UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
Unima,
Austropoli, Hotel Continental, 13 Maggio 20XX
Il
mattino arrivò dopo di lei, quel giorno.
Yvonne
non riuscì a chiudere occhio. E non perché Sapphire l’avesse infastidita; aveva
allungato una sola volta la gamba e si erano toccate ma nient’altro.
Non aveva
russato né parlato nel sonno. Probabilmente era rimasta con gli occhi aperti
per tutta la notte, aveva sospirato e riflettuto su quanto stupida fosse stata,
girata dall’altra parte.
Guardò
l’orario sul cellulare, erano le sette e mezza. Forse sarebbe stato meglio
uscire di casa.
Sì,
avrebbe fatto un po’ di jogging e si sarebbe liberata dal peso di ciò che stava
succedendo.
Magari
sarebbe passata da Ruby e l’avrebbe avvertito che Sapphire, la donna che aveva
amato fino a due giorni prima, aveva condiviso il letto con lei.
Si scoprì
delicatamente e passò da stesa a seduta. Si alzò rapida e sgambettò verso il
bagno, dove scomparve oltre la porta, nascondendosi dagli occhi di Sapphire che
intanto la fissavano.
Pensò che
Yvonne fosse la donna più bella del mondo, e quasi giustificava Ruby per la sua
confusione.
Perché
lei sapeva che Ruby fosse confuso. Sapeva che una donna del genere avrebbe
avuto tranquillamente la facoltà di cambiare il mondo con un sorriso.
Col suo
sorriso, Yvonne, aveva cambiato il mondo di Sapphire, che poca dimestichezza
aveva con le cose delicate, e Ruby, per quanto fosse forte, si stagliava da
solo come una rosa cresciuta nel deserto.
Si rese
conto di non poter dare colpa a Yvonne della fine che aveva fatto; né poteva a
Ruby.
Non aveva
alcuna prova dell’ipotetica relazione che vi era tra la donna che la stava
ospitando e il suo uomo e il modo in cui l’aveva trattato, a mente fredda,
risultò assolutamente ingiustificato.
Perché la
gelosia non era una giustificazione. La paura di perdere una persona non poteva
essere il catalizzatore a muovere l’amore che si provava per essa.
Sapphire
non aveva praticamente mai avuto rivali. Fino a quando Ruby viveva a Hoenn non
vi erano mai state donne che avevano minato alla loro relazione (se si levava
qualche timido tentativo da parte di Rossella, o forse di quella squinternata
di Lyris, ma quella pareva più una paranoia di Sapphire che altro), e Yvonne
risultava essere il primo tentativo del mondo di strapparle via il fidanzato.
Il quasi
marito.
Sbuffò,
sedendosi sul materasso e incrociando le gambe. Allungò le mani e stese le
dita.
Mancava
un anello, quell’anello, a decorarle.
E la
rabbia cominciò a salire rapida, fino a esplodere.
“PER
QUALE MOTIVO SONO FATTA IN QUESTO MODO?!”
La sua
voce rimbombò in tutta la stanza, con prepotenza.
Il rumore
dell’acqua, che fluiva dal lavandino, non accennò a fermarsi.
E meno male… pensò. Non aveva voglia di affrontare con quella
donna il suo dramma.
*
Sapphire
aveva urlato con forza.
Yvonne
quasi percepiva la frustrazione di quella donna, la sentiva sulla pelle. Finì
di darsi una sciacquata e uscì fuori, indossando il reggiseno sportivo e un
paio di slip.
Nonostante
fosse maggio, ad Austropoli non faceva ancora caldissimo; sentiva i morsi del
freddo aggredire il corpo tonico.
Lo stesso
corpo che Sapphire guardava allibita.
Yvonne
era davvero troppo bella per potersi permettere una competizione. Ruby avrebbe
scelto sicuramente lei, con quei lunghi capelli biondi e il viso grazioso, col
seno alto e duro, le cosce toniche e infinite e quel suo essere magnetica, che
portava con sé la capacità di attrarre tutti gli sguardi altrui al suo sorriso.
“Io esco.
Tu puoi... puoi fare ciò che vuoi... dormi ancora, o fatti un bel bagno caldo.
O mangia... bevi”.
Gli occhi
blu di Sapphire la irrorarono d’una luce strana. Yvonne si sentì in soggezione.
“Ruby è
tornato?”.
“Non lo
so, sono stata qui con te tutto il...”.
“No”
interruppe lei. “Intendo dire... Ruby ha mai messo piede qui a Unima?”.
Non merita tutto questo. Soffre.
“Non lo
so, Sapphire. Io sto lavorando con White braccio a braccio e...”.
“Se
andassi da White mi direbbe lo stesso?”.
Ancora
quello sguardo. Pareva sapesse, ma che aspettasse fossero le parole di Yvonne a
confermare il misfatto.
