Unima, Austropoli, Salone HART, 9
maggio 20XX
Era
quasi desolante Sidney Bechet, con la sua Summertime.
La
sfilata era finita da un’oretta e tutto l’agglomerato di stilisti e modelle
dell’Atelier Automne si era ritrovato
come sempre dietro le quinte.
Yvonne
era stata l’ultima a uscire dal camerino di prova: aveva indossato nuovamente
gli abiti con cui era arrivata lì. Era stato un sollievo smontare quelle
scomode scarpe dall’altissimo tacco per indossare nuovamente le sue Skechers.
La musica continuava a fuoriuscire dall’impianto, lenta e quasi liquida, pareva
colasse dagli altoparlanti. Rallentava le parole della gente, i movimenti, i
respiri.
La
donna strinse il cellulare tra le mani mentre attraversava un nido di modelle
col volto annoiato.
Qualcuno
la chiamava, lei si limitò ad alzare la mano.
Era
troppo impegnata, al momento, per gli altri.
Sentiva
il profumo di qualcuna delle sue colleghe, davvero troppo forte; era Kendra, lo
sapeva, ma non aveva neppure alzato lo sguardo in loro direzione.
Non
che si ritenesse tanto differente da loro, facevano lo stesso lavoro.
Solo
che pensava fossero frivole.
Kimberly
le afferrò il polso, tirandola indietro.
“Ehi…”
fece, sporgendosi dal gregge. I capelli, gonfi e legati in una coda bassa, le
ricadevano sulle spalle lentigginose. Indossava una semplice canottiera bianca,
senza reggiseno. “Dove vai?” chiese.
“Vado
via” rispose rapida Yvonne.
Il
volto della rossa s'incupì.
“Perché?”.
La
bionda strattonò leggermente, per liberarsi dalla stretta dell'altra, ma
invano.
Si
arrese e sbuffò.
“Cosa?”.
“Perché
vai via?”.
“Non
ho voglia di rimanere. Sono stanca, ho da fare”.
Sempre
stringendole la mano, Kim si staccò dal gruppo e la tirò in disparte,
trascinandola fino al muro accanto. Yvonne si
appoggiò di fianco all'estintore, guardando in basso.
“Cosa
c'è che non va?” chiedeva l'altra, poggiandole una mano sulla spalla. Vedeva
Yvonne sospirare, stanca. Non l'aveva mai vista in quel modo.
“Non
c'è nulla che non vada, Kim” fece, evitando il suo sguardo.
“Non
sei mai stata così e...”.
La
rossa si guardò attorno, incrociando per un attimo gli occhi di Ruby. Lui
fissava Yvonne.
In
tutto il cast c'era la convinzione che la bella di Kalos fosse la preferita
dello stilista: passavano molto tempo insieme, condividevano lo stesso albergo
e spesso si facevano vedere insieme in giro per Austropoli.
Erano
così intimi da sembrare una coppia. Yvonne ronzava sempre attorno a lui.
Invece,
durante quella festa, Ruby brindava con White e la modella fuggiva via dalle
quinte, con gli occhi spenti e le labbra screpolate.
Kim
non lo sapeva. Forse avevano una relazione. Forse avevano appena troncato.
O
forse no.
“Posso
andare ora?” domandò la bionda.
L'altra
fece spallucce.
“È
che non ti ho mai vista così, Ypsey... Si vede che qualcosa ti turba e vorrei
che tu stia bene...”.
“Non
mi turba nulla, Kim”.
Staccò
le spalle dalla parete e la dribblò velocemente, camminando dritta verso la
porta e passando davanti alla Presidentessa e allo stilista, senza neppure
guardarli in viso.
“Non
ci ha neppure salutati...” osservò White, stringendo il flute tra le dita ingioiellate.
“Ho
rovinato tutto” sbuffò l'altro, poggiato a un grosso tavolo di freddo acciaio
ricoperto di tulle.
Gli
occhi della donna scrutarono nell'animo dello stilista.
