Come quando fuori nevica
♥ ♦ ♣ ❄
by Andy Black & Levyan, più
comunemente noti come
La Ciurma di Anne Bonny
24
dicembre 1933, 19:05, Principato di Monaco, Montecarlo
La
Jaguar SSI si fermò docilmente di fronte all’entrata del Coucher Club. Prontamente, uno dei facchini accorse accanto alla
portiera del guidatore. Dall’auto uscì un uomo dallo sguardo felino,
abbottonandosi i primi due bottoni del suo smoking bordeaux. Era un signore di
mezza età, dal volto curato e l’occhio spettrale. Vantava un fisico massiccio e
una statura elevata, suscitava rispetto con la sua sola presenza. Lasciò la
chiave al ragazzo, stringendo tra le mani una valigetta in pelle nera e fece
lentamente il giro del veicolo, andando ad aprire la portiera alla sua signora.
Lei si mostrò al mondo nella rara bellezza come un’eclissi solare. Scese
elegantemente dal sedile, scoprendo appena le sue morbide gambe. Indossava un
abito ceruleo con una notevole scollatura, stringeva con la mano destra una
borsetta scintillante. Aveva i capelli castani raccolti in una complessa
architettura che ricordava l’increspatura delle onde, accecava i comuni mortali
con i suoi occhi glauchi.
L’uomo
le tese il braccio, lei lo sfiorò con le sue dita smaltate. La coppia si avviò
verso l’entrata.
«Signor
Giovanni, è un piacere vederla qui» salutò il receptionist, non appena l’uomo
gli si presentò davanti «signorina Blue» accennò un inchino anche alla dama.
Giovanni
sorrise, ricambiando il saluto.
«La
sua suite vi aspetta, faccio portare dell’Armand
de Brignac, come sempre?» chiese il receptionist, poggiando la chiave
dorata sul bancone.
«Gentilmente»
acconsentì lui, prelevando la chiave.
La
coppia sparì nell’ascensore, mentre in contemporanea un secondo facchino si
apprestava a portare le loro valige, ma non la valigetta, che era stretta nelle
mani del cliente.
Più,
in là, seduto al salottino del bar proprio accanto alla hall, un uomo dagli
occhi dorati aveva osservato tutta la sfilata con particolare attenzione.
Sfiorò con un dito la ricetrasmittente che aveva nell’orecchio.
«È
lui?» domandò a voce bassissima.
«È lui» confermò l’assistente, dall’altro
lato del comunicatore.
«Il
nostro cliente è interessato ai suoi soldi o alla sua donna?»
«Poche storie, fai il tuo lavoro, agente»
lo zittì.
«Domani
mattina sarò in possesso del contenuto della valigetta, tranquilli» affermò con
sicurezza l’altro.
La
comunicazione fu interrotta. L’agente bevve l’ultimo sorso del suo Dry Martini e si avviò verso la sua
suite. Sapeva quale fosse la sua missione, aveva raccolto abbastanza
informazioni a proposito di Giovanni, nei giorni precedenti: era un bancario
importante, il cui lavoro consisteva sostanzialmente nel riciclare i soldi
delle sue losche attività. Qualcuno era interessato ai suoi soldi, ma tutti
volevano la sua testa. Andava sempre così: i boss della malavita erano
diventati impossibili da derubare. Il loro patrimonio era tanto frammentato tra
conti bancari fasulli e prestanome da essere un tesoro bello e impossibile. La
loro fama, invece, era sulla bocca di tutti. Per questo, spesso i loro nemici
preferivano ucciderli piuttosto che depredarli, il che poteva sembrare più
audace, ma era soltanto molto più semplice. L’agente segreto 069, invece,
avrebbe dovuto fare l’esatto opposto: entrare in casa sua e rubare il pane per
poi andarsene senza lasciare vittime. Sembrava impossibile, ma era proprio
quello il perno del suo lavoro: fare cose impossibili.
069
ragionava con attenzione: la suite di Giovanni era all’ottavo piano, lo aveva
letto sulla placchetta della chiave, ma sarebbe stato impossibile introdurvisi
di nascosto. Tuttavia, lui conosceva il suo bersaglio fin dentro al midollo,
sapeva come portarlo in trappola. Giovanni era lì per giocare a poker, si
organizzavano sempre dei tornei milionari verso la fine di dicembre, serviva ai
grandi imprenditori a riorganizzare i propri possedimenti appena prima dello
scoccare dell’anno nuovo, e quindi delle nuove quotazioni. Per loro era un
gioco, per tutti gli altri... la vita vera.