“Credo di
sì”.
“Credi di
sì?”.
“Sì. Credo che ti direbbe lo stesso”.
“Sì. Credo che ti direbbe lo stesso”.
“White
potrebbe aver incontrato Ruby?”.
Doveva
argomentare. “Ho provato a chiamarlo spesso, negli scorsi giorni, ma non mi ha
mai risposto. White è la sua socia. Forse lo ha sentito”.
Se chiama White scopre tutto...
Sapphire
storse le labbra e sbuffò, lasciandosi cadere sul letto.
“Ti
ringrazio per avermi ospitata, Yvonne”.
“Vado...
vado a correre” riprese quella. Non infilò neppure le scarpe, le prese tra le
mani e uscì in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle. La situazione stava
degenerando.
Maledetto il giorno in cui ho deciso di mentire.
Si mosse
verso l’ascensore, con le Nike tra le mani e il codino attorno al polso.
Chiamò
poi l’ascensore, sperando che arrivasse il prima possibile; temeva che Sapphire
aprisse la porta e la vedesse lì. Calzò le scarpe nell’atrio, legò i capelli e
s’immise nell’aria fresca del mattino di Austropoli.
Doveva
andare in ospedale. Avrebbe cominciato a correre e, qualche isolato dopo,
sarebbe salita su di uno di quei taxi gialli di cui tanto stava abusando in
quel periodo.
Dalla
finestra della stanza, Sapphire vide la donna che la ospitava sfilare oltre la
sua vista, fino a che voltò l’angolo.
Era nella
tana del lupo. Sorrise, pensandoci. Sorrise amaramente.
Come si
era trovata in quella dannata situazione?
Alla ricerca di Ruby... pensò, voltandosi e incrociando
le braccia. Aveva fame, e addebitare sul conto di Yvonne tutto ciò che avrebbe
mangiato dal frigobar cominciava a sembrare la via migliore per riequilibrare
il cosmo. Prese un tramezzino e una diet-coke, cercando d’ammazzare la fame che
si portava dietro da più di ventiquattro ore.
“Insalata
russa e gamberetti...” sussurrò a se stessa, aprendo la lattina con l’altra
mano. Pensò, tra un morso e l’altro, che non era mai stata il tipo di persona
che si arrendeva.
Lei
imbracciava il gladio e scendeva nell’arena, lottando con tutta se stessa.
La sua
tempra e la sua tenacia le imponevano di andare a riprendersi ciò che si era
persa per strada, ma la domanda giusta era: come?
Come
avrebbe potuto riprendersi Ruby dalle mani di Yvonne?
“Perché è
chiaro che Ruby sia nelle tue mani... Ypsey...” disse, muovendo qualche timido
passo sulla moquette dell’albergo. Si avvicinò al letto e si sedette, proprio
dove quella aveva dormito. Il suo cassetto era davanti a lei.
Non seppe
mai cosa la spinse ad afferrare la maniglia e tirare indietro il primo
cassetto, ma quando lo fece rimase a fissare per qualche secondo il nido di
mutandine merlettate bianche, nere e celesti. Il profumo dei delicati di quella
donna era dolce.
Afferrò
coi denti il sandwich, per liberare la mano che afferrò una brasiliana, quella
celeste. Saggiò sotto le dita il merletto e si perse per un momento nei suoi
pensieri: anche lei ne possedeva una simile. La comprò per un’occasione
speciale, non ricordava se il ventitreesimo o il ventiquattresimo compleanno
del ragazzo, a Verdeazzupoli, assieme a una camicetta dello stesso colore,
semitrasparente, che lasciava intravedere i tre nei sul seno destro.
Non ci
volle molto prima che il ragazzo gliela strappasse di dosso.
Fu il
sesso più bello che avesse mai fatto, fino a quel momento.
Riguardò
le mutandine, prima che l’angoscia attanagliasse di nuovo il suo stomaco;
lasciò cadere la brasiliana e la immaginò sul sedere di Yvonne. Certamente non
avrebbe fatto lo stesso effetto, addosso a lei. Affondò le mani sporche di
maionese nel cassetto e spostò gli intimi, fino a toccare il fondo di legno.
Fino a
toccare qualcosa.
Incuriosita,
poggiò il sandwich sul comodino e prese un sorso di cola, prima di gettare lo
sguardo verso le mani: accanto a tanga striminziti e reggiseni delicati vi era
un mazzetto di fotografie.
Aggrottò
la fronte, Sapphire. Afferrò veloce le fotografie e si poggiò allo schienale
del letto.
“Polaroid…”
sussurrò, rimuovendo l’elastico in gomma verde che le teneva bloccate.
Pareva
che Yvonne ci tenesse tanto.
