la Pasqua, beh,
vi siete riposati alla faccia nostra. Lei è Sapphire, mia fidanzata e musa
ispiratrice” sorrise, mettendola in imbarazzo. “Ogni vestito che ideo, disegno,
produco e rifinisco è immaginato addosso a lei... Può sembrare minuta ma è più
forte e bella di qualsiasi modella che calcherà mai i nostri palchi”.
La ragazza
sentì nove paia d'occhi addosso, affogando in una brodaglia di disagio.
“Okay,
bando alle ciance! Oggi che abbiamo?” domandò poi il ragazzo, avanzando rapidamente
e raggiungendo la porta di vetro satinato che aveva di fronte. Disse buongiorno
a qualcuno e uscì con una cartellina tra le mani. Era di fronte alla
forestiera, e pareva scorrere col dito una lista.
“Dei
quindici vestiti, otto sono già stati prodotti. Meraviglioso!” urlò, coi
ragazzi che applaudivano festanti. “Ma la sfilata è tra due settimane esatte da
oggi ed è inutile dire che dovremmo dare il centodieci percento per riuscire a
fare tutto! Ognuno di voi è essenziale per questo progetto, e l'atelier deve
presentare degli abiti perfetti in ogni particolare! Avendo anche la fortuna di
poter avere un contatto più diretto con le modelle col quale lavoreremo, tra
qualche giorno le avremo qui, in questi saloni, per le prime prove e gli
eventuali accorgimenti tecnici da adottare per fare in modo che tutto vada alla
grande! E ora diamoci da fare!”.
I ragazzi
capirono l'antifona e si gettarono subito al lavoro, euforici e caricati dal
grande discorso dello stilista. Quello guardò per un attimo al di fuori della
finestra e quindi annuì, voltandosi e dirigendosi lento verso l'office.
“Vieni”
disse a Sapphire, che annuì e camminò nel piccolo corridoio tra le due file di
banchi. Sopra ognuno vi era caos organizzato sotto forma di drappi di tessuto
di varia forma e colore, rocchetti di cotone e spilli dalla capocchia bianca.
Tutti i
ragazzi erano molto, molto giovani. Le femmine erano per la gran parte bionde,
tranne una. Tutte però portavano i capelli legati, ed erano truccate in maniera
sobria e delicata. Guardando i ragazzi, Sapphire fu colpita dal fatto che tutti
avessero grosse barbe che arrivavano quasi alla sommità del collo.
Uno in
particolare rubò la sua attenzione, col barbone ossigenato e i capelli rasati
sui lati e tirati all'indietro. Aveva un paio d'occhi azzurri e glaciali,
espressivissimi.
Assomigliava
un vichingo.
Tutti però
avevano una cosa in comune: gli occhi della tigre.
Ruby s'era
accerchiato di persone ambiziose.
Quando
raggiunse l'office, Ruby era al telefono, che indicava a una ragazza dagli
occhi blu come il cielo di segnare ciò che ripeteva.
“Quindi...
ventisette blu... settantaquattro dorato. Settantaquattro dorato?! Newton, ma
hai sbattuto la testa contro un muro?!”.
La ragazza
segnava le cifre su di un foglio di carta, aspettando di catalogare altri
numeri. Sapphire poté riconoscere un candore eccezionale nel volto di quella,
dalla pelle diafana e le labbra piccole ma carnose.
Una
bambolina, dai lunghi capelli castani acconciati in maniera più che
particolare: aveva due crocchie, grosse e rotonde, ai lati della testa, e un
ciuffo spettinato sulla fronte.
“Whiteley,
hai segnato?” domandò Ruby, coprendo il microfono con la mano.
“Certo,
signor Normanson. Ventisette blu e settantaquattro dorato”.
Annuì e
tornò a parlare. “Newton, non ci siamo. Siamo troppo alti, col prezzo”.
Si voltò
subito dopo, accorgendosi della presenza di Sapphire e facendole segno di
accomodarsi dietro quella che doveva essere la sua scrivania.
E lo fece,
poggiando la sua borsa in pelle un po’ demodé sul piano in legno.