“Non
hai rovinato nulla. Hai evitato che il castello crollasse”.
Il
ragazzo si voltò, poggiando le labbra sul bicchiere e bevendo. Lo spumante era
fresco e frizzante.
Pensò
che bastasse un soffio di vento, per far crollare un castello di carta.
Di
carta, sì. Perché si sentiva fragile.
“Hai
fatto la cosa giusta” aggiunse White. “Non l'hai illusa”.
“Non
lo so, sono sincero... Mi piaceva che mi sorridesse. La sua presenza era
speciale...”.
“Pensa
a Sapphire”.
I
loro occhi s'incrociarono.
“So
benissimo cosa rappresentano queste due donne, per me. Sapphire è una cosa e
Yvonne un'altra... Io amo Sapphire, non Yvonne”.
“Già.
Con Yvonne c'è solo attrazione fisica”.
“Non
solo... a me piace la sua mente. La sua storia... Io credo di apprezzarla molto,
come donna. E sono settimane che non mi guarda negli occhi”.
White
sospirò.
“Forse
è arrivato il momento di prenderti una pausa. Torna a casa e metti la testa nel
ghiaccio...”.
Ruby
annuì.
“Sono
pronto, Presidentessa...”.
“Pronto
a cosa?” chiese quella, coi capelli legati in una coda alta e le guance rosate,
un po' per il trucco, un po' per l'alcool che le riscaldava il sangue.
“Chiederò
a Sapphire di sposarmi”.
La
donna sorrise dolcemente. In cuor suo era sollevata che Yvonne non avesse vinto
quel duello con un più che disarmatissima Sapphire. Non che la sua modella le
fosse antipatica, anzi: aveva carisma, e soltanto il suo nome era un'ottima
pubblicità per la BW Agency, dopo le sfilate fatte in quei mesi.
In
più l'aveva letteralmente salvata da una vita che non meritava. La cosa l'aveva
fatta affezionare a lei non di poco.
Era
una ragazza bella e determinata.
Una
ragazza potente.
L'unico
suo difetto era però quell'ostinazione innata, unita alla positivissima voglia
di ottenere qualcosa con tutte le proprie forze.
White
posò il bicchiere accanto a quel ragazzo dal volto delicato e sospirò.
Il
fatto che Yvonne volesse proprio Ruby la preoccupava dato che, oltre a
rappresentare una forte turbativa per i suoi affari, avrebbe mandato sulla
graticola l'unica persona che non c'entrava assolutamente nulla, in tutta
quella storia, che era Sapphire.
Tuttavia
il volto di Yvonne, pochi secondi prima, testimoniava la mancanza di
quell'armonia tra i due che tanto la preoccupava ma che era senz'alcun dubbio
una delle cose più belle da vedere.
“Yvonne
lo sa?”.
“No”.
Ruby
tirò indietro i capelli, ben pettinati, ordinati e laccati. Sentiva un po' di
stanchezza fisica, che forse un'intera notte di sonno gli avrebbe scrollato
dalle spalle.
“Yvonne
mi ha messo di malumore... Torno in albergo. Fumo una sigaretta e poi vado a
dormire”.
“Andrai
da lei, vero?” chiese quella.
Un
attimo di pausa anticipò la risposta dello stilista, che fece cenno di no con
la testa.
“Con
lei è solo lavoro”.
La
Presidentessa annuì e gli si avvicinò, baciandogli la guancia.
“Spero
che sia così. Sapphire merita altro”.
Pioveva,
quella sera.
Il
taxi su cui Ruby era salito era pulito e ordinato. Il tergicristalli gemeva
sistematicamente ogni volta che batteva sulla parte centrale del vetro, asciutta
nonostante l'acqua che cadeva dal cielo e investiva Austropoli.
La
testa del ragazzo era appoggiata sul finestrino, nel vano tentativo di riuscire
a scorgere i suoi occhi rubini nel riflesso.
Ma
non ci riusciva. Poteva vederne soltanto il contorno.