La prima
polaroid la mostrava stesa in un campo di tulipani. Il cielo alle sue spalle
era terso e il prato sotto di lei la reggeva con forza, come se pesasse poco
più di una piuma. Tutto era perfetto, attorno a quella ragazza di poco più di
diciassette anni, col vento che le scompigliava i capelli, spostati sugli
occhi. Solo il sorriso, con quella perfetta dentatura, risaltava sul suo volto.
I
vestiti, stretti addosso a quel corpo di donna inconsapevole, seguivano i
capelli e la direzione del vento, come anche i fiori.
Yvonne
era una ragazza felice, in mezzo alle montagne.
La
seconda polaroid la mostrava più piccola, con indosso un cappello rosa assai
carino, abbinato alla gonnellina a balze che indossava. Era accanto ad altri
ragazzi della sua età, avranno avuto tutti tra i tredici e i quindici anni. Lei
era l’unica che non fissava la camera: col volto solido, guardava l’amico che
aveva sulla destra, dai capelli neri, che dava le spalle al fotografo.
Pareva
aver detto qualcosa a Yvonne pochi secondi prima che l’immagine fosse impressa
sulla carta fotografica.
La terza
polaroid la mostrava non molti anni prima.
Ormai era
grande, la bella bionda, e stringeva in un abbraccio una donna più grande, dai
corti capelli castani con cui mostrava una certa somiglianza. Probabilmente era
sua madre.
Entrambe,
con lo stesso sorriso, sorridevano cordiali.
La quarta
polaroid era una foto artistica, che mostrava un’ombra che oscurava il sole.
Era
un’Aeroallenatrice, Yvonne, che con braccia e gambe spalancate sfruttava
l’attrito per planare assieme a un Pokémon.
Sapphire
non riuscì a intendere che specie fosse, quella.
Era molto
bella, quella.
Sfogliò quasi
tutte le fotografie, prima d’imbattersi in quella che la fece totalmente
trasalire.
Era
l’immagine d’Yvonne che baciava un ragazzo, probabilmente lo stesso di prima.
Sapphire
s’avvicinò ancor di più alla foto, riuscendo quasi a compenetrarsi nel momento
magico che la ragazza di Kalos stava vivendo in quel momento.
Ma una
cosa la lasciò sconvolta: il ragazzo, dai capelli neri e fluenti e dagli occhi
dal taglio sottile, chiari. Lui era identico a Ruby.
“Chi è
questo, adesso?” sbuffò.
Forse era
per la somiglianza del suo uomo col ragazzo misterioso della fotografia che
Sapphire fu riempita di inquietudine.
L’uomo che cerca Yvonne è uguale a quello che aveva
da ragazzina…
Sospirò,
prese l’ultimo sorso della diet coke e si rese conto che di aver perso fin
troppo tempo.
Doveva
cercare Ruby.
Sarebbe
passata dall’Atelier.
Unima, Austropoli, West Memorial Hospital
Il
pavimento di linoleum dell’ospedale non era in gran forma.
Dopo anni
d’onorato servizio, la superficie protettiva aveva cominciato a mostrare i
primi segni di cedimento e in alcuni punti stava cominciando a venir fuori la
vecchia mattonellatura.
Comprensibile.
Quello era il primo ospedale di Austropoli. Quei corridoio erano percorsi ogni
giorno da migliaia di piedi.
Anche
quelli di Yvonne, che ormai si stava abituando a quelle luci bianche e ai volti
spaesati delle persone che sostavano contro i muri.
Superò un
uomo che parlava accoratamente al cellulare di quanto qualcosa fosse totalmente senza alcun senso, di come lui non avesse fatto nulla di
male con Shawna,e di come lei non fosse minimamente
paragonabile alla persona con cui parlava.
Sì, pensò,
come no... Gli uomini sono naturalmente
portati al tradimento.
Tradire la fiducia... Anche omettere la verità è
tradimento?
Era
arrivata davanti alla porta, e i dubbi attanagliavano la sua mente.
Valeva la
pena macchiarsi l’anima di pece per tenere il cuore intatto?
Ruby
valeva l’inferno in cui stava per incatenarsi?
Fu il
fremito che le squassò il petto a rispondere per lei: lo amava. Con tutta se
stessa.
Doveva
mentire, prima a se stessa e poi agli altri.
Doveva
farlo per il suo futuro. Per l’amore che provava per Ruby.
Per
allontanare l’assalto di Sapphire.
Entrò
nella stanza del ragazzo, dove sembrava che il caos di tutto il mondo non
potesse attecchire: lì tutto era silenzioso, se si levava il rumore dei
macchinari di monitoraggio cardiaco.
Ruby
dormiva, steso sul fianco e col braccio destro allungato, quello attaccato al
lavaggio.
White era
sveglia e digitava qualcosa al cellulare. Alzò gli occhi di colpo quando Yvonne
esordì, manifestandosi.
“Buongiorno
a tutti”.
“Dorme”
riprese lei. “Non mi sono mossa un attimo da qui”.