Insomma,
il piano consisteva nell’introdursi nella sua suite per impossessarsi dei dati
in quella valigetta, all’interno della cassaforte di cui era provvista ogni
stanza del residence. Tuttavia, come avrebbe potuto entrare nella stanza di
quell’uomo senza dare nell’occhio, aprire quella cassaforte e sparire dalla
Francia il più velocemente possibile?
Non
era cosa da niente, si trattava comunque di una prova più che ardua, tuttavia
aveva già un’idea.
Un’idea
di cui non capiva se la matrice fosse partorita dalla fredda razionalità,
essenziale per la sua professione, o dall’istinto animale di una bestia
sanguigna e folleggiante. Lo sapeva, lui, che la via più breve per ingannare
Giovanni era abbindolare la sua donna, la bellissima Blue.
La
suite di 069 era ben ordinata. Girò la chiave nella serratura e sospirò: la
missione aveva inizio.
Avanzò
verso il centro della stanza e sollevò la valigia sul letto, sul quale le
lucide lenzuola di satin erano ben tirate. Dopo averla aperta la svuotò
velocemente da tutti gli abiti e sollevò il doppio fondo, estraendo lo speciale
stetoscopio che aveva in dotazione, la polvere bianca e il nastro trasparente
per i rilievi digitali e un paio di guanti che avrebbero coperto le sue
impronte. Avrebbe dovuto portare quell’attrezzatura con sé senza che nessuno se
ne accorgesse. Sfilò la giacca. Slacciò la fibbia dell’imbracatura per la
Walther PPK che aveva sotto l’ascella sinistra e depositò l’arma nel cassetto
del comodino. Doveva rinunciare a qualcosa, altrimenti avrebbe tradito la sua
copertura. Nascose stetoscopio, polvere e pellicola nella tasca interna della
giacca, rimpiazzando il volume della pistola. Anche ad un occhio esperto,
l’attrezzatura sarebbe stata invisibile.
Nodo Windsor per la cravatta dorata, proprio
come i suoi particolarissimi occhi. Era pronto per uscire, ma perse ugualmente
un secondo in più davanti allo specchio, sorridendo per testare lo charm e
sistemando l’impomatatissima acconciatura corvina, tutta ben tirata di
brillantina.
Indossò
la giacca e chiuse i primi due bottoni, quindi aprì la porta e uscì.
Il
corridoio era ben silenzioso, con le pareti rivestite da immensi ghirigori in
tessuto azzurro e dorato. Anche la moquette, azzurra e ben lucida, sembrava non
essere mai stata calpestata.
Lo
fece l’agente 069, continuando il proprio cammino, non rivelando in alcun modo
la propria ansia.
Arrivò
all’ascensore e guardò l’orologio.
Puntuale.
Premette
il pulsante e vide quel meraviglioso Schindler arrivare al piano, avvertendo
tutti con un segnale sonoro.
Le
porte si aprirono e Gold poté vedere un giovane addetto all’ascensore, con la
divisa grigia. Questa aveva delle strisce verticali, rosse e vivide, ai lati
delle braccia e delle gambe.
«Buonasera
Signore. Scende?».
069
infilò la mano nelle tasche dei pantaloni ed estrasse un biglietto da cinquanta
dollari, che lasciò l’altro sbalordito. «Lasciami da solo in quest’ascensore»
fece, porgendogli il denaro.
Quello,
confuso, raccolse la banconota e si voltò, uscendo dalla cabina. Era ormai
solo. Premette poi il tasto A sulla
pulsantiera, vedendo le porte chiudersi.
Era
pronto. Si voltò, vedendo l’intera Montecarlo sotto la neve attraverso la
grossa finestrata di cui quell’ascensore era dotato. Nessuno sembrava interessato
agli acuti nazisti in quei giorni di Natale, men che meno della figura del
Cancelliere, tale Hitler Adolf, un omino assai sterile ma dall’ego smisurato.
