UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
Unima,
Austropoli, 30 aprile 20XX
“Dove
lo portate?!”.
Yvonne
inseguì per qualche metro la barella che trasportava Ruby in
ospedale sui marciapiedi di Gorgon Street. Infermieri dalla divisa
catarifrangente lo caricarono sull’ambulanza, che colorava di rosso
e di blu le facce dei presenti. Una delle operatrici, una latina non
molto alta ma dal petto prominente e dai fianchi larghi, le rispose.
“Al
West Memorial, sulla quarantasettesima”.
“West...
West Memorial...” ripeté la donna, mantenendo un fazzoletto
davanti alle labbra. La donna la guardò per un secondo, prima che
due poliziotti le si avvicinassero.
Uno
aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri; non indossava il cappello
e aveva la divisa ben stesa sul corpo tonico. L'altro era un
detective, col classico impermeabile, ma nero. Più basso dell'altro,
più magro, forse con un filo di pancetta che s'intravedeva oltre il
bordo della camicia bianca, e che per i suoi quarant'anni e oltre era
giustificato. Aveva i capelli scuri e la barba sul volto di un paio
di giorni.
Fu
quest'ultimo a parlare per primo, prendendo penna e blocchetto dalla
tasca interna del soprabito.
“Immagino
sia lei la signorina… mhm... Yvonne Gabena...” lesse.
“Polizia
di Austropoli” fece l'altro, portando le mani ai fianchi e
squadrandola col sopracciglio destro inarcato. L'uomo sostava proprio
sotto la luce di uno degli alti lampioni, dalla base in ferro
battuto.
La
donna si sporse verso destra, avanzando lentamente e fissando con
attenzione l'ambulanza che si allontanava. Sentiva nel petto l'ansia
che cresceva.
Ruby
si allontanava e lei era lì.
Doveva
andare da lui.
“Ho
bisogno di un taxi...” fece, allungando nuovamente un passo verso
destra, quando alto
e muscoloso le
si pose davanti.
“Deve
rispondere prima a qualche domanda” le disse l'altro.
Yvonne
incrociò lo sguardo con lui. Quei poliziotti erano d'ostacolo al suo
obiettivo.
Come
una leonessa, fiera, mostrò i denti.
“Je
dois aller àu West Memorial! Je dois aller àu Ruby!”.
“È
di Kalos, questo bocconcino” sorrise il biondo, con ancora sul viso
la stessa espressione.
Yvonne
fece per avanzare ancora, quando il detective le strinse il polso.
“Non
capisco il francese, signorina, ma aspetti un attimo: sarà libera di
andare dopo aver risposto qualche domanda”.
Una
Sabre verde sorpassò l'ennesimo taxi, che accostò pochi metri
davanti a loro. Una coppia di anziani vi uscì, per entrare subito in
un'alta palazzina.
Le
urla di Yvonne, però, continuava a squarciare le interferenze della
città.
“Devo
andare! Devo andare da Ruby!”.
“Parla
della vittima” riprese il biondo.
“Sì,
Specter, l'ho capito”.
Gli
occhi di quello senza divisa si spostarono dal collega alla modella.
“A me servono solo cinque minuti. Un paio di domande...”.
“Uff!
Avanti!” ribatté Yvonne, portando la mano destra al fianco, mentre
la sinistra ancora premeva sul labbro superiore.
“Il
signore al secondo piano del palazzo ha dichiarato che l'uomo coi
capelli ricci la teneva stretta per il collo... e poi ha visto Ruby
Normanson venire in suo soccorso”.
“Sì...
è così”.
Un
soffio di vento le congelò il sangue. La voce del detective le
rimbombava nella testa.
“Conosceva
l'aggressore?”.
“Era
il mio... ex
fiancè...”.
I
due poliziotti si scambiarono un'occhiata fugace. L'investigatore
segnò diverse cose sul taccuino.
“Può
darci qualche informazione in più su quest'uomo?”.
Yvonne
fece spallucce e sbuffò ancora, non riuscendo a nascondere
l'impazienza di voler raggiungere Ruby all'ospedale.