L’altra
sorrise. “Avrei fatto lo stesso. Sei stanca?”.
“Mah, ho
dormito un quarto d’ora e poi mi sono svegliata... Lui ha fatto una sola
tirata... E ora se permetti esco a fare una telefonata, che mi stanno dando
problemi in ufficio...”.
Doveva
evitare che tornasse lì. Sapphire l’avrebbe intercettata.
“Sarai
stanca...” fece, mentre la vedeva alzarsi e avviarsi verso il corridoio.
“Non ho
tempo per dormire”.
“Devi
dormire”.
Poi
entrambe si resero conto di aver parlato a volume fin troppo alto.
Ruby si
voltò, aprendo leggermente gli occhi e mostrando al mondo quelle iridi rosse e
profonde, incastonate nel volto provato.
“Ciao
Ypsey... Ciao White”.
La sua
voce era roca, i capelli del tutto spettinati e la cicatrice che aveva sulla
fronte ben visibile.
“Buongiorno,
Ruby. Vado un attimo a fare una telefonata” tagliò l’ultima, voltandosi.
Yvonne si limitò a sorridergli dolcemente, mentre il cuore veniva spremuto dall’angoscia che tutto andasse storto. Il rumore dei passi di White si faceva sempre più lontano, prima che sparisse del tutto.
Yvonne si limitò a sorridergli dolcemente, mentre il cuore veniva spremuto dall’angoscia che tutto andasse storto. Il rumore dei passi di White si faceva sempre più lontano, prima che sparisse del tutto.
“Come stai?”
domandò la bionda, sedendosi accanto a lui e prendendo tra le mani la sua,
quella col lavaggio. Ruby la guardò dritta negli occhi e sorrise a sua volta,
prima che l’espressione del suo volto mutasse nuovamente, distorcendosi e
mutando. Prese a piangere, silenziosamente.
“Mi
spiace...” fece, stringendo la mano e le palpebre.
Yvonne
ebbe un sussulto al cuore. Gli si avvicinò e gli baciò la guancia.
“Non devi
dispiacerti di nulla, Ruby... Stai
soffrendo per... per delle ingiustizie...”.
“Non
volevo che ti trovassi in quella situazione... Io... sono stato un
irresponsabile...”.
“Devi
soltanto ritrovare le giuste motivazioni. Sapphire non...”.
“Non
nominarla. Ti prego”.
La cosa
la rincuorò leggermente. “Scusami... Quando ti dimettono?”.
“Domani”.
“Devi andare
via dall’albergo” rincarò lei. “Comincia daccapo e continua con la tua vita
qui, a Unima”.
La guardò
negli occhi, Ruby, senza mai riuscire a leggere le reali intenzioni della
donna. Vedeva soltanto un’insensata paura, unita a una premurosità senza precedenti.
“Hai ragione. Dovrò tornare a prendere la roba dalle valigie e...”.
“Manda
Whiteley, già oggi. Io e White andremo a bloccare l’appartamento nel palazzo
dell’atelier, quello che abbiamo visto l’altro giorno”.
Il
ragazzo sorrise, tra le lacrime, facendo cenno di no con la testa.
“White ha
tanto da fare... Non posso chiederle una cosa del genere”.
“È la tua
socia. Ci tiene a te. È suo interesse”.
Quelle
parole risultarono così vere da convincerlo. “Proverò a chiederglielo…”.
“Tu devi
solo rilassarti. Chiamerò Whiteley e le dirò di passare in serata in albergo, a
racimolare le tue cose, dopo aver ottenuto la certezza che l’appartamento sia
tuo...”.
“Whiteley
però...” sbuffò il ragazzo. “Okay, è la mia assistente ma... Non voglio
chiederle cose del genere. Non potresti andare tu oggi pomeriggio?”.
Se entrassi nella stanza di Ruby e Sapphire mi
vedesse probabilmente dovrei fuggire gettandomi dalle finestre.
“Io no...
Ho...”.
Sbuffò.
Era stanca di tutte quelle bugie. “Io ho un appuntamento”.
Ruby
inarcò le sopracciglia. “Okay”.
“Sì,
niente di che... roba di lavoro. Con una donna”.
“Tu non
hai l’esclusiva con noi?”.
Merd.
“Sì, ma
si parlava di altre cose. Non ti preoccupare. Pensa a guarire, tu”.
“Andrai
via?” domandò ancora Ruby, preoccupato. “Perché mi spiacerebbe molto…”. Fece
parecchia fatica a passare da steso a seduto, ma Yvonne lo aiutò, stringendogli
le mani e guardando che il lavaggio non gli fuggisse dal braccio.
“Non
preoccuparti” gli ripeté.
“Non ti
nascondo che mi sentirei perso, adesso, senza di te”.
La
modella sorrise ancora, con dolcezza. Gli si avvicinò e gli baciò la fronte.
