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Levyan - Nubian - 22 - Il gioco e la candela


XXII
Il gioco e la candela


 “Violenza e forza sono due concetti ben lontani” diceva Furio, allenandosi sotto la cascata “impara a sferrare un pugno contro la roccia, capirai la differenza”.
L’addestramento a cui Green si era sottoposto, sotto la guida del Capopalestra di Fiorlisopoli, gli aveva impartito la formazione necessaria a diventare lui stesso il leader di una Palestra e il detentore del titolo di Dexholder specializzato nella crescita dei Pokémon.
Machamp sollevava un masso come fosse fatto di cartapesta, scagliandolo contro uno Skarmory nemico. Un’abbondante massa di neve si staccava dalla discesa a causa dell’onda d’urto, ma nessuno se ne curava, nel caos generale.
«Charizard, Fuocobomba!» esclamava. Ed al bagliore scarlatto seguivano una fitta cortina di vapore e una folata di aria calda che faceva venire in mente a Ruby il Monte Camino.
I Pokémon nemici cadevano come tessere del domino, uno dietro l’altro, sotto la ferocia e la furia del Capopalestra di Smeraldopoli. Poco distanti, anche i due Dexholder di Hoenn erano impegnati nel combattimento, ma cercavano di controllare i loro attacchi anziché scadere nella brutalità perpetrata dal loro amico. L’Aggron di Sapphire immobilizzava un Raticate avversario, lo Scizor di Green quasi staccava la testa di netto ad un Medicham; il Casform di Ruby congelava un Kingler e il Pidgeot di Green conficcava gli artigli nella carne di un Luxray.
«Terremoto, Rhyperior!» esclamava il nipote di Oak, quasi non rendendosi conto di poter danneggiare anche i suoi stessi Pokémon o quelli dei suoi amici.
I tre combattevano infatti con le intere squadre schierate, non era possibile porsi dei limiti né tantomeno seguire delle regole da combattimento ufficiale. Da ogni parte sbucavano ogni minuto dei nuovi tizi vestiti di nero e armati di Ultra Ball marchiate Faces. In mezzo a quella piccola piana innevata che dall’alto doveva apparire come un buco nel candore cristallino delle vette del Monte Corona, decine di Pokémon lottavano simultaneamente in un’ingloriosa Battaglia Reale.
«Toro, Doppiocalcio!» ordinava Sapphire.
Il suo Blaziken, ben cosciente del compito assegnato, cominciò a balzare tra i nemici, evitando colpi pericolosi e sferrando potenti calci sugli avversari più stanchi e vulnerabili, stendendoli all’istante. Mise KO un Golem, due Magnezone e un Kangaskhan. Minimo sforzo e massimo rendimento. Poi dovette immediatamente spostarsi, per non essere centrato da un Idropompa lanciata dal Golduck di Green che era stata disordinatamente lanciata contro un Magmortar avversario.
«Sta’ attento» gli fece Sapphire, sperando di ricevere delle scuse.
Green sembrò non percepire altri suoni oltre la propria voce che ringhiava indicazioni a questo e a quel membro della sua squadra. E forse neanche quella.
Dietro al baluardo costituito da quel trio, c’era l’entrata della grotta che quegli agenti avevano ricevuto l’ordine di conquistare, senza saperne il vero motivo. Ogni tanto, qualche furbo novellino provava a eludere il combattimento, sorvolandolo con il suo Pokémon alato, ma venendo prontamente fulminato da Plusle e Minun, che se ne stavano lontani dalla rissa, pronti ad intervenire in caso di emergenza.
«Quanti ce ne sono ancora?» chiese Sapphire a Ruby.
Il numero degli agenti sul campo continuava ad aumentare e i Pokémon del trio iniziavano a battere la fiacca. Tutti tranne quelli di Green che, alimentati da una forza innaturale, sembravano concentrare tutta la frustrazione nei colpi che sferravano sui nemici.