Hitler
non sembrava per niente un brillante statista; 069 aveva fatto ricerche su di
lui e aveva ripercorso tutta la sua patetica vita: nacque in una locanda, un
sabato di Pasqua del 1889, battezzato con rito cattolico, quarto di sei figli
da parte di madre, quattro dei quali morti primo di raggiungere i sette anni.
L’ultima aveva evidenti ritardi mentali.
Veniva
regolarmente picchiato da un padre adultero e alcolista, non era uno studente
brillantissimo e nel 1904 meditò di farsi prete, prima di venire bocciato per
la seconda volta durante le scuole. Scambiò la pagella per la carta igienica,
una volta finita la scuola dell’obbligo, l’anno dopo, e fu ritrovato privo di
sensi per via di un’ubriacatura.
Successivamente
provò con scarso successo a iscriversi all’Accademia delle Belle arti, dove fu
respinto due volte, e indirizzato presso l’università degli studi di
architettura. Ma non poteva, aveva solo la licenza elementare.
Sua
madre morì l’anno dopo, proprio nei giorni che precedevano il Natale, tumulata
due giorni dopo e ricordata per sempre come una donna affettuosa e amorevole.
Scappò quindi a Liverpool, dal fratellastro che prendeva il nome di suo padre,
cercando invano fortuna, e quindi ritornò a Vienna, dove s’avvicinò a idee
razziste e xenofobe e si convinse della superiorità ariana.
069
non aveva nulla di ariano.
Furono
varie le cause per cui divenne apolide, fatto stava che si arruolò come
volontario nell’esercito tedesco dopo essere risultato non idoneo in quello
austroungarico, divenne caporale e lottò il primo conflitto mondiale,
rischiando di morire quando un soldato inglese, tenendolo sotto tiro e
vedendolo incapace di reagire, in quanto ferito da una granata, decise di
risparmiargli la vita.
La
sua carriera politica cominciò negli anni ’20 e nel 1933 culminò con la sua
nomina al cancellierato.
Comandava
una nazione in pieno fermento e 069 sapeva che un colpo di stato avrebbe
ribaltato gli equilibri di tutto il mondo. Quell’uomo era pericoloso e non si
faceva scrupoli.
Avrebbe
ucciso miliardi di persone.
Avrebbe
sterminato popoli e nazioni.
E
l’avrebbe fatto grazie a ciò che conteneva quella valigetta, nella suite di
Giovanni e Blue Marconi: il nome e il cognome di qualcuno che avrebbe
trasformato il nulla in qualcosa di distruttivo.
069
sapeva.
069
era lì apposta.
Pochi
secondi dopo l’ascensore arrivò all’attico, aprendosi con quella musichetta
fastidiosa e presentando davanti agli occhi dell’elegantissimo agente segreto
la donna più bella che avesse mai visto: Blue Marconi, avvolta in uno scialle
celeste. Indossava un tubino del color del mare in burrasca, abbinato a un
cappello a tesa larga del medesimo colore, che nascondeva il suo sguardo.
Tra
la mani teneva una piccola Russell & Bromley di pelle di coccodrillo,
all’interno della quale, con ogni probabilità, la signora nascondeva le chiavi
della suite.
«Buongiorno,
signorina» disse 069. «Immagino che scenda…». Le sorrise con tutta la
dentatura, risultando ammaliante. Quella voltò il capo dall’altra parte,
mostrando poi sulla mano un enorme diamante su di un anello d’oro.
«Signora,
prego. Dov’è François? All’ascensore c'è lui, di solito» rispose lei, con
incredibile regalità, sporcata però da un accento del profondo sud Italia.
«François
è in vacanza. Del resto è Natale».
«Quasi.
Quasi Natale».
«Dove
premo?» chiese poi, guardandola dall’alto al basso e squadrandola in ogni suo
meraviglioso centimetro. Quella se ne accorse ma rimase a guardare dall’altra
parte.
«Pian
terreno» disse.
«Proprio
dove vado io».
069
premette il tasto T e si voltò,
guardando Montecarlo che si avvicinava sotto i suoi piedi. Accanto a lui aveva
la chiave di volta per quella guerra che sarebbe sicuramente scoppiata: fonti
interne alla CIA, infiltrate nei ranghi della fazione nazionalsocialista
tedesca, parlavano di un colpo di stato imminente.