“Io sarò
qui”.
E poi si
guardarono, entrambi sorridenti, come se non si trovassero in quell’ospedale ma
al mare, e le onde bagnassero loro i piedi.
E il sole
baciasse loro i visi, tanto da costringerli a socchiudere le palpebre.
Probabilmente lei avrebbe alzato la mano sulla fronte, per poter vedere meglio
il ragazzo che aveva di fronte.
“Grazie”
rispose Ruby.
Annuì,
Yvonne, semplicemente. Come per dire non
preoccuparti, non devi ringraziarmi. Come per dire è un piacere stare qui con te, in riva al mare, col sole a baciarci il
viso.
Poco dopo
White entrò in camera con rinnovata determinazione. Il trucco sul suo volto era
quasi svanito ma i lineamenti non ne uscirono stravolti, risultando comunque
delicati, se non più morbidi.
Il trucco
la invecchiava.
“Devo
tornare in ufficio, c’è una conferenza da organizzare”.
Yvonne
guardò Ruby. Lui annuì.
“Ehm...
In realtà avrei bisogno di te”.
White,
che intanto si stava voltando con già lo spolverino e la borsa tra le mani, si
fermò.
Fece per
riavvitarsi su se stessa e guardò il degente.
“Che
succede?”.
“Io ho
bisogno che tu e Yvonne andiate nel palazzo dell’atelier, organizziate in
mattinata un appuntamento per... per l’appartamento libero al piano superiore e
lo blocchiate”.
La
Presidentessa rimase in silenzio e guardò sospettosa la coppia
stilista/modella. Batté le ciglia un paio di volte, sospirò.
“Ora?”.
Ruby
annuì, sorridendo in quel modo gentile che faceva impazzire Yvonne. E Sapphire.
“Ci
andrei io, ma muovermi col lavaggio per Austropoli credo sia scomodo. Puoi fare
questo per me?”.
“Posso
fare tutto ciò che vuoi...” fece, avvicinandosi ancora a lui. “Ma prima
spiegami perché. Insomma... al Continental sei servito e riverito... È successo
qualcosa di male?”.
“No
io...”.
“Perché
l’agenzia è cliente del Continental da anni e non possono permettersi di
sbagliare qualcosa con noi...”.
“No, loro
sono sempre stati perfetti. Semplicemente voglio una casa, e non una stanza
d’albergo. E siccome c’è quella...” guardò Yvonne, che annuì. “... quella nel
palazzo dell’atelier, pensavo fosse il caso di cogliere l’occasione...”.
White
rimase interdetta, per poi annuire.
“Non
possiamo andarci nel pomeriggio?”.
“Io non
ci sono, nel pomeriggio” s’inserì Yvonne.
“Vorrei
che la vedeste assieme. Siete le persone più vicine che ho qui e mi fido delle
vostre impressioni”.
“La
conferenza può aspettare per Ruby, vero?” rincarò la modella, sedendosi accanto
a lui.
E forse
furono quelle parole a far capitolare la Presidentessa. Annuì e si voltò.
“Andiamo”
fece, sparendo oltre l’uscio.
Yvonne
sorrise. “Vengo. A dopo” sussurrò al ragazzo, baciandolo sulla guancia e
carezzandogli la coscia, prima di seguirla.
Unima, Austropoli, Dodicesima Strada e Labour Street
Quando
Sapphire abbandonò l’albergo, immergendosi nella quotidianità caotica di quella
città, sentì un vero e proprio bisogno di accelerare.
Voleva
che quella situazione durasse il meno possibile, voleva trovare Ruby e
spiegargli che era stata una stupida a trattarlo in quel modo, che lui fosse
l’uomo della sua vita e che niente e nessuno si sarebbe potuto opporre al loro
amore.
Perché
lei lo amava con tutta la forza che aveva in corpo.
Calpestò
il marciapiede con dei primi passi così poco abituati che quasi non sapeva più
se stesse camminando sul cemento o su dei chiodi arrugginiti.
Stare a
Ciclamipoli per pochi giorni la riempiva di malessere, nonostante fosse una
città poco inquinata e immersa nella natura.
Austropoli,
in tal senso, rappresentava l’esatto opposto.
Non
voleva che Ruby fosse lì. Voleva poter affondare i piedi nell’erba e respirare
l’aria pulita dei boschi poco lontani dalla sua casa.
Ma poi ci
pensava e capiva che quello fosse il palcoscenico migliore per un uomo come il
suo.
Alti
palazzi, rumore, attenzione su più e più cose, pilotate e studiate. Il buono,
il brutto e il cattivo in un solo posto.
Il bello
faticava a vederlo, nelle facce schive della gente che correva senza mai alzare
i piedi da terra, che andava di fretta e che non si preoccupava del fatto che
lei fosse confusa.
Lì non
conosceva nessuno e la cosa non le piaceva.