Rialzò lo
sguardo, pensando di non aver visto negli occhi di Ruby la determinazione e la
passione in ciò che faceva da quando, da ragazzini, girarono Hoenn per la prima
volta. Abbassò poi lo sguardo sulla sua scrivania, in pieno caos organizzato,
dove bozzetti di disegni lasciati a metà erano orfani delle matite, due delle
quali accanto ai piedi della sedia. Il monitor era acceso e mostrava un
programma di design lasciato in stand-by, dove un abito dorato e blu era
indosso a un manichino virtuale.
“No, Newt,
non ci siamo” ripeté. “Coi prezzi che mi spari gli abiti dovrò venderli a
ventiquattro milioni di Pokédollari. Non ridere, sono serio”.
Lo
guardava e lo riguardava, lei, sorprendendosi di quanto abilmente si muovesse
in quell’ambiente in cui lei non era abituata a guardarlo.
E poi un
rumore di tacchi la distrasse.
“SCUSATE!
LARGO, SCUSATE!”
Spostò gli
occhi in avanti e vide entrare una donna su un paio di tacchi alti, molto
elegante all’interno del suo tailleur nero. Era giovane e bella, con occhi
azzurri ben truccati e una smorfia di fastidio sul volto.
Gettò una
Louis Vuitton sulla scrivania, proprio accanto alla sua borsa, e sparì oltre la
porta accanto a lei, che con ogni probabilità doveva essere il bagno.
Ruby
intanto continuava a parlare. “Sì, capisco che tu hai dei costi e che non
lavori per la gloria, ma io ho necessità di acquistare il tuo prodotto e il tuo
soltanto… certo, ma non posso rivendere un mio abito a un prezzo così alto! Lo
capisci?!”.
Era tutto
più grande.
Differente.
Prima che
lui partisse vivevano entrambi in una casetta dignitosa
E lì si
spense una lampadina, nella testa della giovane ricercatrice; guardava il
candore della giovane Whiteley, e la perfezione di quella donna in carriera
così perfetta, posata anche quando la natura metteva a dura prova la sua
resistenza fisica.
Si sentiva
fuori contesto.
Ruby
invece no.
Lui pareva
esser fatto per quel mondo.
Lo guardò,
lui scivolò con lo sguardo su di lei, quasi attraversandola di netto, senza
rimanere troppo a fissare i suoi occhi azzurri.
“Dobbiamo
venirci incontro in qualche modo. Non sono un mio problema, i tuoi costi di
gestione e produzione”.
Si chiese
cosa ci facesse lì, Sapphire. Non era all’altezza, bastava vedere la borsa di
quella stangona accanto alla sua. Il rumore dello scarico la risvegliò da quei
pensieri d’inadeguatezza, e la donna uscì, col sorriso sul volto.
“Ora si
ragiona” sospirò, sorridendo.
“Aspetta,
ora ti faccio parlare con White…” fece Ruby, avvicinandosi a lei.
“White?!”
chiese Sapphire, catturando l’attenzione del ragazzo.
“Aspetta
un momento, tesoro… White, c’è Newton Mainard al telefono. Settantaquattro per
il dorato”.
“Tesoro?!”
esclamò White, sorridente. “Tu allora devi essere Sapphire! Sei meravigliosa!”
fece gioviale, chinandosi su di lei e baciandole una guancia.
“White!
Newton è al telefono!” esclamò invece l’altro coprendo il microfono con la
mano.
“Oh,
certo”.
Prese il
telefono tra le mani e si lisciò i vestiti, come se l’uomo potesse vederla,
quindi la sua espressione del volto mutò totalmente, incupendosi.
“Newton?
Ciao, sono White. Sì, ho sentito che
hai parlato con Ruby e… No, Newt, adesso parlo io. Non possiamo cominciare la
produzione di qualcosa così fuori mercato, il prezzo netto diventa
impraticabile…”.
Ruby si
portò le mani ai fianchi e guardò la donna sui tacchi camminare freneticamente
avanti e indietro, fino a fermarsi accanto a Whiteley.
“Scusami…
Io non ti dico come fare il tuo lavoro e tu non devi dirmi come fare il mio… È
normale che non porterò nei negozi i vestiti della sfilata, ma non credo che
siano… Newt… Ci conosciamo da anni, non mi pare neppure giusto dover andare a
interrompere rapporti professionali secolari per uno sconto in meno…”.
Whiteley
spalancò gli occhi e alzò la testa, guardando la donna dai tailleur nero.