Le
porte si aprirono nella hall, dove un giovane pianista di colore impilava note
su note, addolcendo l’atmosfera. La donna si mosse con garbo in avanti,
avvicinandosi al bar e sedendosi su di uno sgabello.
069
le si accostò, sedendosi accanto a lei, e passando accanto al cartello che
sponsorizzava il grande torneo di poker che si stava tenendo, proprio in quei
minuti, all’interno della grande sala presidenziale dell’hotel.
Blue
Marconi si voltò verso di lui, ruotando gli occhi e sbuffando. 069 invece si
sporse lungo tutta la lunghezza del grande bancone di mogano, indossando una
smorfia di disappunto.
«Dov’è
il bartender?» domandò.
La
donna non accennò a rispondere.
069
si guardò ancora attorno e poi sospirò, saltando oltre il bancone con grande
classe e agilità e sorridendo alla bella.
«Vuol
dire che oggi la servirò io, signora» sorrise pacatamente, guardando per un
attimo gli scaffali accanto a lui e sorridendo. «Cosa le preparo?».
La
donna non se l’aspettava, reagendo con un sorriso divertito.
«Prenderò un French Seventy-five».
«Allora
ne preparerò due. Ma prima vorrei presentarmi: il mio nome è Micheal Aurelio
Goldberg, oggi per servirla» sorrise, vedendo la signora porgergli il dorso
della mano che lui baciò educatamente.
«Molto
piacere».
«E
qual è il suo nome, bellissima signorina in cerca di superalcolici?»
Lei
sembrò venir colta alla sprovvista da una domanda semplice come quella: era
abituata ad essere riconosciuta da tutti coloro che incontrava e non a
presentarsi come una donna qualsiasi.
«Mi
chiami soltanto Blue» rispose, con uno smagliante sorriso spontaneo.
«Va
bene... Blue» il ragazzo posò gli occhi sulla fede nuziale «suo marito
preferisce lavorare piuttosto che godersi il soggiorno in così buona
compagnia?» azzardò 069, agitando lo shaker e versandone il contenuto in due
flûte.
«Veramente,
mio marito sta giocando a poker con altri uomini della sua levatura» rispose
lei, tagliente «e io dovrei essere lì con lui».
«Ma
lei non ha voglia di mischiarsi a quei noiosi uomini d’affari» improvvisò
l'altro, aggiungendo dello champagne e mescolando in maniera pacata.
«E
lei che uomo è?»
«Un
uomo che sa quello che vuole». 069 porse il cocktail alla signorina,
poggiandolo delicatamente sul bancone.
«Insomma,
un cacciatore» Blue assaggiò la bevanda.
«Se
preferisce».
«E
mi dica, si concentra sempre sulle prede più difficili per un eccessiva stima
di se stesso o perché così se sbaglia può sempre scendere al gradino
inferiore?» chiese la donna.
«Io
non sbaglio» rispose 069, scandendo bene le parole.
«Opterei
più per la prima, allora» lo canzonò lei.
«E’
buono, il cocktail?» domandò lui.
«E’
ottimo».
Ci
fu un momento di silenzio.
«Lei
sta solamente al gioco, signor Goldberg» sorrise Blue, con una sottile aria di
superiorità «quando la finirà con questa messinscena?»
«Dipende,
potrei continuare per tutta la notte» rispose lui, lasciando intendere.
I
loro occhi si scontrarono con forza, incontrandosi a metà strada, dove la fame
e il fuoco divampavano.
«Direi
soltanto per le prossime tre ore... poi mio marito tornerà in camera» ribatté
lei.
«Me
le farò bastare» rispose 069, poggiando il bicchiere sul bancone.
Le
porte dell’ascensore non fecero in tempo a chiudersi; Blue lasciò che 069 le
prendesse i fianchi e l'avvolgesse in un voluttuoso bacio. Fortunatamente,
François non era ancora rientrato nella cabina. La donna percepiva le forti
braccia di lui che tentavano di stringerla a sé e le sue mani che andavano
gradualmente alla ricerca delle sue grazie femminili. Lei lo lasciò fare, ma si
staccò appena prima che potesse raggiungerle: le porte dell’ascensore si erano
aperte. Gli sorrise fatalmente e uscì. 069 non si scompose. Si pulì dal
rossetto che gli era rimasto sulle labbra con il polsino della camicia e seguì
la donna nel corridoio. I due amanti mantennero la massima compostezza fino al
momento in cui la serratura della camera scattò. Blue si lasciò trasportare
dentro, accompagnando con delle fusa i movimenti invadenti e mascolini di
Goldberg.