«Swampert! Gardevoir!» esclamò Ruby, lanciando ai propri Pokémon due piccoli oggetti scintillanti. Questi afferrarono al volo le proprie Megapietre, mentre il loro Allenatore attivava il bracciale. Tra la calca, si manifestarono due luci: da un lato emerse un anfibio gigantesco che con la sua mole sovrastava tutti i Pokémon nemici e dall’altra uno spettro dalla sagoma eterea che emanava un’aura abbagliante. Sapphire fece lo stesso, Megaevolvendo Blaziken e Gallade. Quest’ultimo, sembrava una furia. Era l’ultima entrata nel team della Dexholder di Hoenn, nel quale figurava da circa due anni, ma si era perfettamente adattato allo stile di combattimento della sua Allenatrice.
«Milotic, Codadrago!» ordinava al suo Pokémon il Campione di Hoenn, per allontanare un Druddigon nemico e possibilmente rispedirlo contro il suo Allenatore, quando la sua vista si sfocò all’improvviso. Non era tornata la bufera, non gli erano caduti gli occhiali, anche perché portava le lenti a contatto. Semplicemente, la sua percezione della realtà aveva avuto una leggera distorsione. Gli venne un capogiro, dovette sostenersi e poggiarsi ad una roccia. Sapphire lo notò.
«Ruby» lo chiamò.
Il ragazzo alzò la mano, per tranquillizzarla. Aveva lo sguardo vuoto e la mente chiusa da una cappa di fumo. Ricollegò immediatamente la sensazione a quella percepita sulla Vetta Lancia, giorni prima. Pazientemente, attese che la foschia si diradasse.

«Ci siamo, Acromio» esclamò Rossella dall’altra parte dell’auricolare. Insieme al suo squadrone, si stava avvicinando al luogo della battaglia in groppa ad un Mamoswine.
«Com’è la situazione?» chiese lui, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer. Era ancora in elicottero, tentando di fare breccia nei sistemi della Faces senza farsi individuare.
«Siamo arrivati in tempo» rispose l’ex fiamma del Team Magma.
«Cerca Ruby, ho bisogno di qualcuno all’interno della base, mi serve subito del supporto» esclamò il leader dei rinforzi.
«Lo vedo, stiamo per raggiungere il luogo».
«Fate presto» ordinò Acromio «e cercate di non morire» si concesse, senza trasporto.
Rossella prese tutte le Ball della propria cintura e le lanciò contemporaneamente. La sua squadra di Pokémon fuoco si materializzò al suo fianco. Similmente fecero gli Allenatori che la seguivano.
Green non si rese conto di niente, ma Ruby e Sapphire videro comparire uno stuolo di Allenatori all’improvviso. Alcuni avevano facce conosciute, altri avevano indossato le vecchie uniformi con il logo del Team Plasma o del Team Galassia appositamente per farsi riconoscere. Davanti a tutti, una dei luogotenenti del vecchio Team Magma. Come un’onda, i rinforzi si abbatterono sugli agenti Faces, dando un minuto di tregua alle squadre dei tre Dexholder, che era ormai allo stremo. Rossella lanciò all’attacco un Camerupt e un Crobat, ma si tirò subito indietro, lasciando agire i suoi sottoposti.
«Siamo arrivati in tempo?» chiese, avvicinandosi a Ruby.
«Forse, qualche minuto prima...» rispose lui, sotto sotto felice di incontrarla.
«Per vederti c’è bisogno di scatenare un cataclisma, dolcezza» fece lei, sorridendo con i suoi zigomi rosei e i suoi occhioni opalescenti.
«E’ vero, l’ultima volta ci siete quasi riusciti» subentrò Sapphire, con un’accentuata punta di veleno.
Rossella arrossì appena, ma non diede segni di insicurezza «vi siete dati da fare, in mia assenza» disse soltanto.
Alle sue spalle, le ex reclute avevano intrapreso una strenua, caotica ed accalcata lotta contro le squadre della Faces. Il numero di Pokémon in campo era praticamente raddoppiato, in aria e ai lati schizzavano fiammate e raggi di energia, la calca di creature ammassate era costellata di luci e vibrava per le grida, i ruggiti e le onde d’urto.
«Acromio vi chiede di rientrare, ha bisogno di voi all’interno della base» disse Rossella, apprestandosi ad entrare nel vivo del combattimento.