Quella le fece cenno con la testa di alzarsi dalla sedia e Sapphire poté
appurare l’effettiva eleganza della più piccola, che indossava una lunga gonna
beige, una camicetta bianca dello stesso colore e una giacca nera con le
spalline morbide.
“Appunto.
Perfetto. Grazie, Newt, alla prossima”.
Attaccò e
gettò delicatamente il cellulare sulla scrivania.
“Allora?”
domandò Ruby. “Di quanto è sceso?”.
“Aspetta”.
La donna
cercò una penna, che trovò sotto una busta da lettere aperta. La prese, voltò
la busta e cominciò a scrivere.
Poi si
alzò e poggiò delicatamente la mano sulla spalla dell’assistente, che riprese
possesso del suo posto. White riacquistò finalmente il sorriso, recuperando
serenità.
“Perfetto.
Whiteley, tesoro, avverti Portia Thomas che stiamo andando a prenderci del
tessuto dorato, specifica che chiami da parte di White e che tra meno di un’ora
sedici… sedici?” si voltò verso Ruby.
“Newt?”
chiese quello, non capendo.
“Sedici
pezze di tessuto dorato, sì, credo che bastino. Io e te, signorina…” fece,
prendendo la borsa e camminando attorno alla scrivania di Ruby. Prese poi
Sapphire per mano e la fece alzare. “… Io e te usciamo assieme, oggi”.
“Ehm… ok?”
fece quella, guardando il ragazzo e facendo spallucce.
“Ma cosa è
successo?! Perché stai andando da Portia Thomas?!” urlava, proprio quello.
“Rimani
qui e disponi il pagamento, ti sta inviando la fattura per mail”. Camminava,
White, tirandosi Sapphire dietro, che ebbe soltanto il tempo di afferrare la
propria borsa prima di sparire oltre l’uscio.
Ruby
rimase a guardare Whiteley per qualche secondo, prima di sospirare e proferire
parola.
“Io amo le
donne... Ma non le capisco. E, a questo punto, mai le capirò”.
“Ruby
parla di te in continuazione...” faceva White, premendo il tasto 0 sul
pad dell'ascensore. Guardava la ragazza, molto più timida di quanto non
sembrava dalle rare conversazioni che lo stilista le aveva fatto leggere dal
suo cellulare.
“Oh, meno
male” sorrise quella, spostando un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. “Spero
dica cose buone”.
“Sempre.
Sembra davvero innamorato di te. Ed è difficile essere legati a una donna, in
questo mondo”.
Sapphire
spostò lo sguardo verso gli occhi di quella, con un grande punto interrogativo
stampato sulla faccia.
“Gay.
Molti stilisti, quasi tutti, almeno qui ad Austropoli. Poche mosche bianche”.
“Oh”
sorrise ancora l'altra, sollevata. “Credevo che essendoci una quantità
incredibile di donne, che si spogliano e si vestono in continuazione...”.
White rise
di gusto.
“Oh,
tesoro, no. No, non è neppure il caso di Ruby, questo... anzi. Ha avuto davanti
parecchie donne. Per lui sono come manichini. Solo Sapphire, Sapphire,
Sapphire! Sapphire di qui, Sapphire di là, quanto è bella Sapphire... Non hai
di che temere!” esclamò la Presidentessa, proprio in corrispondenza
dell'apertura delle porte.
Camminava
sculettando, lasciando una scia di classe inarrivabile, che Sapphire poteva
soltanto seguire con le sue Converse, macchiate sulla punta.
Entrarono
nella porta girevole del palazzo, di quelle automatiche coi sensori di
prossimità, che la facevano girare lentamente quando qualcuno era nei suoi
pressi.
Uscirono
fuori e Sapphire guardò subito in alto, appurando la timidezza di quel sole
primaverile, nascosto dalle alte creste dei grattacieli.
Le persone
scappavano da qualcosa che non conoscevano, cercando di raggiungere posti in
cui non volevano andare. Uomini col cappio della cravatta al collo, le donne
sugli spilli degli alti tacchi a bucare loro i talloni. Tutti eleganti, tutti
perfetti, puliti e profumati.
Stringevano
le valigette e si dribblavano tra di loro, parlando con costosi cellulari
all'orecchio; i più fortunati avevano grossi auricolari che lampeggiavano di
luci blu.