Quest’ultimo,
dal canto suo, osservava la suite, individuava le uscite e le possibili
posizioni di armi e altri oggetti contundenti e provava a individuare la
posizione della cassaforte che era il suo obbiettivo primario.
I
due si abbandonarono sul letto matrimoniale ancora intonso, scostando
copriletto e lenzuola, sbattendo la cornice contro il muro decorato a motivi
floreali. Il vestito di Blue scivolò via, e così la giacca che 069 fu
abbastanza accorto da lanciare il più lontano possibile, su una poltroncina, in
modo da non lasciare che i suoi strumenti fossero scoperti. Ad ogni modo, Blue
sembrava non sospettare nulla, occupata com’era a gemere sotto le mani esperte
dell’agente.
Due
ore dopo, la situazione si era calmata. 069 riposava sul materasso e Blue si
nascondeva nelle lenzuola, sorridendo al suo amante.
«Facciamo
così, io vado a ricompormi» ruppe il silenzio lei «quando esco dal bagno, devi
essere scomparso» gli intimò.
069
chiuse gli occhi «abbiamo ancora tempo» tentò.
«Io
sarò qui per tutta la settimana» alluse lei, provocatrice.
«Vedremo,
raramente attracco due volte sullo stesso porto» la snobbò lui.
Blue
non colse la provocazione e si alzò dal letto, completamente nuda. Lasciò 069
con una carezza e ancheggiò fino all’altro lato della suite. Lui la osservò per
qualche secondo, apprezzandone l’ultima visione. Poi la porta del bagno
interruppe la sua linea visiva.
069
scattò in piedi, rimettendosi i vestiti alla ben e meglio. Infilò i pantaloni,
strinse la cinta, abbottonò la camicia a intervalli irregolari e si gettò la
cravatta sulle spalle. Infilò la giacca, tastandola per saggiare se
l’attrezzatura fosse ancora lì. Mise i guanti sottili per evitare di lasciare
impronte quindi girò per qualche secondo nella suite, nel massimo silenzio.
Aveva studiato alla perfezione le planimetrie di quella stanza e sapeva che la
locazione della cassaforte era una e una soltanto.
Quindi
si mosse lentamente, inginocchiandosi sul letto e spostando il quadro che c'era
sulla parete che aveva davanti.
«Bingo».
La
scatola di sicurezza era incassata nel muro e presentava una serratura a
combinazione meccanica, il che rendeva inutile l’attrezzatura per la
rilevazione digitale. Estrasse invece lo stetoscopio e iniziò ad auscultare il
rumore interno al metallo. Ruotava lentamente il congegno, fermandosi in
corrispondenza di quei debolissimi scatti che lo strumento captava. Finalmente,
dopo un tempo da record per un intrusione di tale difficoltà, riuscì a
spalancare lo sportellino. La valigetta era lì, in tutto il suo splendore di
pelle.
Rabbrividì,
pensando di aver portato a termine tale missione. 069 allora la prelevò,
stringendola sotto l’ascella, per maggiore sicurezza. Non tralasciò nulla,
aveva ancora parecchio tempo prima che Giovanni Marconi rientrasse dal suo giro
di poker. Chiuse la cassaforte, rimise il congegno nella stessa posizione,
allineò il quadro parallelamente al terreno e si diresse verso l’uscita. Dal
bagno non provenivano suoni, il che lo mise un po’ a disagio.
Stava
per poggiare la mano sulla maniglia ed uscire, ma qualcuno sbloccò la serratura
prima di lui.
La
porta si aprì come il cancello dell’inferno.
069
si trovò una Beretta M32 puntata alla testa e la mano che la stringeva era
quella di Giovanni. Nei suoi occhi, ardeva il disprezzo. Nessuna forma d’ira,
solo il contegno dell’uomo inscalfibile che era.
«Volevi
fottermi?» domandò lui, avanzando lentamente. «Credevi di fottermi come una
lurida puttana? Beh, ti sbagli...» sorrideva. «Nessuno può fottermi».