“Che
dovrei dirvi?” domandò, sconfitta.
“Le
generalità, per esempio”.
Quella
cercò nello sguardo dell'agente Specter una definizione per quella
parola, che non riconosceva.
“Generalità?”.
“Nome,
cognome...”.
“Sergei
Burian...”.
“Russo?”
domandò il detective.
L'altra
annuì. “Russo. Ha trentasei... trentasette anni... li ha compiuti
la settimana scorsa...”.
“Continui”.
“Che
cos'altro dovrei dirvi?! Non so più niente!”.
“Si
calmi, dolcezza” s'inserì nuovamente Specter. “Conosce il suo
lavoro? O dove abita ora?”.
“Non
ho idea di cosa faccia, erano mesi che non lo vedevo. Vivevamo
assieme in una comune... a Bellevie Avenue...”.
“In
periferia. Spacciava?”.
“Prima
sì”.
La
radio di Specter suonò, facendo allontanare il poliziotto.
“Poi?”
continuò l'altro.
“Poi
non lo so! Devo andare da Ruby!”.
Gli
occhi color nocciola del detective indugiarono sulla testimone.
“Non
sparisca. Può andare”.
La
donna prese a correre. Il freddo aggrediva il suo volto, strappandole
lacrime incandescenti dagli occhi. Aveva paura.
“West
Memorial… quarantasettesima…”.
Ormai
lo ripeteva come un mantra.
Nella
sua mente rivedeva il sangue di Ruby che gl’impregnava la camicia,
al di sotto del soprabito scuro. E il suo sguardo che si perdeva
nella paura, le sue gambe che si piegavano.
Il
cuore della ragazza stava per esplodere e intanto il respiro
diventava fumo e si alzava in cielo.
Raggiunse
l’uscita dell’hotel ma non c’era alcun taxi ad aspettarla.
“No!”
urlò. Premette il fazzoletto davanti alla bocca per cercare
d’arrestare la discesa del sangue e intanto si guardava attorno.
Guardò
l’orologio. La mezzanotte sarebbe scoccata dopo appena una decina
di minuti, non era tardi.
Continuò
a guardarsi attorno, con la testa che girava e il cuore che
esplodeva.
“Un
taxi! Sacrebleu!”.
Non
rimase ferma.
Riprese
a correre mentre i polmoni bruciavano per l’aria congelata che li
riempiva. Voltò l’angolo, verso la sesta e Skylar Avenue, e
continuò a macinare metri su metri lungo quel marciapiede,
superando, poco prima di un vecchio bar, una coppia che si baciava
romanticamente.
Passarono
sessanta secondi prima che un paio di luci calde illuminassero il suo
volto.
“Taxi!”
urlava Yvonne, agitando la mano libera.
Il
fazzoletto che aveva davanti alla bocca era impregnato ormai di
sangue seccato.
La
mano tremava, le lacrime non riuscivano a fermarsi e il cuore
batteva.
Pensava
soltanto a Ruby e al coraggio che aveva avuto per difenderla, e
sentiva il panico attanagliarle lo stomaco.
Era
colpa sua. Tutta colpa sua.
“Taxi!
Taxi! Ferma, taxi!” fece, saltando in strada, proprio davanti alla
vettura.
I
freni stridettero e le ruote s'aggrapparono all'asfalto, prima che un
uomo d'origini mediorientali s'affacciasse dal finestrino.
“Che
cazzo stai facendo?!” urlò, pieno di rabbia, con accento arabo.
“Al
West Memorial!” ribatteva a tono la donna, balzando in avanti e
aprendo la portiera, per poi sedersi sui sedili posteriori.
Quella
macchina puzzava, i sediolini erano impregnati d'un mix di sudore e
spezie. Qualcuno aveva dimenticato un guanto di pelle nera, che era
caduto sul tappetino.
“Dove
vai?! Devo andare al centro a prendere un cliente!” urlò ancora
quello, voltandosi repentino.
“West
Memorial! Sulla quarantasettesima! Ti prego!”.