Pareva
parlassero da soli.
Sulla
sinistra vi erano dei giovani Allenatori, tutti in fila davanti la Palestra di
Artemisio. Pensò che, probabilmente, assieme a Toro sarebbe riuscito a
sconfiggerlo facilmente.
“In ogni
caso oggi mi aiuterai ad aiutare Ruby, si?” fece, prendendo il cellulare e
alzando una mano verso il taxi che si avvicinava a loro.
Tuttavia
quello non si fermò, e proseguì.
Batté tre
volte il dito smaltato sullo schermo del Blackberry, White, per poi avvicinarlo
all'orecchio.
“Perdonami
un attimo... Pronto, Black... Sì, sono appena uscita da un atelier. Come stanno
andando le cose a Kanto?”.
Fece poi
per alzare nuovamente la mano, dato che un nuovo taxi, dalla carrozzeria gialla
e guidato da un uomo di origini mediorientali, si stava per avvicinare.
Tuttavia
anche quello sfilò via.
“Oh,
certo, certo. Beh, quando torni? Ah... ancora? Sì, lo so ma pensavo che avessi
terminato con questa tua smania di... Lo sai bene che non posso muovermi da
qui! Che cazzo domandi a fare certe cose se...”.
Nuovo taxi
in avvicinamento, la mano si alzò di nuovo ma Sapphire decise di prendere la
situazione di petto, infilando i mignoli tra le labbra e fischiando
vigorosamente.
Tutti si
voltarono a guardarla, White in primis.
“... Devo
andare, adesso. Ci sentiamo stasera. Domani, allora, ciao, ciao... Uff, che
faticaccia la vita. Non credevo che una rosellina come te sapesse fischiare
come un omaccione!” sorrise stupita.
“Rosellina...”
rispose al sorriso, vedendo poi il taxi fermarsi.
Salirono.
“Sì”
continuò White. “Sembri così delicata, con questi occhi azzurri e profondi, e i
volumi morbidi del viso... E poi hai anche un bel corpicino, guarda qui...”
fece, toccandole il lato del seno con un dito. “Se vuoi, ti trovo lavoro
immediatamente” sorrise.
Sapphire
non si era mai sentita così in imbarazzo in vita sua.
“Ehm...
grazie, ma no, grazie, sono una...”.
“Una ricercatrice, sì, lo so, come la mia amica Belle. Dovrei fartela conoscere. E cosa studi?”.
“Una ricercatrice, sì, lo so, come la mia amica Belle. Dovrei fartela conoscere. E cosa studi?”.
La ragazza
di Hoenn la vide spostare subito lo sguardo sul cellulare. Sbuffò e rialzò gli
occhi, quella, aspettando che l'altra rispondesse.
“Studio i
comportamenti dei Pokémon nei propri habitat, per ottenere informazioni in caso
di innesto forzato in natura...”.
“Pokémon
rari, immagino...”.
“Per ora ci stiamo concentrando sugli Absol. Il commercio delle pellicce a Hoenn non si arresta minimamente e questo è terribile...”.
“Per ora ci stiamo concentrando sugli Absol. Il commercio delle pellicce a Hoenn non si arresta minimamente e questo è terribile...”.
“Che
persone orribili, i bracconieri...” sospirò la donna guardandosi nella
scollatura e sistemando il colletto della camicetta.
Eppure
Sapphire era assolutamente convinta che, semmai avesse aperto l'armadio dio
White, ci avrebbe trovato una pelliccia di Minccino o di qualcosa del genere.
Sì,
pensava che White fosse un tipo da pelliccia.
Poco dopo
arrivarono all'albergo dove soggiornava Ruby.
“Attenda
un attimo qui” disse la Presidentessa al tassista, scendendo dalla vettura con
le gambe strette. Sapphire la seguì, incuriosita.
“Perché
stiamo tornando in camera?”.
White non
le rispose ma prese il cellulare e lo avvicinò all'orecchio. “Pronto... No, non
sono interessata al trading online, non rompa più le scatole, grazie” fece,
allungando l'ultima vocale e gettando con risentimento il telefono nella borsa.
“Prima o
poi mi ricovereranno con un esaurimento...”.