«Giovanni
Marconi...» sospirò invece Goldberg, indietreggiando e stringendo forte la
valigetta sotto il braccio. «Non hai idea di ciò che stai per scatenare,
andando a vendere il contenuto di questa valigetta».
L'uomo
con la Beretta si lasciò scappare un ghigno, mostrando l'incisivo dorato giusto
per un istante. Abbassò leggermente la testa e poi sorrise.
«La
cosa non m'interessa. Hitler farà ciò che deve e io diventerò ancora più ricco.
Inoltre in Italia saremo protetti... Spingeremo a creare un'asse con Berlino e
questo mi farà stare al sicuro da qualsiasi bomba atomica vorrà creare».
«Bomba
atomica...» impallidì 069, ingoiando sassi e puntine di metallo. «Perché?»
domandò, mentre sudori congelati percorrevano l'interezza della sua schiena.
«Perché
la vita ha un prezzo. Oggi decido io che valore dargli. Domani deciderà Adolf
Hitler. Ciò che conta è che il contenuto di quella valigetta si trasformi in
miliardi di franchi e che io riesca ad arricchirmi» sorrise ancora. Goldberg
ebbe il tempo per analizzare la situazione, guardando quell'uomo muscoloso e
alto che dimostrava meno anni di quanti in realtà ne possedesse.
Forse
era il potere, forse la sicurezza che ne derivava. Solo una cosa del genere
poteva attirare donne del calibro di Blue Marconi, che ancora non usciva dal
bagno.
«Tu...
tu uccideresti miliardi di persone per denaro?!» impallidì l'agente segreto.
«La
mia coscienza è pulita. In quella valigetta ci sono solo un nome e un cognome.
E basta...».
«Sei
un uomo di merda!» urlò quindi l'altro, spinto da un moto ardente di passione
che lo fece scattare verso l'uomo con la pistola. Pensò che forse, prendendolo
di sorpresa, sarebbe riuscito a dargli una forte spallata e a fuggire dall'albergo
in tutta fretta.
Ma
così non andò.
Rapidamente,
Giovanni premette il grilletto della sua pistola, perforando il centro della
fronte con un grosso proiettile. Il sangue schizzò ovunque, lordando le pareti
circostanti e continuando a fuoriuscire da quel corpo ormai privo di vita.
Il
mafioso avanzò e strappò dalle mani della salma la valigetta, pulendola dal
sangue con un fazzoletto che gettò sul corpo esanime, quindi chiuse la porta e
andò verso l'armadio.
«Blue!
Esci dal bagno! Dobbiamo nascondere il corpo di questo stronzo prima che la
polizia ne senta la puzza!».
La
serratura del bagno scattò, e la porta s'aprì, mentre Giovanni era ancora di
spalle.
«Tra
un paio d'ore avverrà lo scambio di valigette. Prenderemo i nostri dieci
miliardi e spariremo da Montecarlo» faceva, aprendo una valigia e riempiendola
coi propri vestiti.
«Non
avere fretta, amore mio» sussurrò al suo orecchio la donna, che lentamente
gl'infilò dietro la base della nuca un piccolo coltello dal manico in avorio.
Giovanni
ricadde senza forze sul letto, sporcando di sangue nero e caldo quelle
preziosissime lenzuola.
La
valigetta cadde per terra, vicino la mano dell'agente segreto sparato al
centro della fronte. Blue la prese e si guardò allo specchio, coi capelli
bagnati avvolti in un asciugamano e un grosso accappatoio bianco ad avvolgerle il
corpo.
Gli
occhi blu sparirono per un attimo oltre le palpebre, prima che la sua
ricetrasmittente trillasse.
Con
la valigetta tra le mani, si spostò verso il comodino e ne aprì il primo
cassetto, prendendo l'apparecchio.
«Sì,
qui agente 007, nome in codice Fairyhands.
L'obiettivo è a terra, la valigetta è tra le mie mani e un'agente del
controspionaggio inglese è stato fatto fuori».
«Qui Langley, ottimo lavoro, Fairyhands. Un
volo privato per Richmond ti aspetta all'aeroporto di Parigi. Troverai lì un
agente del Dipartimento di Stato Americano che ti scorterà fino ai nostri
uffici. Passo e chiudo».
«Ricevuto».
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