Il
semaforo pedonale non dava il via libera e i taxi sembravano gareggiare tra di
loro, correndo come frecce verso un obiettivo, forse tutti lo stesso.
Diventavano indemoniati quando la lampadina rossa toccava quella gialla, prima
di spegnersi totalmente, e infine morivano, quando il pedonale dava il via
libera a tutti quelli in attesa da un capo all’altro delle strisce.
Prese due
spallate in sette metri, la bella dagli occhi azzurri.
“Hey!”
aveva protestato.
“Va a farti fottere, lumaca” le aveva risposto una
settantenne arzilla, sparendo nella folla.
Sbuffò e
proseguì, allontanandosi dalla strada e raggiungendo uno di quei mostri gialli
in stato di riposo.
TAXI, aveva
scritto sulla testa.
Si
abbassò, affacciandosi nell’abitacolo dove un grasso uomo dalla barba lunga e
dalla testa lucida la fissò, nascosto da un paio di doppi occhiali da sole.
“Scusi…
io…”.
“Non
farmi perdere tempo. Devi salire?” domandò quello, con voce baritonale.
Gentile.
“Sì…”.
“E allora
fallo, e pure in fretta”.
Sapphire
aggrottò le sopracciglia e diede un’occhiataccia all’uomo. “Fanculo!”.
Fece per
voltarsi e andare via, quando sentì l’altro chiamarla.
“Sali,
forza! Scusami se ti ho messo fretta! Ti faccio un prezzo di cortesia!”.
La
ragazza si voltò e lo vide sporgersi verso la portiera passeggero,
spalancandola.
“Lei è un
idiota!” esclamò, sedendosi e sbattendola.
“Turista?”
chiese quello, accendendo il tassametro.
“Sì”.
“Noi di
Austropoli siamo un po’… ecco…”.
“Maleducati!
E sempre di fretta! Non vi è mai venuta voglia di aiutare il prossimo?!”.
La voce
della ragazzina rimbalzò nell’intero abitacolo, facendo sorridere dolcemente
quel pessimo esemplare d’umano.
“Qui il
prossimo al massimo lo inculiamo… Dove ti porto?”.
“Non lo
so”.
L’uomo la
fissò per qualche secondo e poi sospirò. “Qualcuno dall’alto vuole punirmi,
oggi”.
Sapphire
lasciò passare l’affermazione e abbassò lo sguardo. “White. So solo il suo
nome… organizza eventi, gestisce modelle…”.
“Se non fossi una persona onesta la porterei nel posto sbagliato, mi farei pagare la corsa e scapperei via”.
“Se non fossi una persona onesta la porterei nel posto sbagliato, mi farei pagare la corsa e scapperei via”.
“Non
parli, non riesco a pensare” ribatté quella, alzando la mano verso di lui e
sbuffando. “Agenzia di qualcosa”.
“Black
and White Agency, sulla Second…”.
“Sì!”
esclamò Sapphire. “Quella! Devo andare negli uffici e parlare con lei!”.
L’uomo
mise in moto e s’immise con arroganza sulla corsia; l’auto che lo seguiva
rispose suonando il clacson e lui reagì alzando il dito medio.
“Impara a
guidare, coglione…”.
“Siete
tutti troppo incazzati” osservò la donna, portando le mani sulle ginocchia.
“Non vivete male?”.
“Questa è
Austropoli… Come ti chiami?”.
“Sapphire”.
“Uh,
Sapphire. Che nome esotico... Da dove vieni, di preciso?”.
“Hoenn…”.
Il taxi
virò sulla quattordicesima e s’immise in un flusso di traffico che durava
chilometri. Il pilota sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
“Ma porca
puttana…”.
“Faccio
prima a piedi…”.
“No,
arrivati allo svincolo per la sessantaquattresima andremo di là…”.
Ci mise
quarantacinque minuti, ma alla fine Sapphire riuscì ad arrivare fuori l’alto
palazzo.
“Sarebbero
trentaquattro dollari, ma dammene venti. E scusami per prima”.
La
ragazza aprì lo zaino e diede una banconota all’uomo, quindi lo richiuse e uscì
sulla macchina. Il taxi sfrecciò via alla velocità della luce, lasciandola
davanti l’alto palazzo.
Alzò il
volto, coprendo con la mano gli occhi baciati dal sole.
La grande
insegna B&W MODELING AGENCY svettava
sull’intera Austropoli, guardandola dall’alto verso il basso. Le persone che
percorrevano il marciapiede per l‘intera sua lunghezza parevano minuscole
formiche, se messe a confronto. Non aveva mai visto, a Hoenn, un edificio così
alto. Pensò che all’interno vi fossero moltissime persone.
Salì gli
scalini, col cuore che cominciò a battere forte, fino a quando non entrò,
attraverso la porta automatica girevole.