“Non
posso adesso!”
Yvonne
lo fissò: aveva la pelle mulatta e la barba folta, ispida e corvina.
Poggiato
sul naso aveva un doppio paio di lenti, di quelle semplici, senza
montatura e con le asticelle sottili. I capelli erano sporchi,
oleosi, corti ma non troppo.
“Le
darò tutto ciò che ho in borsa!” piangeva quella, spalancando la
pochette e rivoltandola sul sediolino. Caddero quattordici dollari e
svariati centesimi, la tessera della stanza d'albergo e un Tampax
ancora imbustato.
Forse
fu la disperazione che trasmetteva, mista a quell'ansia, a quella
frenesia che le attraversava lo sguardo, o forse le lacrime che le
colavano dal mento, ma Rajesh Khalehed, così si chiamava il tale,
rimase convinto.
“Va
bene...”.
“Grazie!”
urlò Yvonne, sorridente. Strinse il braccio dell'uomo con entrambe
le mani, in segno di riconoscenza.
“Dove
hai detto che dobbiamo andare?”.
“West
Memorial!”.
“Quarantasettesima?”.
“West
Memorial! Quarantasettesima!” esclamò, piena di paura. Pensava
ancora a Ruby.
Pensava
al peggio.
Il
taxi si mise in moto e in sette minuti arrivò fuori al complesso
ospedaliero.
Lasciò
i soldi e l'assorbente sul sediolino e uscì fuori, alzando gli occhi
davanti al grande edificio. Non tutte le finestre erano illuminate,
forse per via dell'ora tarda.
Percorse
il vialetto d'ingresso correndo velocemente, fino a raggiungere delle
scalinate, che salì due a due, ad ampie falcate.
Il
cuore pulsava, le luci bianchi dei neon inondarono il suo volto non
appena mise piede nell’atrio, ampio, dai grossi pavimenti in marmo.
Molte
persone sostavano in piedi, alcuni di loro indossavano un camice ma
nessuno pareva degente o in attesa di soccorsi.
Del
resto quello era l’ingresso principale.
Spedita,
si gettò verso il bancone che aveva davanti, dove un infermiere era
a colloquio con una signora attempata dal taglio d’occhi orientale.
Yvonne
la spostò di peso, col panico sul volto e le lacrime agli occhi.
“Ruby
Normanson! Dov’è?! Ruby! Si chiama Ruby! L’hanno portato qui!
West Memorial!” sbraitava, totalmente sconvolta.
L’uomo
al di là del bancone si alzò in piedi, spaventato.
“Signorina…
si calmi…” faceva la vecchietta, stringendole un braccio.
“Devo
vedere Ruby!” ribatté. La voce della donna riecheggiava
tutt’intorno, salendo in alto, amplificata dalla grande volta
presente sulle loro teste.
“Chi
diavolo è Ruby?! Signorina, lei è in un ospedale! Non urli!”.
“Devo
vedere Ruby!”.
L’infermiere
guardò per un attimo la vecchietta e poi alzò il telefono. Digitò
un numero e portò la cornetta all’orecchio.
Yvonne
strinse il bordo in marmo del bancone tra le mani. Aveva ormai
gettato il fazzoletto, l’epistassi si era fermata ma aveva lasciato
il labbro superiore sporco di sangue secco.
“Sì,
Marvin… Per caso in pronto soccorso avete ricevuto una certa…
Ruby…” fece lui, guardando l’avventrice sconvolta con aria
interrogativa.
“È
un uomo! Ruby Normanson!”.
“È
un uomo. Ruby Normanson… È passato di lì. Va bene”.
L’uomo
abbassò la cornetta e guardò la donna.
“È
arrivato venti minuti fa al pronto soccorso. Non è grave... quindi
si calmi”.
“È qui!” esclamò.
“È qui!” esclamò.
“Sì,
è qui… Imbocchi questo corridoio” fece, indicandolo con la mano,
continuando a guardarla negli occhi. “Non il primo ascensore, il
secondo… quinto piano. Lui è lì. Sta bene, attende di essere
dimesso”.