Entrambe
salirono le scale dell'albergo, passando sotto una passerella parapioggia col
telone rosso, per poi entrare all'interno della hall.
Sulla
sinistra, una donna con un Furfrou stava facendo il check-in, in piedi sugli
alti tacchi a base quadrata dei suoi stivaletti di pelle marrone.
White non
perse troppo tempo ad analizzare il suo vestiario, salendo poi verso i fianchi
generosi e le spalle larghe.
“Cielo,
quello è un uomo...” fece, continuando a camminare in direzione della sala.
Davanti avevano gli ascensori e sulla sinistra il bar, stanza in cui entrarono.
Si
avvicinarono entrambe al banco e la Presidentessa poggiò un biglietto da
cinquanta davanti al naso del barman.
“Per me un
whisky invecchiato più di vent'anni”. Fece per voltarsi, mancando per poco lo
stupore negli occhi di Sapphire. “Mi fai compagnia o prendi qualcos'altro?”.
“Ehm...
no, grazie, per me nulla”.
“Oh,
avanti” sorrise White, stringendole il bicipite tonico tra le mani. “Non fare
complimenti con me! Sai che sono una sorta di Iron Man per questa città... Posso certamente permettermi di
offrirti qualcosa al bar”.
Sapphire
rise. “Sei una donna decisamente migliore di Robert Downey Jr.”.
“Oh, ne
ero sicura ma avevo paura di dirlo. Succo di frutta, come il sempreaddieta
del tuo fidanzato? Pesca e Maracuja?”
“Sì”
sorrise l'altra. “Andrà più che bene. La Maracuja cresce benissimo, dalle mie
parti”.
White
ordinò e poi si voltò nuovamente verso di lei, prendendola per mano e
avvicinandosi ai divanetti, di pelle azzurra.
“Sono
stata a Hoenn, qualche anno fa, col mio ragazzo. L'abbiamo girata in lungo e in
largo...”.
Sapphire
spalancò gli occhi. “Dove hai soggiornato, la prima notte?”.
“Porto
Alghepoli. Del resto siamo arrivati a tarda notte e non avevamo tanta voglia di
andare a sbizzarrirci, io e Black. Poi però il giorno dopo siamo andati
immediatamente a Orocea”.
“Meravigliosa
e suggestiva” sorrise Sapphire.
“Rimasi
incinta, lì”.
“Eravate
già sposati?”.
“Non siamo
mica sposati! Dio ce ne scampi! E poi le mie ovaie funzionano anche senza avere
un marito” sorrise l'altra. “Noi siamo così... Lui viaggia per il mondo, fa
l'Allenatore e riempie il Pokédex e...”.
“Oh,
lavora col Pokédex?”.
“Anche io
lo feci, diversi anni fa. Per sbaglio, ma lo feci” sorrise ancora.
“Beh, io e
Ruby ci siamo occupati della catalogazione dei Pokémon di Hoenn, per il
Pokédex”.
“Quindi
anche voi siete dei Dexholder”.
Sapphire
infilò le mani nella borsa e tirò fuori un piccolo apparecchio rosso. “Eccolo
qui. Quasi completo”.
“Incredibile”
sorrise White, vedendo poi un giovane cameriere più interessato a guardarle le
gambe che a poggiare correttamente il vassoio sul tavolino.
Se ne
andò, e la domanda dell'altra arrivò spontanea.
“Maschio o
femmina?”.
White alzò
gli occhi. “Cosa?”.
“Hai detto
che sei rimasta incinta, a Orocea. È nato un maschietto o una femminuccia?”.
White
abbassò lo sguardo e affogò i tre successivi pensieri nell'aroma invecchiato
del Canadian Club che l'era appena stato somministrato senza alcun foglietto
delle controindicazioni.
“Abortii.
Non credo di essere adatta a una vita del genere”.
Non lo
fece volontariamente, ma Sapphire la congelò con lo sguardo; per lei era
assolutamente impensabile una cosa del genere. Certo, non sentiva scorrere
nelle proprie vene lo spirito materno, e la cosa, unita alla poca pazienza di
cui era dotata, non la rendeva la futura madre migliore del mondo.
Probabilmente
avrebbe combattuto contro l'istinto animale di prendere suo figlio e di sbatterlo
contro il muro, con la sola colpa di averla svegliata per la quarta o quinta
volta nel cuore della notte, in preda alle crisi isteriche.