Entrò e
la prima cosa che sentì fu una folata d’aria fresca sul viso, come quelle che
la colpivano quando raggiungeva il faro
sud di Verdeazzupoli.
Ma non
c’era l’odore del mare, tutt’intorno a lei. Il profumo che la investì era
dolciastro e piacevole, a tratti stucchevole.
“Buongiorno”
le disse una sorridentissima giovane in tenuta da hostess azzurra.
“Pan Am…”
sussurrò sottovoce. Scrutò velocemente la figura della moretta dalle grosse
labbra e ne lesse il nome. “Ciao Jessica”.
“Benvenuta
alla sede di Austropoli della Black and
White Agency…” aveva invece detto un’altra, alle sue spalle. E non riuscì a
nascondere la sorpresa quando sulla targhetta che aveva sul seno lesse il nome Kimberly.
Ricordò.
“Grazie…”
fece, squadrandola col volto granitico e gli occhi ben aperti.
Ruby
lavorava con Yvonne e altri animali che poco si allontanavano da quell’ideale
della donna perfetta, irrealizzabile e falso che era penetrato nell’immaginario
comune.
Ruby le
vedeva tutte nude.
Ruby le svestiva
e le toccava.
Sapphire
stava per prendere la testa di Kimberly tra le mani, per sbatterla contro il
pilastro su cui quella poggiava.
“Posso
aiutarla in qualche modo?”.
La voce
della donna era limpida e gioviale. Il suo viso pieno di luce.
Forse era
più bella di Yvonne, pensò, per poi ritrattare subito dopo.
“Cerco…
White”.
Lei
annuì.
“La
Presidentessa White, certo. Ha un appuntamento?”.
Il vuoto
dopo quella domanda risucchiò Sapphire, che lasciò sedimentare quelle parole,
fino a quando la testa di Kimberly, riccioluta e fulva, non si mosse, come a
ribadire la domanda.
“Ehm… no.
Ma siamo amiche di vecchia data. Dexholder entrambe, sa… Pokédex…”.
“Sapphire
Birch, vero?” chiese quella. “La fidanzata di Ruby”.
Non più. Mi ha lasciata perché sono il corrispettivo
femminile di un coglione.
“Sì…”.
“Si
accomodi sulle nostre comodissime poltroncine, parlerò con la reception per
vedere se può riceverla al momento. Posso offrirle qualcosa di fresco?”.
“Sto a
posto così, grazie. Aspetto qui”.
La vide
camminare con compostezza ed eleganza fino al banco sulla sinistra, sfilando
per una folla immaginaria che l’avrebbe senz’altro applaudita. Si fermò a
parlare per qualche secondo, annuì e poi riferì qualcosa. Infine tornò
indietro, facendo un cenno di saluto a un uomo in giacca e cravatta che la
salutava.
“La
Presidentessa non è ancora arrivata in ufficio; ha avvertito che stamattina non
sarebbe passata in ufficio per questioni di affari. Se vuole può lasciarle un
messaggio, glielo faremo recapitare”.
“No, no”
sbuffò Sapphire, portando le mani ai fianchi e abbassando la testa. “No. In
realtà cercavo lei perché starei cercando Ruby…”.
La cosa
lasciò Kimberly leggermente sorpresa, e a ragione. Insomma, era il suo
fidanzato e non riusciva a trovarlo, la cosa era strana.
“Il
telefono… non risponde” cercò di giustificare lei. “E non è tornato in camera,
nell’albergo dove pernotta”.
“Oh.
Okay… Beh, ha provato a contattare Yvonne Gabena? Lei è la top model
dell’Atelier”.
Ecco
l’idea.
“L’Atelier!
Brava!” esclamò Sapphire, sorridendo e stringendo entrambe le mani alla donna
che aveva davanti. “Dov’è?”.
“Sulla
Main…” rispose l’altra, confusa.
“Grazie!”
disse, sfrecciando indietro e tornando alla porta girevole.
Unima, Austropoli,
Main Street, Appartamento 19C
“Perfetto,
invii il contratto di locazione allo studio del mio avvocato” fece White,
stringendo la mano a Tyler Bossman, l’agente immobiliare dai denti più
scintillanti di tutta la città.
Era
sicuramente il più noto, dato che il suo volto era stampato su decine di
cartelloni piantati sull’intero lungomare.
Capelli
castani tirati all’indietro, laccati, volto solido e sorriso delle migliori
occasioni tatuato sul viso.
Sembrava
possedesse un intero guardaroba con lo stesso abito, uno per ogni giorno della
settimana. Ruby probabilmente si sarebbe soffermato sulla sua cravatta, una Marinella
blu con righe argentate.
“Sono
sicuro che il signor Normanson potrà apprezzare ognuna delle preziose
rifiniture che il precedente inquilino ha personalmente voluto fossero
installate.
Yvonne
alzò il mento, con le punte dei capelli che le carezzarono le natiche.
“È
meraviglioso. Sono sicuro che Ruby sarà felice di stare qui”.
White
annuì, stanca e risoluta. Voleva che quella storia finisse velocemente, voleva
bere qualcosa di pesante, ingoiare due o tre compresse e dormire con la
mascherina abbassata sul volto.
“Sarà il
mio legale a gestire la questione, ha già avuto disposizione di versare la
caparra per bloccare l’appartamento.
Tyler Bossman
sorrise e strinse la mano alle ragazze, accompagnandole gentilmente alla porta.
“Credo
che non ci saranno problemi. Prendetevi il tempo che vi serve e, appena
possibile, mi faccia girare la distinta di versamento dalla sua banca”.
Aprì la
porta, le due uscirono fuori e si avviarono all’ascensore.
“Spero
che a Ruby vada bene...” disse tra i denti la Presidentessa. “Sinceramente non
so come aiutarlo se non sostenerlo con queste piccole cose ma non posso
lasciare l’ufficio ogni volta che va all’ospedale...”.
“Già
siamo a due...” sospirò Yvonne, prenotando l’ascensore. “Io cercherò di stargli
quanto più vicina possibile... Soprattutto ora che Sapphire non c’è più”.
White
voltò testa e la fissò, seria. “Che intenzioni hai?” domandò, dopo aver
lasciato che il silenzio si prendesse la scena per qualche secondo.
“In-intenzioni?!
Che intenzioni dovrei avere, scusa?! Ruby stava per morire e...”.
“Ruby
adesso è single e tu hai più di una volta espresso il tuo apprezzamento per
quello che è il tuo capo. Ti rendi conto del conflitto d’interessi che andresti
a creare?”.
Yvonne
abbassò la testa, giusto per un attimo. “Io non ho fatto ancora nulla”.
“Per
quanto mi riguarda puoi fare quel che vuoi, te lo ripeto” disse l’altra,
portando la mano destra alla fronte e stropicciandosi gli occhi. Sbadigliò, con
garbo infinito. “... Ma non devi rovinare nulla. Non devi guastare nulla. Ruby
è come una macchina che estrae oro da una montagna di merda e tu sei il suo
strumento. Vi voglio un bene dell’anima ma questi sono affari... Le stronzate
alla Friends lasciamole in stanza,
sulla via cavo”.
Yvonne
rimase spiazzata. Se White avesse saputo le reali intenzioni che serpeggiavano
nella testa della sua modella, con ogni probabilità avrebbe costretto Tyler
Bossman a uscire nuovamente dalla casa che Ruby avrebbe acquistato, per capire
chi stesse urlando come una forsennata.
“Va
bene”.
“Chiama
Whiteley per vedere se ha finito. Poi dovrò andare necessariamente in ufficio”.
E la cosa
non andava bene.
“Dovresti
andare a riposare”.
“Chi
dorme non piglia pesci”. L’ascensore spalancò le proprie porte davanti a loro.
“Chiama Whiteley”.
Era
costretta ad affidare la propria sorte nelle mani del fato. Doveva sperare che
Sapphire fosse già stata nella sede dell’agenzia o che fosse stata così stupida
da non essere andata a cercare White per chiedere informazioni.
La
pesantezza la colse più forte di prima, quando si mise nei panni della
contendente: la immaginava a girovagare senza una meta ben precisa in una città
che non era la sua, col dispiacere in corpo che le erodeva gli organi
dall’interno e la paura di non riuscire a riparare al suo errore.
Rimasero
in silenzio fino a quando non uscirono in strada.
Se avesse
atteso trenta secondi in più avrebbe incrociato Sapphire, che tenace, avrebbe
spinto per salire fin su in atelier, per ricevere dagli stilisti alle scrivanie
la notizia che effettivamente no, Ruby non era mai stato in Atelier, in quei
giorni.
“È a Hoenn dalla sua donna...”.
“Sono io la sua donna...”.
Sconforto.
La flebile speranza che Sapphire covava aveva rotto il guscio ed era volata
via, senza che lei se ne accorgesse.
*
La folla
scorreva confusa lungo Main Street. C’era rumore, per strada.
“Whiteley...
Sono Yvonne”.
“Hey, ciao Ypsey. Sono in camera di Ruby, come mi
hai chiesto sto…”.
“Okay, va
bene, lo so, grazie. Solo… cerca di far… di far presto e…”.
Sbuffò,
la bionda.
Era
stanca.
“Ypsey?” domandò
la donna, con quella vocina metallica che lo stesso riusciva a esprimere
infinita dolcezza.
“Sì,
Whiteley. Cerca di far presto e non dar confidenza a nessuno… Ruby non dovrebbe
possedere altro che vestiti e poco altro. Porta tutto in Atelier e aspettiamo
che si riprenda”.
“Certo Yvonne”.
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