“Grazie!”
urlò, correndo a perdifiato lungo il corridoio in cui era stata
direzionata dall’infermiere. A quell’ora tutte le porte erano
chiuse. Le poche persone che la videro arrivare si avvicinarono al
muro.
Sorpassò
il primo ascensore e raggiunse il secondo, premendo il tasto di
chiamata più e più volte, con foga.
I
secondi passavano, il cuore batteva e l’ascensore non arrivava.
L’ansia che aveva in corpo non accennava a diminuire, nonostante le
rassicurazioni dell’uomo all’accettazione.
Doveva
vederlo coi suoi occhi.
Cominciò
a saltellare sul posto, impaziente, mentre guardava il led
dell’ascensore illuminare il numero tre: era ancora al terzo piano.
“Forza!
Putain,
forza!”.
Undici
secondi dopo, durati più di cinque minuti nella sua testa, le porte
dell’ascensore si spalancarono. Lei si gettò nella cabina e
premette il pulsante più e più volte, girandosi e guardandosi allo
specchio.
Lo
spettro che le si parò davanti era quello di una ragazza col volto e
la maglietta sporca di sangue, i capelli biondi e spettinati e gli
occhi arrossati, dai quali erano partiti fiumi di lacrime nere, che
le avevano dipinto gli zigomi come acquerelli sulla tela.
Aveva
freddo. Non le importava.
Si
voltò quando il segnale sonoro l’avvertì che fosse arrivata al
quinto piano. Aprì le porte e uscì dall’ascensore come se
all’interno vi fosse stato appiccato un incendio.
Guardò
a sinistra, dove diverse persone erano sedute in una sala d’aspetto,
su poltroncine beige sdrucite, al pari delle loro facce.
A
destra vi erano invece diversi dottori, tutti in camice bianco,
affiancati da infermieri dal camice azzurro.
Davanti
a lei un altro banco d’accettazione. Si mosse rapida.
“Ruby
Normanson. Dov’è?!”.
L’infermiera
si chiamava Tonia; era una corpulenta donna di colore dai capelli
ricci e scuri.
“Il
ragazzo accoltellato?” chiese, con una calma quasi irreale se messa
a confronto con Yvonne.
“Sì!
Devo vederlo!”.
“Lei
è una parente?”.
“Sì!
Dov’è?!”.
“Nella
camera quarantacinque, ma deve aspettare un medico che la
accompagni”.
Tutto
fece, Yvonne, tranne che attendere. Dribblò dottori e infermieri
mentre veniva richiamata, guardando i numeri accanto alle porte.
“Quarante-trois…
quarante-quatre… quarante-cinq! La voici!”.
Spalancò
la porta e lo vide, seduto sul letto, senza maglietta e col torace
fasciato da una grossa benda, che gli girava tutto attorno alle
costole.
Alzò
gli occhi, Ruby, la vide e li spalancò.
“Yvonne…”.
Quella
si lasciò andare al pianto, correndo verso di lui e stringendolo con
delicato vigore al collo.
Fu
intimo ed essenziale.
Solo
due cuori, il dolore, il sangue, le lacrime, e i loro respiri.
I
loro petti si stringevano. I loro battiti si presero per mano.
“Sei
sporca di sangue... Ti hanno medicato?” chiese lui, sentendo forte
il suo profumo. L'odore che emanavano i suoi capelli era dolce e
penetrante.
La
sentì sussultare.
“Mi
rispondi?”.
“Non
importa”.
“Importa
a me”.
Yvonne
sospirò. “Scusa... Se sei qui è solo colpa mia...”.
“Non
ti avrei mai lasciata nelle grinfie di quell'animale”.
Qualcuno
bussò alla porta, alle loro spalle.
Senza
neppure mollare la presa, la donna girò la testa, guardando un
dottore dai capelli corti e radi sui lati.
“Ruby
Normanson” fece quello, leggendo la cartella che aveva tra le mani.