La madre,
con le crisi, non il figlio.
E se
avesse avuto una figlia sarebbe stato del tutto impraticabile per lei avere una
copia di Ruby in casa, con lustrini, fiocchetti e nastri vari. Non tanto
nell'infanzia; lei temeva l'adolescenza, le mestruazioni e l'umore sballato, i
pianti nervosi e le grida furiose.
Rifletté,
poi riconobbe di aver fatto una perfetta descrizione di se stessa.
Non si
sentiva una grande futura madre ma non aveva così poco rispetto
della vita per decidere di fermare il suo corso. Abortire non era una di quelle
cose che avrebbe preso in considerazione. Se fosse capitato avrebbe accettato
la cosa e si sarebbe comportata di conseguenza.
Guardò
White e decise di tenere un profilo basso. “Sono scelte, alla fine” disse, poi
bevve nuovamente.
Gli occhi
di Sapphire si poggiarono sulle labbra della donna, che si poggiarono sul
bicchiere di cristallo. Sentiva l'odore dell'alcool fin da lì; era solo
mezzogiorno del resto, ma doveva aspettarselo da una donna del genere.
“Già...
Yvonne tarda sempre un po'... alla fine però arriva” fece, cambiando subito
discorso.
“Yvonne...
Stiamo aspettando lei?”.
White si
limitò ad annuire, bevve ancora e vide di nuovo il cellulare vibrare. Rovesciò
quindi la testa indietro e sbuffò.
“Ti prego”
fece, allungando il Blackberry verso Sapphire. “Rispondi e di’ che sono morta”.
Una
piccola risatina s'insediò sul volto della giovane, che annuì e afferrò il
telefono.
“Questo è
il cellulare della signora White...”.
Poi si
accorse di non conoscere il suo cognome. Spalancò gli occhi e guardò impanicata
la donna.
“Campbell
– Defoe” sussurrò quella, a bassa voce. “White Campbell – Defoe”.
“Della
signora White Campbell – Defoe. In questo momento la...”.
“Presidentessa...”.
“La
Presidentessa non è in ufficio... Sì... ha chiamato il suo... il suo cellulare,
sì...”.
White
buttò giù il resto del drink, poi, con la mano, fece cenno alla ragazza di
continuare.
“Lo ha
dimenticato in ufficio. Non so dove sia andata, no. Vuole lasciarle un
messaggio?”.
Poco dopo
entrò nella sala una donna bellissima, dalla lunga treccia bionda. Il cappello
a tesa rigida che aveva sulla testa era nero, come i leggins che le fasciavano
le lunghe gambe.
“Riferirò,
grazie” fece Sapphire, guardando l'ultima arrivata. Attaccò e lanciò il
cellulare di White alla proprietaria, per poi continuare a fissare la bionda;
quella pareva spaesata. Si guardava intorno, come se cercasse qualcosa o
qualcuno.
Incrociarono
i propri sguardi, la bionda proseguì rapida fino a quando non riconobbe il viso
di White.
Le sorrise
e cominciò ad avvicinarsi alle due.
“Grazie
mille, stella, mi hai levato da un bel pasticcio...” fece la Presidentessa.
“È quella,
Yvonne?” domandò invece l'altra, indicandola con un movimento del capo. Ottenne
risposta positiva, quando quella si voltò e si alzò in piedi.
“Ciao,
meraviglia della natura!” esclamò, sorridendo civettuola e stringendola in un
breve abbraccio. Due baci sulla guancia, uno a destra, uno a sinistra, quindi
la strinse alla vita e si voltò.
“E lei è
Sapphire! La fidanzata di Ruby”.
Yvonne
rimase a fissarla per qualche secondo, con quei profondissimi occhi grigi che
non riuscivano per nulla a incastrarsi negli zaffiri che l'altra aveva sul
volto.
La guardò
dall'alto in basso, percorrendo l'intera lunghezza del suo corpo, dai capelli
alle punte delle scarpe. Le fece poi un cenno, voltandosi poi verso White.
“Andiamo?”
fece, con quell'accento francese che Sapphire non sopportava.
La matita
lasciava linee nere di grafite sul foglio, morbide e continue.