Il
cellulare, stretto tra le mani, lo avvertiva che fosse ormai troppo tardi sia
per cenare che per telefonare a Sapphire.
Le
scrisse un messaggio. Non si aspettava una risposta prima dell'alba.
Ripensò
a quella sera e notò, già durante la prova degli abiti, che lei s’era
dimostrata spenta, con lo sguardo distratto da altro.
Pareva
a disagio quando le sue mani, che prima accoglieva, le accarezzavano la pelle;
i contatti si erano limitati a quello, dato che Ruby riusciva a saggiare
nettamente la distanza che si era posta tra i due.
Non
gli piaceva la cosa ma la capiva.
Lei
non gli aveva rivolto parola, neppure quando lui le aveva fatto i complimenti
per la sfilata; si era limitata ad annuire, ad abbassare il volto e a
proseguire verso lo spogliatoio.
Ormai
aveva fatto la sua scelta, che era quella più ovvia. Aveva scelto Sapphire.
La
poco dolce e rude Sapphire, la perennemente nervosa Sapphire.
Quella
dal cuore d’oro.
Semmai
gli si fosse posta davanti una scelta, ovviamente. Erano anni che quella
ragazzina dagli occhi blu s’era accampata nel suo petto e non sarebbe bastata
una Yvonne qualunque per scalzarla.
Perché
Sapphire era speciale.
Aveva
acquistato già un anello, che lo aspettava ben custodito nel cassettone
centrale del comò, nella sua stanza. Lo avrebbe messo al dito della donna
soltanto dopo averle fatto indossare l'abito che aveva confezionato per lei.
Sarebbe
stato tutto perfetto.
Sarebbe
stato tutto magico.
Eppure
il lato amaro di quel bicchiere d'ambrosia, dolce per definizione, non
apparteneva al contesto di ciò che sarebbe andato a trovare.
Cosa
avrebbe lasciato?
Il
taxi percorreva Main Street, trafficata come se fosse mezzogiorno, quella
notte, mentre i suoi dubbi si accavallavano, cercando di prevalere l'uno
sull'altro.
Era
pronto a lasciare la sua relativa libertà?
Era
convinto di sì.
Certo,
non del tutto. Forse erano stati gli occhi spenti di Yvonne a fargli fare un
passo indietro, come se cercasse la sua approvazione per quel grande passo.
Approvazione
che non avrebbe mai ricevuto.
Era
diventato tutto troppo strano e incoerente. Amava Sapphire e l'avrebbe sposata
ma contemporaneamente desiderava le attenzioni della sua modella.
Contraddittorio.
Ruby non era così.
Il
tassista imprecò in una lingua che il ragazzo non conosceva mentre, tra le
fastidiose interferenze della radio, un triste blues stava riempiendo
l'abitacolo di una pesantezza che quasi stancava.
Stancava
più del normale.
Ruby
era logoro, quella sera; la sfilata era andata in maniera grandiosa ma sembrava
non interessargli più di tanto, come se il risultato fosse stato scontato.
Forse
era soltanto arrivato al limite: non sopportava più quella solitudine
controllata, in cui riusciva a isolarsi anche in mezzo alle persone.
Amava
Unima ma era casa sua la cosa che più gli mancava.
“Ventisette
dollari” esordì il tassista, che aveva accostato sul marciapiedi davanti
all'albergo. Un piccolo rivolo d'acqua piovana camminava lento sotto il cordolo
dello scalino, sull'asfalto nero, fino a tuffarsi nella grata di un tombino.
Ruby
pagò con tre banconote da dieci, lasciò il resto all'uomo e rimise il
portafogli nella tasca interna della giacca. Lentamente salì i gradini
dell'albergo ed entrò nella hall.
Ogni
passo era pesante, ogni pensiero si trascinava dietro una straziante scia di
consapevolezza, che lo metteva davanti a una scelta.
Odiava
le scelte.
“Buonanotte,
signore” disse il facchino, ben avvolto nella sua divisa blu bardata. Ruby gli
fece un cenno con la testa e s'inserì nel vortice della porta girevole
automatica.
Quando
entrò nella hall la temperatura era più mite. Era fin troppo abituato alla
pioggia lui, a Hoenn, ma da quando era stato adottato da quella città aveva
imparato a disprezzare sia le giornate di sole che quelle uggiose.
E
le giornate di riposo, troppo lunghe e fastidiose.
E
le persone. Odiava le persone.
Prese
la tessera d'accesso alla camera, facendo un cenno col capo anche al concierge,
e si avviò all'ascensore.
Premette
il tasto di chiamata e intanto il cellulare vibrò, una volta, brevemente.
Lo
prese. Pensò che fossero secoli che non sentiva suonare il cellulare ma,
volente o nolente, era diventato un prolungamento della sua mano.
Ormai
non poteva fare più nulla senza cellulare. Doveva gestire troppe persone,
troppe situazioni, e non avrebbe mai potuto farlo in altro modo.
Era
White.
Evita di parlare con Yvonne, stasera. Magari a mente fredda ne
parliamo tuti e tre 02:37
Decise
di non volerle rispondere. Lo infastidiva quell'atteggiamento che la
Presidentessa stava avendo con lui.
Lo
faceva sentire un ragazzino che non riusciva a tenere l'aggeggio nelle mutande.
Aveva
paura che il suo autocontrollo non funzionasse e alle fine potesse rovinare
tutto.
Sbuffò,
poi lasciò cadere il telefono in tasca e sospirò, quando le porte
dell'ascensore si aprirono davanti a lui.
Vi
entrò. La musichetta, a quell'ora, non suonava.
Il
problema forse erano le aspettative, pensò: tutti si aspettavano qualcosa da
lui ma nessuno credeva che riuscisse a farlo. White era la prima a porre il suo
dubbio su di lui, e Yvonne non lo guardava neppure più in faccia.
Le
voci che giravano dietro la passerella, tra le sue modelle, sostanzialmente lo
additavano come parte della coppia che si era andata a stabilire con la bella
di Kalos.
Le
ragazze non facevano sentire Yvonne a disagio, ma lo additavano come uno che se
la spassava con le sue modelle e la cosa lo infastidiva di non poco.
Arrivò
al piano e poco dopo davanti la sua stanza.
Strisciò
la tessera nel lettore mentre pensava che, paradossalmente, l'unico pilastro su
cui sapeva di poggiare fosse la sua Sapphire.
Bruciava
la ferita sul fianco, digrignò i denti. Di tanto in tanto accadeva.
Si
chiuse la porta alle spalle e accese le luci. La borsa era già pronta sul
letto, piena di regali per sé e per i
suoi, da consegnare una volta arrivato a Hoenn.
Dentro
c'era anche il vestito blu.
Fu
l'unico momento in cui sorrise sinceramente e in maniera sfuggevole.
Stava
per voltare pagina.
Vedeva
la sua storia con Sapphire come una traversata lunga ed epica attraverso un
oceano d'inconvenienti.
Una
scalata sulla montagna più impervia mai vista.
E
tutto ciò tenendole sempre stretta la mano.
Immaginava
la sua proposta: l'avrebbe costretta a indossare quell'abito, dopo una sfilza
infinita di spiegazioni e di perché, e poi l'avrebbe portata a vedere il
tramonto da Brunifoglia, dove la cenere scendeva giù lenta e il sole dipingeva
il cielo di rosso, rosa e arancione, mentre il blu della notte s'espandeva
vorace. Le si sarebbe inginocchiato davanti e le avrebbe chiesto di diventare
sua moglie.
Guardò
il comodino. La scatolina ricoperta di velluto rosso conteneva un anello con
diamante. Sarebbe stato lui il protagonista di quella serata, forse.
Sigaretta.
Si
voltò verso la scrivania in larice e prese il pacchetto, quindi uscì nuovamente
all'esterno.
Un
tuono rombò tutt'intorno ma non sobbalzò. Sentiva la pioggia cadere fitta oltre
la porta tagliafuoco che dava sul terrazzo.
Quando
la aprì non fu in grado di vedere oltre le balaustre: litri e litri d'acqua si
gettavano sulle mattonelle e sulle sdraio, rimbalzavano per terra, scivolavano
sulle finestre.
Tagliavano
il fumo delle sigarette.
Yvonne
era lì.
Yvonne
fumava lì.
Ruby
la guardò, stretta nel suo cappotto grigio, che si stagliava oltre quella
pioggia di spilli d'acqua. Manteneva la sigaretta tra le dita con la sua solita
eleganza mentre lo sguardo vagava, un po' qua, un po' la.
I
loro occhi s'incrociarono, quando la porta cigolò, chiudendosi.
Furono
i sei secondi più lunghi che lui avesse mai vissuto. Stringeva tra le dita la
Marlboro Gold, nascondendola dietro la coscia per evitare che si bagnasse.
I
loro respiri diventavano condensa e salivano in alto, bucati dal temporale.
“Se...
se vuoi vado via” fece lui, immobile.
Yvonne
tornò a guardare dritto, senza voltarsi.
“Puoi
fare quel che vuoi. Questo posto non è mio, no”.
“Grazie”.
Quella
sorrise.
“Non
ringraziarmi”.
Ruby
sospirò. Se avesse potuto vedere il suo volto in quel momento, con ogni
probabilità si sarebbe convinto di dover andare a dormire. Tuttavia un'ultima
sigaretta non si nega neppure a un condannato.
Tirò
fuori l'accendino dalla tasca del giubbotto e lo avvicinò alla bocca, ma quando
si accorse che la rotella girasse a vuoto alzò gli occhi al cielo. Nonostante
fosse al coperto, una goccia di pioggia gli baciò il viso.
“Oggi
non me ne va bene una...” sbuffò, gettando il Bic verso le ringhiere.
E
poi lo sguardo dell'uomo si spostò nuovamente verso l'altra.
La
compagna di sigaretta.
“Hai
da...?”.
Lo
guardò con tanta sufficienza da fargli dubitare di essere lì. La vide portare
la mano alla tasca del giaccone e tirare fuori una scatola di fiammiferi. Gliela
porse, nonostante fosse a più di dieci metri da lui. Non accennò a muoversi.
No.
Era Ruby, quello che doveva bagnarsi per raggiungerla.
E
così fu.
Attraversò
la parete d'acqua che c'era tra di loro, per ripararsi sotto al balcone del
piano di sopra e mettersi accanto a lei. Era da troppo che non sentiva il suo
profumo.
Afferrò
i fiammiferi e aprì la scatolina.
Ne
strisciò uno contro il muro alle loro spalle e tirò dentro un po' di
quell'ossigeno sporco di cui tanto aveva bisogno.
“Grazie”.
Quella
non rispose.
Un
tiro, due tiri, tre tiri, e nessuno dei due ancora aveva aperto bocca.
Ruby
avrebbe dovuto aprire il discorso in qualche modo. Giustificare le sue scelte
in qualche modo, spiegarle i motivi che lo avevano spinto a scegliere la sua
fidanzata storica.
Come
se quello non fosse già un buon motivo.
Era
difficile. Come poteva spiegare a quella donna il motivo per cui non avrebbero
mai potuto essere qualcosa?
In
mancanza di argomentazioni valide preferiva rimanere in silenzio.
Fu
invece Yvonne la coraggiosa tra i due.
“Domani
parti” osservò.
La
pioggia continuava a battere impietosa.
“Sì.
Domani torno a Hoenn”.
“Hai
deciso?”.
Un
tuono cadde scenico, proprio dopo quella domanda.
Il
ragazzo la guardò e poi annuì, anche se lei non lo vide. “Credo sia arrivato il
momento”.
Yvonne
sorrise, amaramente. Si voltò, carezzando con gli occhi il viso bagnato dalla
pioggia, le curve delicate che i suoi zigomi prendevano attorno al suo ovale.
Lo
vedeva poggiare le labbra attorno alla sua sigaretta, ormai a metà. Il desiderio
di essere quella Marlboro s’alternò col fastidio di non potervi mai riuscire,
se non rubando l’ennesimo bacio, dove lui l’avrebbe stoppata.
Eppure
a lui piaceva, lo sentiva.
Sentiva
il corpo incastrarsi perfettamente col suo, quando erano vicini. Si chiedeva se
anche con Sapphire succedesse.
“Il
momento per cosa?”.
“Per
crescere”.
“Sposarsi
non vuol mica dire crescere”.
Ruby
sorrise. “Sposarsi vuol dire incamminarsi su dei binari sicuri, e farlo in
maniera ponderata. E, per quanto mi riguarda, ponderare le scelte significa
crescere”.
Uno
a zero, palla al centro. Yvonne si guardò le punte degli stivali, bagnati, per
poi tornare a fissare i rubini dell'altro.
“È
un peccato...” fece, tirando l'ultimo tiro dalla sua Winston Blue.
“Cosa?”.
“Negarci
una possibilità”.
I
loro occhi continuavano a tessere una trama che cominciava in maniera gelida ma
s'incontrava al centro del mondo, nel nucleo denso e incandescente.
C'era
vita, in quello sguardo. C'era passione, c'era sesso.
C'era
rimpianto.
“Mi
spiace che tu abbia frainteso le mie intenzioni”.
“No”
sorrise lei. “È sempre stata colpa mia. Colpa mia che ti ho ripetutamente
baciato e... mon Dieu, che ti giravo apposta nuda davanti...”.
“Come
mille altre donne del resto...”.
Lei
rimase a fissarlo per qualche secondo.
“Io
non sono come le mille altre donne che ti ronzano attorno...”.
Ruby
annuì. “Convengo”.
“E
sai perché?”.
“Credo
di sapere perché”.
“Perché
io non voglio i tuoi soldi, né la tua compagnia sterile. Non m'interessa
vederti nudo, Ruby, non voglio fare sesso con te”.
“Cosa
vuoi, allora?”.
Yvonne
sbuffò, quasi impercettibilmente. Gettò la sigaretta ormai esaurita nell'acqua
e gli si avvicinò rapidamente. Era ferma a pochi centimetri dal suo volto, il
suo profumo si univa a quello della pioggia, inebriandolo.
“Il
tuo tempo, Ruby. Io voglio il tuo tempo. E voglio che tu voglia darmelo”. Fece
cenno poi di no con la testa, sorridendo amaramente. “E quindi no, Ruby... Io
non sono come tutte le altre. Perché alle altre interessa l'abito, il cappello
e la sigaretta... A me interessa questo” concluse, toccando col dito lungo e
affusolato il petto in corrispondenza del cuore.
“E
so anche di esserci, qui dentro...” picchiettò ancora sulla bella camicia
azzurra.
“Non
è così...”.
“Invece
sì. Il problema è che io non sia più su...”.
Col
dito risalì il corpo del ragazzo, graffiandogli il collo e poi il mento, quindi
il naso. Si fermò alla fronte.
“Il
problema è che non sono qui dentro”.
E
poi fu solo silenzio.
Yvonne
si aspettava qualcosa, una parola, forse qualche frase, o un urlo. Anche uno
schiaffo.
Voleva
una reazione, buona o cattiva che fosse.
Ma
Ruby rimaneva lì, in silenzio, con la sigaretta bagnata tra le labbra
screpolate dal freddo, e le mani congelate, una nella tasca destra dei
pantaloni e l'altra lungo la coscia sinistra.
La
pioggia scendeva, la vita continuava e lui era immobile.
E
Yvonne andò via.
“Buonanotte
Ruby. Auguri per il tuo matrimonio”.
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