“Ferita di coltello sul fianco, lieve perdita di sangue...”. Alzò
poi gli occhi. “Spero non sia stata questa signorina a conciarla
così”.
Il
ragazzo sorrise. “Credo che questa signorina mi concerebbe assai
peggio...”.
“Meraviglioso.
Bene... la Dottoressa Herbert le ha praticato la sutura e le ha
prescritto i medicinali. Infine, e questo lo dico proprio alla
signorina bionda: stanotte niente sesso. Non gli faccia fare
sforzi... Domani non voglio venire a sapere che siete tornati perché
gli si sono riaperti i punti”.
Mentre
Ruby sorrise, il volto di Yvonne rimase granitico. I suoi occhi erano
vuoti, senz’anima.
Il
ragazzo la guardò e quindi sospirò.
“È
ancora scossa…”.
“Comprensibile.
Ora si vada a riposare e non faccia stupidaggini”.
Ripercorsero
la strada inversa. Yvonne camminava come un fantasma, stringendo la
mano dell’uomo che aveva accanto e mantenendo lo sguardo sul
pavimento.
Entrarono
nell’ascensore e mantennero il silenzio per tutta la discesa.
Fu
quando tornarono in strada, in quella notte ormai troppo movimentata,
che Yvonne percepì i primi accenni di stanchezza.
Il
cuore rallentò il battito e le palpebre divennero più pesanti.
Ruby
la guardava, mentre quella non faceva altro che fissare avanti col
viso mezzo inclinato e gli occhi spenti.
“Yvonne…
È tutto finito”.
Quella
non lo guardò neppure. Avanzarono fino alla farmacia notturna,
presero i farmaci e salirono su di un taxi.
“Fai
piano” fece la donna, aprendogli la portiera e aiutandolo a salire
quando quello gli si accostò accanto.
L'intero
viaggio di ritorno fu un tappeto di silenzio steso sulle strade di
Austropoli, interrotto ogni tanto da qualche osservazione di Ruby,
che cercava di rincuorarla in qualche modo, vedendola attanagliata da
un’angoscia quasi liquida.
Arrivarono
all’hotel poco dopo. Ruby aprì la porta e vide Yvonne fare
altrettanto, ma più velocemente, correndo dall’altra parte della
macchina per aiutarlo.
“Non
sforzarti” gli disse.
Lo
tirò fuori dall'auto, con delicatezza, e sospirò.
“Non
ho soldi con me… Ho dato tutto ciò che avevo all’altro
tassista…”.
“Non
preoccuparti…” disse il ragazzo, stringendo i denti quando
dovette incrociare il braccio destro verso l’anca sinistra per
provare a prendere il portafogli nella tasca interna del soprabito.
La
ragazza lo fermò.
“Faccio
io”.
Pagarono
e salirono lentamente in stanza. Fu Yvonne a prendergli la tessera
per aprire la porta della camera, ad accendergli le luci e a
frugargli tra le tasche per passargli il cellulare.
“Telefona
White e avvertila. Cerca di non farla preoccupare…” gli disse, in
un tono inaspettato di maturità.
Ruby
guardò il telefono, poi guardò la mano e quindi annuì.
“Io
intanto vado a farmi una doccia…”.
“Ti
sto aspettando da quasi tre ore… Non le hai viste le sedici
chiamate perse?”.
Ruby
si limitò a sorridere, senza vedere Yvonne uscire dalla stanza, alle
sue spalle, silenziosamente.
“In
realtà il cellulare era nel cappotto”.
“Con
questo freddo, voglio sperare che il cappotto tu ce l’abbia
addosso”.
“Ora
no. Ora sono in stanza”.
Sentiva
la donna respirare profondamente, dall’altra parte del ricevitore,
mentre sentiva il dolore al fianco aumentare. Cercò meglio tra le
tasche e staccò una compressa dal blister, mandandola giù
senz’acqua.
“Mi
hai dato buca. Maturo, come comportamento. A maggior ragione quando
ci sono i tuoi soldi in ballo…”. La
sentì sospirare.