«Grazie per l’aiuto» annuì Ruby, iniziando a far rientrare i propri Pokémon nelle Poké Ball.
«Cosa faresti senza di me?» lo provocò la ex Fiamma del Team Magma, rivolgendosi verso la battaglia.
Ruby e Sapphire si ricomposero e imboccarono la scalinata, scendendo nella grotta gelida per l’ennesima volta.
«Quella ha cercato di ammazzarti, una volta» puntualizzò Sapphire, dal nulla, mentre stavano rientrando nei cunicoli della base Faces.
Ruby sorrise e non affermò il contrario, lasciando cadere la questione.
«E’ una sciacquetta, si vede a un chilometro» proseguì Sapphire.
Raggiunsero il salone del nodo e imboccarono, appena prima dell’entrata, la stanza delle telecamere. Messo piede sul pavimento di pannelli metallici, si bloccarono, paralizzati. Avvolta nei panni e nei sacchi a pelo, c’era Blue, rannicchiata accanto alla stufetta portatile. Era tutta inzaccherata di sangue, il volto pallido e le labbra viola. Restava lì, immobile, gelida. Sapphire soffocò un singhiozzo, Ruby si costrinse al silenzio. Fissarono quel corpo privo di vita per un intero minuto, forse di più. L’avevano lasciata tra le braccia di Green, consapevoli che quel tempo, impiegato in qualcosa di utile, sarebbe stato prezioso, forse provvidenziale. Poi era scoppiato il combattimento e Green li aveva seguiti, sradicato dal senso del dovere. Blue era morta da sola. Il suo ragazzo era ancora fuori, sfogava la sua furia sui nemici, forse sperava di cadere combattendo.
La voce di Acromio cominciò a gracchiare nella ricetrasmittente, attirando la loro attenzione. Ruby e Sapphire si scambiarono un’occhiata, ricordandosi a vicenda il compito da svolgere.
«Siamo qui, Acromio» rispose Ruby, avvicinando la bocca al microfono e premendo il tasto dell’audio.
«Sono al punto di non ritorno» fece lui «dovete ascoltarmi attentamente» sotto la sua voce, si udiva chiaramente il suono della tastiera su cui stava rapidamente digitando.
«Ok, va’ pure».
«Mi basta scrivere una stringa di codice per inviare il comando di spegnimento» spiegò «ma la Faces si è accorta dell’intrusione e mi ha raggiunto. Li sto bloccando io da almeno cinque minuti, precludendogli l’accesso. Se avviassi lo spegnimento del macchinario, però, non sarei più capace di fermarli: avrebbero qualche secondo per inviare il comando di autodistruzione».
«Che cosa succederebbe?»
«E’ questo il punto: non lo so, non ho idea di quale comando il computer considererà prioritario. Non possiamo permetterci di sbagliare se la base esplodesse morirebbero tutte le persone presenti su quella vetta e la Resistenza perderebbe tutte le prove per incriminare la Faces, è importante salvare il laboratorio intatto».
«Quindi?» chiese Ruby.
«Chiamate di nuovo Porygon, tenetevi pronti. Se sullo schermo appare il comando di spegnimento, lasciate stare tutto, se invece dovesse apparire quello di autodistruzione, ordinategli di chiudere tutti gli accessi al mainframe, tutto chiaro?»
Ruby e Sapphire risposero affermativamente, spostando immediatamente lo sguardo sulla finestra che era aperta sul monitor centrale. Sullo sfondo nero, erano state digitate numerose stringhe di codice, ma c’era un’ultima sequenza che continuava a digitarsi e a cancellarsi da sola, rapidamente, ad una velocità altissima:

/crackdown

Era terribilmente inquietante. Ma l’adrenalina nelle loro vene non permetteva a Ruby e Sapphire di pensarci.
«Porygon, abbiamo bisogno di te» lo convocò Sapphire.
Il Pokémon Virtuale emerse di nuovo dal dispositivo soltanto per metà, dovendo mantenere il controllo sulla struttura digitale interna.
«Stai facendo un ottimo lavoro, ma se ti diamo l’ordine, tu chiudi immediatamente qualsiasi accesso al mainframe» gli comunicò Sapphire, sentendosi un po’ stupida nel parlare di materie che non conosceva.
«Va bene, Acromio, dicci quando» fece Ruby.
«Ragazzi, ricordate...» mormorò lui, greve «se non dovesse funzionare... insomma. Siate forti...»
«Di che parla?» chiese Sapphire.
Ruby non rispose, aveva gli occhi fissi sullo schermo.
«Tre secondi» disse Acromio.
Porygon-Z si mise in posizione. Ruby smise di battere le palpebre.
«Tre... due... uno...»
Sullo schermo non apparve nulla. Il codice di autodistruzione si era cancellato, senza ricomparire subito dopo. Ruby non seppe cosa fare. Nell’istante successivo, lo schermo fu scosso da dei glitch e improvvisamente chilometri e chilometri di stringhe comparvero tutte insieme, come fossero state digitate dalle mani più veloci del mondo.
«Chiudi tutto» sussurrò Ruby a Porygon.
Il Pokémon scomparve con un sibilo all’interno del computer. In quell’esatto momento, i codici smisero di apparire. Tutto era fermo, nella finestra del computer. Porygon riemerse dal dispositivo. Ormai il suo aiuto non era più richiesto.
«Che cosa è successo?» chiese Acromio, gridando tra le interferenze.
Ruby e Sapphire si scambiarono un’occhiata.
«Blocca tut... Ruby, bl... tu...» gracchio la sua voce, prima di scomparire del tutto in un brusio.
La Faces era stata più lungimirante. I due Dexholder non avevano la minima idea di cosa fosse successo, ma le cose non erano andate bene. Ruby rimase immobile davanti allo schermo, con i pugni stretti e gli occhi privi di luce.
«Che cosa facciamo?» chiese Sapphire.
Silenzio. Ancora. Silenzio.
«Dobbiamo fermare la macchina» rispose Ruby.
«Sì, ma come? Acromio...»
«Kalut mi aveva detto che c’era un unico modo per farlo, da qui» proferì il ragazzo, con un filo di voce «dobbiamo staccare le capsule, una per una».
«Facciamolo» Sapphire non capiva, l’alternativa non poteva essere così semplice.
«Scollegare le capsule in questo modo... ucciderà i Pokémon all’interno» spiegò Ruby.

«Ma quanto ci mettono?!» esclamò Alan, ex generale del Team Idro, ora schierato con la Resistenza, sotto la guida di Acromio.
«Batti la fiacca?» gli chiese Rossella, mentre il suo Ninetales faceva terra bruciata attorno ad un Alakazam nemico, evocando una fitta cortina di vapore.
Alan gli ringhiò contro. Rossella sorrise, canzonatoria. In realtà, anche lei iniziava a sentire la fatica. Le squadre di supporto erano arrivate parecchio tempo prima, sostituendo i Dexholder sul campo di battaglia. Il loro leader aveva assicurato loro che sarebbe stata una battaglia breve e funzionale alla sola difesa della base per un limitato periodo di tempo, ma non si avevano notizie da nessuno da parecchi minuti, ormai.
«Acromio» chiamò Rossella, attraverso la ricetrasmittente «Acromio».
Nessuna risposta.
La ex Fiamma del Team Magma continuò a lottare, schierando i suoi ultimi Pokémon in sostituzione dei membri ormai esausti della squadra. Attorno a lei, c’era il caos più totale. Gli ultimi Allenatori di supporto lottavano strenuamente contro le forze della Faces, che sembravano moltiplicarsi. Alcuni suoi compagni erano costretti a ritirarsi per curare i propri Pokémon e rimandarli in battaglia subito dopo. La Faces li stava schiacciando numericamente, i soldati vestiti di nero sembravano moltiplicarsi, continuavano ad arrivare, ancora e ancora. In mezzo a quella battaglia campale, Green continuava a mietere vittime senza alcun controllo di sé. Combatteva da più tempo di tutti, non si era concesso alcuna pausa, aveva tenuto fisso il posto di avanguardia. Eppure, sembrava che niente fosse in grado di rallentarlo, era come impossessato da uno spirito guerriero, indomabile, irriducibile.

«Non possiamo farlo...» mormorò Sapphire, pallida come un cencio.
«Lo so, cazzo» ribatté Ruby.
«Tu sei... sicuro che abbia detto così?» domandò la ragazza, arrampicandosi sugli specchi.
Lo sguardo di Ruby non lasciava spazio a interrogativi. Era inutile perdere ancora tempo: Kalut era morto, Acromio aveva perso la possibilità di fare qualsiasi cosa e anche quella di mettersi in comunicazione con la base e loro due da soli non sarebbero mai stati capaci di escogitare una via alternativa. Fuori da quella base, imperversava ancora la battaglia, gli scagnozzi Faces mandati a riconquistare quelle grotte non accennavano a cedere, i rinforzi giunti dalla Resistenza li stavano trattenendo, ma non avrebbero potuto farlo per sempre.
«Sono stati loro ad ucciderli» fece Sapphire, dal silenzio.
Nella stanza, si udiva soltanto il gracchiante suono della ricetrasmittente che tentava di riconnettersi con Acromio, senza successo.
«Li hanno uccisi loro, catturandoli e infilandoli in delle capsule, per sfruttarne l’energia» continuò «noi li stiamo solo liberando da questa agonia» cercò di convincersi.
La Dexholder lasciò la stanza, tornando nel salone del Nodo. Ruby la seguì, senza esserne troppo convinto. La vide mettere piede in quell’ambiente dal clima glaciale, stringersi nel suo cappotto e prendere coraggio, respirando profondamente. Sapphire era immobile, davanti alla prima capsula, contenente un Froslass. Il Pokémon era collegato a dei cavi che uscivano fuori dalla capsula e si connettevano a centinaia di loro simili, formando le lunghe e intricate spire che raggiungevano il Nodo di Regigigas. Il Pokémon era addormentato, o almeno così pareva. Sul vetro della capsula si era formata una fitta condensa, ma non era difficile guardare all’interno, e notare i quasi impercettibili tremori che ne scuotevano il corpo a intervalli irregolari. Era come se stesse tentando volta dopo volta di svegliarsi, di muoversi, di fuggire.
«Mi dispiace» mormorò Sapphire.
In uno scatto, afferrò il grosso cavo di alimentazione che forniva alla capsula la corrente necessaria al funzionamento. La staccò.
La luce che illuminava il Pokémon all’interno si spense improvvisamente, i led che indicavano lo status del dispositivo morirono. Poi tutto parve fermarsi.
«Che succede?» chiese Ruby in un lapsus automatico.
Probabilmente, Sapphire sperò un’ultima volta che lo spegnimento della capsula, al contrario di come era stato detto da Kalut, non avesse conseguenze sul Pokémon contenuto. Soltanto in un secondo momento, notò la patina di ghiaccio che stava lentamente coprendo il vetro, internamente. Froslass era ancora immobile e inerte, quando il gelo cominciò a coprirlo del tutto. Dopo pochi secondi, l’interno della capsula non era più visibile, il ghiaccio l’aveva occultato completamente.
Il silenzio, fu spezzato da uno stridio. Era come il suono di una corda di violino suonata con un coltello. Un corpo pesante, congelato, compatto, cadde all’interno della capsula, appoggiandosi contro il vetro. Era perfettamente distinguibile, in controluce, l’ombra del corpo di Froslass. Era immobile, paralizzato.
Sapphire non pianse. Aveva già versato troppe lacrime, quel giorno.
«Vaffanculo» sibilò, tappandosi la bocca con la mano, quasi nel tentativo di soffocarsi «cazzo, cazzo, cazzo...»
Non aveva mai ucciso nessuno, ma aveva lottato contro molti uomini. Uomini cattivi, uomini che avrebbero fatto del male a degli innocenti e che si erano potuti difendere dai suoi attacchi. C’era sempre stato un tacito accordo, una convenzione, una regola.
Ruby fece un passo avanti, verso la seconda capsula, nella quale era contenuto uno Snover. Lentamente, strinse anche lui il cavo e tirò, finché questo fu estratto dalla presa, privando la macchina della corrente. Stessa reazione: doveva essere una conseguenza propria dello spegnimento delle funzioni del macchinario. