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Lila May - Star★Power - V★




V



«Oh, avete novità di Orthilla?»
Orthilla.
Brendan sollevò lo sguardo dal suo Thé Roserade, e quando urtò il ginocchio contro il tavolino la calda bevanda ondeggiò nella tazza, increspando la superficie di piccole onde brune. Quel giorno pioveva, a Ceneride, e aveva scelto di rimanere al Centro Pokémon a rilassarsi un po’. Inoltre, non pensava di tornare al giardino.
Prima di tutto, per il tempo. Secondo, voleva lasciarla in pace. Si conoscevano da poco e già aveva fatto danni. Sapeva di dover tornare a chiedere scusa, ma più acqua fresca lasciava correre tra loro, più facile sarebbe stato per lei perdonarlo. Era una decisione che aveva preso in quel preciso istante.
Sì, qualunque cosa avesse fatto. Ancora non lo sapeva, ma si era reso benissimo conto di aver urtato un equilibrio strano, e di averlo fatto tremare violentemente.
A volte le cose banali possono fare più male di quelle grandi, se usate nel modo giusto.
«In che senso, novità? Ormai è morta, ma meglio così: ha lasciato spazio ad altri idol che di certo meritano molto più di lei.»
«Idol?»
Sgranò le palpebre grigie. Orthilla era una Idol?
«Già… come Lilì, di Unima! Che ragazza spettacolare.. quanto vorrei che abitasse qui ad Hoenn! Potremmo davvero vantare una idol con i fiocchi piuttosto che sta falsa…»
Silenzio. Le orecchie di Brendan si fecero tese come corde. Dunque Orthilla aveva una certa fama qui in città… e non molto bella. Si alzò e raggiunse il tavolo dei maldicenti; doveva sapere. Ci era finito dentro per sbaglio, proprio in quel momento. Ma adesso non si sarebbe tirato indietro per nulla al mondo. «La conoscete?» chiese. Gli sembrava di essere stato fuori dal mondo per un tempo troppo lungo. Si sentiva preso in giro, ma del resto come poteva incolparla di non avergliene mai parlato? Si conoscevano da pochissimo, e inoltre erano comunque fatti suoi. Altaria ieri era stata chiara: lui doveva starne fuori.
«Ragazzo, ma dove vivi, a Kanto, dove tutto arriva all’ultimo secondo?»
Sorrise mesto. Che battuta triste e ridicola. E dire che pensava di essere lui l’ultima ruota del carro.
«Orthilla era una idol amatissima in tutta Hoenn, e sicuramente anche oltre. Però poi si sono scoperte delle verità… scomode, ecco.»
«In che senso scomode? Che verità?»
«Ragazzo, ma seriamente, dove abiti?»
Una terza voce si aggiunse alla conversazione. «Forse non lo sai, ma lei è la nipote di Adriano, l’ex campione di Hoenn.»
Brendan fece mente locale. Aveva sentito parlare di Adriano, certo, ma mai di Orthilla.
Chi era Orthilla? Chi era quella macchiolina nera in mezzo al bianco uniforme del mondo?
Chi, chi era?
«Questa notizia è saltata fuori diversi mesi fa, e si è scoperto che lei si è comprata la fama utilizzando lo zio. E’ vero, te lo assicuro. Sai com’è… di questi tempi ci si attacca tutti al pene più grande. Lei poi, a quello dello zio ci ha ciucciato per bene.»
Risate, ancora. Il ragazzo guardò Brendan, ma lui non ricambiò l’occhiata maliziosa, non ricambiò niente. Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito. Aveva avuto accanto una idol, anzi, ex idol... anzi, una semplice ragazza disprezzata da tutti, ci aveva cenato e non si era reso conto di niente. Solo che stava male.
«Adriano che fine ha fatto?»
«Ha lasciato la città. Il suo posto lo ha preso Rocco. Sei un allenatore?»
«Certo.»
«Allora allenati bene, perché…» tutto si fece ovattato, sfumato. Non seppe quali furono le parole che succedettero quel perché, ma non gli importava.
Uscì dal centro Pokémon senza fiatare. La pioggia lo investì come le accuse pesanti avevano investito Orthilla tempo fa, disintegrandola. Ecco cosa nascondeva, quel corpicino. Ecco, ecco. La fama le si era ritorta contro nel peggiore dei modi. E lei… lei, così piccola… fece un rapido calcolo. Non doveva avere più di 19 anni, come lui.
Così piccola, contro una cosa così grande. Da sola.
Sì, sola, dannazione.
Cominciò a correre. Non sapeva a che filo appendersi, gli sembrava tutto un grande punto interrogativo. Orthilla, una persona di così tanto rilievo… una raccomandata… no.
L’unica che poteva sapere come stavano realmente le cose era lei, non voleva puntare il dito contro nessuno. Raggiunse il giardino, scavalcò la ringhiera e si fiondò alla porta. Bussò.

Orthilla lo guardava dallo spioncino in cima alla porta. Era zuppo dalla testa ai piedi, con i capelli incollati al viso e le lunghe ciglia impregnate di gocce fredde. Gli occhi grigi non sapevano dove posarsi, e sembravano carichi di rammarico. Cosa poteva essergli successo? Lo fece entrare dopo qualche istante, in ansia. Finalmente era arrivato.
Temeva che per la pioggia non sarebbe venuto… invece ora era lì, di nuovo da lei.
«Orthilla!»
«Brendan…» si accorse che aveva freddo. Gli porse un asciugamano e, prima di farlo entrare, gli chiese di togliersi le scarpe.
Rimasero in silenzio per un po’, a guardarsi. Orthilla non sapeva cosa dire. Era felice di vederlo. Aveva temuto il peggio, che se ne fosse andato, che lo avesse spaventato… voleva chiedere scusa per l’atteggiamento della sera prima, ma non sapeva come.
Non sapeva mai come affrontare le situazioni, lei.
Sperò in un abbraccio. Sperò in qualcosa, qualsiasi cosa che fosse in grado di riaggiustarle un po’ il cuore, da tutta l’ansia che lo aveva tenuto congelato fino a quel momento.
Brendan si sedette, col fiatone.
«Vuoi che ti preparo qualcosa di caldo?»
«No, non ti scomodare… Orthilla…»
Si guardarono. Grigio e turchese si fusero in una miscela di dubbio e timore.
«Ho sentito delle cose…»
Orthilla si sentì strizzare lo stomaco in una morsa di ferro. Se prima aveva sperato in un gesto di affetto, ora pregò con tutto il cuore che non avesse scoperto chi era realmente. Come si sarebbe potuta giustificare…? Nessuno l’aveva creduta fino ad ora. Perché lui avrebbe dovuto? Non lo voleva perdere… no… aveva paura di rimanere di nuovo sola. Lo conosceva da poco, ma era bastato. Era bastato, per volerlo così tanto, nonostante l’invidia che provava nei suoi confronti. In un tempo in cui tutti l’avevano lasciata marcire nei suoi finti errori lui si era preso cura di lei, anche se i giorni di interazione si potevano contare sulle dita… no, no. Era accaduto tutto così veloce…
si sentì sull’orlo di un baratro scivoloso.
L’unico tesoro che aveva, presto sarebbe scivolato giù, inghiottito dal buio.
«Orthilla… è tutto vero?»
Si specchiò negli occhi di Brendan, e quel che vide fu una ragazza morta, completamente. I capelli mal tenuti, magra, curva… si era abituata alla rovina, al fatto che non si sarebbe trovata mai più. Provò mille paure e l’ansia si impossessò di lei. Non voleva dirglielo. Non voleva parlare, si sentiva una sciocca.
Se avesse parlato, lui sarebbe fuggito… « Brendan… » fu l’unica cosa che riuscì a mormorare. Poi si chiuse, come un bocciolo aperto troppo presto.
«Non voglio credere a quelle persone, Orthilla. Cerco la verità da te.» lui le si avvicinò. Odore di pioggia, ricordi andati, voglia di vivere si mescolarono nei sensi di Orthilla.
Quella fottuta voglia di vivere, che lei non riusciva più a trovare… così grande e potente… la piegò in due dal dolore. Le venne voglia di gridare.
Ma rimase in silenzio. Non avrebbe parlato. Mai.
«Orthilla.»
Silenzio.
«Sono vere quelle cose…? So che non sono fatti, miei, ma… ho sentito, e… ora ci sono dentro. Ti prego. Voglio aiutarti. Se avessi saputo…» Brendan sibilò di rabbia. Stupido, stupido. L’aveva sottovalutata. Avrebbe dovuto saperlo fin da subito. «Non avevo capito chi fossi. Scusa. Ma mi ero accorto che c’era qualcosa che non andava in te… dimmi che non è così, ti conosco da poco, ma so che non sei quel tipo di persona.»
Silenzio. Pesante, insopportabile silenzio.
Solo il ticchettio dell’orologio tra loro, intervallato dall’incessante scrosciare della pioggia che batteva violenta contro i vetri delle finestre.
Per il resto, silenzio.
La guardò preoccupato. Perché si rifiutava di dirle come stavano le cose? Chi, meglio di lei, poteva saperlo? Quella ragazza doveva parlare. Dava l’impressione di un fiore pieno di veleno, prossimo a scoppiare. E lui, ora, doveva sapere. « Insisto, perché mi rifiuto di credere che sia così. »
Silenzio.
«Parla. Posso aiutarti. Non sono un idol, ma sono un essere umano. Come te.»
«Te ne andrai… anche tu…»
Il fiore non scoppiò.
Implose, semplicemente. I suoi petali turchini caddero debolmente a terra, affogando nel veleno che esso stesso si era creato.
Rimase uno stelo nudo, fragile. Spezzato sotto un forte vento.
«Andare dove.»
«Via… via, lontano da me… crederai alle persone…»
Brendan la prese per le spalle, scostò coperte, cuscini e la fece sedere sul divano. Orthilla era sbiancata, e tremava di pianto. Non stava bene. Era evidente. Le fece una pena tremenda. Non poteva capire quello che provava, ma adesso c’era lui lì con lei. Non l’avrebbe abbandonata, erano amici. O no?
« Spiegati, si tratta solo di dirmi come stanno realmente le cose. Lo sai che crederò a te. »
«E’ impossibile…»
«Perché?»
«Perché hanno smesso di credermi tutti…»
«Tutti. Non essere esagerata, Orthilla.»
«Tutti! E io…» Orthilla lasciò andare una lacrima, permettendole di rigarle il volto pallido. La paura di perderlo le teneva il cuore schiacciato sotto un peso troppo grande. Non ci riusciva. Lei.
Che era sempre riuscita a fare tutto, anche l’impossibile. Si stava comportando da vera debole, e quando se ne rese conto provò un profondo odio per se stessa. Schiaffi, tanti schiaffi. Ecco quello di cui aveva bisogno. Perché, perché non riusciva a riprendersi dannazione…
«Io… rimarrò di nuovo sola…!»
Le braccia umide di Brendan la avvinghiarono con forza, e in un battito di ciglia la ragazza si ritrovò a viso premuto contro il suo petto.
Fatta. Era fatta.
Il suo odore, il suo calore, quei capelli bagnati… il ragazzo la chiuse in una bolla di affetto, per proteggerla contro il male che si stava infliggendo da sola.
La corazza crollò, e Orthilla scoppiò a piangere, rivelandosi per quello che era: una fragile ragazza di diciassette anni lasciata sola e abbandonata ad un destino incerto e cattivo.
Troppo pesante, per le sue spalle. Troppo.
Aveva bisogno di sfogarsi. Pianse per minuti che parvero ore, fino a quando i polmoni le si infiammarono e la gola cominciò a reclamare acqua.
Pianse, pianse, liberandosi di tutto il marcio che le persone le avevano cacciato nel cuore, soffocandolo.
Pianse, e Brendan la tenne stretta a sé.
Tutto il tempo.

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