Yvonne
rientrò nella camera con uno zaino tra le mani, e come qualche
secondo prima, Ruby non se ne accorse.
“In
realtà sono finito all’ospedale… al… al…”. Non
ricordava.
“West Memorial” s’inserì Yvonne.
“West Memorial” s’inserì Yvonne.
“Sì”
annuì l’altro. “West Memorial”.
“Che
diamine stai dicendo?! E ora dove sei?!”.
“A
casa. Cioè, in camera… Yvonne è qui con me e mi sta aiutando
ma…”.
“E
che ti hanno fatto?”.
“Sono
stato accoltellato al fianco”.
“Ma
porca puttana! Stai bene?!”.
“Ma
sì, ma sì…”.
Alle
sue spalle Yvonne tirò fuori dallo zaino uno slip rosa e un maglione
lungo. Buttò la borsa accanto al letto e levò prima il giubbino e
poi la maglietta, rimanendo col reggiseno sportivo.
Gettò
per terra anche i vestiti per poi entrare nel bagno.
Ruby
non si era accorto di niente. Ascoltava White parlare.
“Austropoli
è una grande città, queste cose accadono…”. Vi
fu una piccola pausa, prima che continuasse.
“E
così sei con Yvonne... Saprà sicuramente farti da infermierina….”.
“È
un tesoro. Comunque dovremmo rimandare questo briefing…”.
“Già.
Vado a mangiare qualcosa. Avverti Sapphire. A domani” chiuse,
telegrafica.
“Buonanotte”.
Attaccò
e sentì l’acqua della doccia che scendeva, scrosciando.
Si
stava lavando lì, da lui.
Lentamente,
Ruby si voltò, camminando piano fino a raggiungere il letto,
circumnavigandolo e sedendosi proprio davanti ai vestiti della
ragazza.
Li
guardò, sospirando.
Aveva
davanti agli occhi l’espressione che indossava quando, trapelata,
s’era presentata alla sua porta d’ospedale; non vedeva altro che
paura.
Yvonne
aveva paura.
Raccolse
la maglietta da terra, sottile e leggermente sporca di sangue.
Sgualcita e piccola, tra le sue mani.
Come
poteva una donna così bella e forte vivere nel terrore?
Come
potevano un paio d’occhi meravigliosi come quelli avere ancora la
facoltà di piangere?
Come
poteva, una donna come Yvonne, provare sofferenza a tal punto da
diventare irriconoscibile?
Le
domande si accalcavano una dopo l’altra, prima che la mente di Ruby
si poggiasse sull’effettiva realtà dei fatti.
Quella
donna era sola.
Sempre
stata sola, da quando aveva messo piede a Unima, partita carica di
speranza e arrivata ad assaggiare la realtà: la vita faceva schifo.
E
lo aveva imparato sulla sua pelle.
Yvonne
era soltanto una ragazza bellissima col sogno dell'America. Un sogno
che aveva da bambina.
Un
sogno che poi si dovette scontrare con l’effettivo andamento delle
cose, visto che nessuno le aveva regalato niente.
E
quando si è da soli si fanno degli errori, anche abbastanza
grossolani.
Uno
degli errori d’Yvonne si chiamava Sergei, e vedere quell’errore
minacciare una delle poche persone che, in tutta la sua vita, le
avessero mai dato fiducia l'aveva portata allo stremo.
Ruby
era con White quando l’aveva pescata dal nulla, e lui s’era messo
in prima linea per difenderla.
Yvonne
era poesia per i suoi occhi, e non un pezzo di carne da fottere.
Per
via del suo aspetto s'era sempre accerchiata di persone mai
interessate ad andare oltre il guscio.
Levò
lentamente il cappotto, ormai imbrattato di sangue e guardò la
fasciatura.
S’era
davvero beccato una coltellata per una sua modella?
Ma
la domanda vera e propria era: perché non aveva ancora chiamato
Sapphire?
L’acqua
della doccia interruppe la propria discesa. Ruby aveva ancora la
maglietta della ragazza tra le mani, quando quella uscì dal bagno,
coi capelli bagnati e il maglione lungo a coprirle le cosce.