“È molto
bello” fece Whiteley, guardando il suo capo rifinire il vestito dorato che
avrebbe messo assieme quel giorno.
“Grazie.
Devo allargarlo sui fianchi, qui, perché Yvonne non ha il corpo di una modella
tradizionale. “Ecco...”.
Alzò gli
occhi, Ruby, guardando la giovane fissare la punta della matita.
Fu allora
che il ragazzo salì col tratto, andando a definire i particolari delle spalle.
Sentiva Whiteley avvicinarsi di più, e poteva percepirne il dolce profumo dei
capelli, sempre acconciati in quella maniera fin troppo particolare.
“T'interessa
tanto, eh?”.
Quella
trasalì, lasciandosi andare a uno dei rari sorrisi che aveva fatto da quando
lavorava lì.
Non sapeva
nulla di lei, Ruby, ma in quel momento quell'abito era la cosa più importante.
La sfilata
doveva andare bene.
“Mi scusi
se le ho dato fastidio” disse, facendo un passo indietro. “Lei è bravissimo”.
“Ho
trent'anni, Whiteley, non darmi del lei... Te l'ho detto mille volte” sorrise
l'altro.
La vide
arrossire. Era parecchio timida.
“Scusa”.
“Tranquilla”.
E continuò
a lavorare sul disegno quando, una manciata di minuti dopo, il segnale sonoro
dell'ascensore lo avvertì che qualcuno era salito nell'atelier.
Alzò gli
occhi e vide un uomo tarchiato, con una salopette blu e dei grossi stivali
antinfortunistici trainare un carrello con un grande pacco.
Alle
spalle vi era White, che camminava come se fosse una vip sul red carpet alla
premiazione del Golden Globe, con gli occhiali da sole dalla montatura delle
lenti a mosca poggiati sul naso.
Alle
spalle vi era Sapphire, col volto provato, che stringeva il gomito sinistro con
la mano destra.
“Ecco il
tessuto” fece la Presidentessa, sorridendo.
Ruby uscì
dall'office, a dir poco contento.
“Ce l'hai
fatta!” fece, rubando a una delle ragazze che lavoravano per lui un paio di
forbici.
“Scarica
pure qui, Bruce” disse la donna. Prese poi le forbici dalle mani del ragazzo
e incise lo scotch da imballaggio. Poco
dopo il pacco era aperto e ben sedici pezze di tessuto dorato erano state
tirate fuori.
Ruby se le
passava tra le mani, felice. Ne strinse una tra i pugni e, sorridente come un
bambino, si avvicinò a Sapphire, baciandola sulla guancia.
“Questo
sarà il vestito più importante dell'intera collezione! Sono carichissimo!
Grazie, White!”.
Sapphire
si voltò, guardando la felicità negli occhi del suo ragazzo.
Aveva
realizzato un sogno, e il suo viso pareva disteso e calmo. Pareva aver trovato
il proprio posto nel mondo.
Ma fu
quello che successe dopo, a sconvolgere la giovane ragazza di Albanova: il
volto di Ruby mutò, si modificò, addolcendosi; le labbra si schiusero
leggermente, il sorriso, dapprima pieno, divenne una linea più morbida. Gli
occhi si chiusero in maniera lenta e graduale, per poi riaprirsi, ma non del
tutto.
Ruby era
consapevole di qualcosa. Sapphire aveva visto quell'espressione solo quando si
era dichiarato innamorato di lei.
E in quel
momento gli occhi del suo ragazzo stavano guardando Yvonne, appena entrata
nell’atelier.
“Bionda,
buongiorno” fece, staccandosi di un passo da Sapphire. “È arrivato il
materiale. Andiamo a prendere le misure”.
La ragazza
dagli occhi blu come lo zaffiro ebbe come un colpo dietro al collo.
E,
involontariamente, partì una domanda che ormai portava con un sé una risposta
più che ovvia.
“Yvonne… è
la modella che indosserà… Yvonne indosserà l’abito dorato?”.
“Io non lo sapevo. Altrimenti mi sarei opposta con tutte le
forze. Il problema è sorto quando ci ho provato, dato che questa situazione
aveva cominciato a dilaniarmi dall’interno. E, credo, per la prima volta nella
mia vita, di aver preso il coraggio a due mani per porti davanti a una scelta”.
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