S’avvicinò
lentamente, battendo coi talloni sulla calda moquette, gli si fermò
davanti e s’accasciò sulle ginocchia, incontrando gli occhi rossi.
“Metterò
a posto domattina. Stenditi…”.
S’abbassò
ancor di più, sciogliendogli i lacci delle scarpe e scalzandole.
Poi
s’alzò. Ruby la vide sgambettare verso il frigobar, dove prese una
bottiglia d’acqua e due bicchieri di plastica. Li portò, pieni, al
ragazzo. Accese poi gli abat-jour e abbassò le luci, tornando in
bagno.
L’urlo
del phon coprì tutto.
Ruby
si stese lentamente, buttando giù quel mix di antidolorifici in
pasticche, e rimase a guardare la figura nello specchio, che di tanto
in tanto incrociava lo sguardo con lui.
Doveva
avvertire Sapphire, il cellulare era tra le sue mani, tuttavia gli
occhi di Yvonne continuavano a fissare i suoi attraverso il riflesso,
e sembravano parlare.
Doveva
avvertire Sapphire ma il bruciore non accennava a diminuire e il
pensiero di avere quella donna nel letto lo faceva impazzire.
Doveva
avvertire Sapphire, e basta.
Amore…
Scusami se ti contatto a quest’ora. Dormi? 01:03
Yvonne
si era letteralmente voltata verso di lui, continuando a passare con
la mano tra i capelli umidi. Il cellulare vibrò.
No.
Non riesco a dormire 01:03
Perché
non mi hai chiamato? 01:03
Credevo
stessi riposando. Anche tu insonnia? 01:03
No.
Non proprio. 01:03
Cosa
succede? 01:04
Il
ragazzo stava prendendo coraggio. Già immaginava la reazione.
In
realtà ho avuto un piccolo problema. Sono finito al West Memorial.
01:04
Cos’è
il West Memorial? 01:04
Praticamente
un salto nel vuoto.
Ospedale.
01:04
Fu
letteralmente come tagliare il filo rosso di una bomba. Il cellulare
vibrò qualche secondo dopo.
Incoming Call
S A P P H I R E
Il
nome della sua donna lampeggiava sullo schermo, dove la sua
fotografia la mostrava in bikini, coi capelli bagnati, il primo
giorno che raggiunsero Alola.
I
suoi occhi erano più azzurri del cielo.
Stava
per rispondere ma poi alzò gli occhi.
Yvonne
lo guardava ancora, quando lui fece cenno con la mano di fermarsi.
Ci
fu uno scambio di sguardi, in cui lui fu abbastanza abile da farle
capire che qualcuno stesse telefonando e che non avrebbe dovuto
capire che lei fosse lì.
Un
po’ le dispiacque. Capì subito che fosse Sapphire.
Spense
il phon e lo vide rispondere.
“Cosa
cazzo è successo, Ruby?!” esclamò
quella. Il ragazzo riuscì a percepire il livello d’angoscia che
stava vivendo l’altra, lontana circa un oceano.
“Ma
nulla, amore, stai tranquilla…” fece, abbassando la voce. “Stavo
andando in atelier e ci… ci hanno fatto una rapina”.
“E
perché sei andato in ospedale?! Dannazione, hai reagito, Ruby?! Che
diamine ti salta in testa?! Non sei stato per abbastanza tempo un
eroe?!”.
“Smettila
di urlare. Era un ubriaco… ci ha aggrediti… e mi ha colpito col
collo di una bottiglia…”.
“Oddio…
dimmi che non ti ha preso la faccia. Per favore”.
Ruby
sorrise. “No. Mi ha soltanto graffiato il fianco”.
“Ti
hanno ricucito?”.
“Certo”.
“Ti
hanno dato dei medicinali?”.
“Ovviamente”.
“… Domani
prendo il primo aereo e vengo lì. Sappilo”.
“Ma
che dici, no… non preoccuparti” sorrise ancora lui. In quel
momento si ricordò perché la sua donna fosse tanto straordinaria.
“Sto bene. Il medico mi ha detto di riposare e non fare
sesso”.
“Appunto. Dovrei venire ad accoltellarti ogni settimana, in pratica…”.
“Appunto. Dovrei venire ad accoltellarti ogni settimana, in pratica…”.
“Potresti
restare qui, a quel punto”.
Gli
occhi di Yvonne si spalancarono, puntati su Ruby come fari nella
notte.
“Sai
bene che non posso… Sei sicuro di star bene?”.
“Sì,
Sapph… Sto bene, sto bene. Stai tranquilla. Volevo solo
avvertirti…”.
“Chiamami
domani appena ti svegli. Ti amo, Rù…”.
“Anche
io, Sapph”.
Poggiò
il cellulare sul comodino e sospirò.
Amava
la sua donna.
Alzò
gli occhi e guardò Yvonne, prima di domandarsi:
Cosa
diamine ci faceva quella donna coi capelli bagnati nella sua stanza?
Rimase
in silenzio, lui, cercando il coraggio di cacciarla via di lì.
Sì.
Rimase in silenzio, lui.
Si
limitò a vederla mentre riaccendeva il phon, per asciugare le punte,
stavolta con lo sguardo meno coraggioso, puntato a volte verso il
pavimento, solo a volte verso lo specchio.
White
era stata sottile quando lo aveva rimproverato, quella sera,
dicendogli di non approfondire troppo il suo rapporto con Yvonne.
Nel
senso più fisico del termine…
Ripensava
a quelle parole.
Non
doveva andarci a letto.
Forse,
continuava
a pensare, perché
il coinvolgimento emotivo di Yvonne è a un livello superiore del
mio.
Poco
dopo aveva finito. Aveva spento l'asciugacapelli e aveva leggermente
accostato la porta, sparendovi oltre.
Ruby
intanto guardava il freddo del muro bianco che aveva difronte;
continuava a macinare
quel
pensiero.
A
tirare i fili di quell'idea, accorciandone i lembi.
Yvonne
è a un livello superiore...
La
porta del bagno si spalancò e la donna ne uscì in fretta, a piedi
scalzi e a gambe nude.
I
capelli erano gonfi e vaporosi, biondi come spighe di grano.
Nonostante non vi fosse traccia di trucco sul suo volto, Yvonne era
sempre la donna più bella del mondo.
Manteneva
con la mano destra il lembo del maglioncino, a righe orizzontali
grigie e bianche, per paura che si sollevasse, mostrando più di
quanto voleva che si vedesse. La mano sinistra, invece, reggeva una
spazzola col manico in legno.
Ruby
guardò per un attimo quelle gambe lunghe e affusolate, lucide e
lisce. Profumate.
Si
piegarono quando la donna si sedette sul letto, proprio accanto a
lui.
“Era
Sapphire?” chiese, cominciando a spazzolare con delicatezza la
lunga e folta chioma.
Il
ragazzo annuì ma lei, di spalle, non riuscì a vederlo.
“Era
Sapphire, vero?” ripeté, voltandosi solo dopo qualche secondo.
Continuava a pettinare i capelli, mentre i loro occhi
s'abbracciarono.
“Sì”.
“Verrà
qui, vero?”.
“Yvonne...”.
Spazzolò
un ultima volta i capelli, quindi si avvicinò al comodino e vi posò
la spazzola.
“Lascia
stare” disse.
Il
dolore al fianco lo pugnalò, in quel preciso istante. Lui lo aveva
capito: Yvonne voleva lui.
“Cosa?”.
“Niente”
disse, afferrando i lunghi capelli in una mano e legandoli stretti in
una coda.
“Io
credo che le cose non siano state totalmente...”.
“È
tutto chiaro, Ruby” continuò. Alzò le lenzuola e fece in modo che
le gambe del ragazzo vi s'infilassero sotto. Lo prese per mano e lo
aiutò a stendersi, prima di seguirlo, voltarsi dall'altra parte e
lasciare che le luci si spegnessero.
Commenti
Posta un commento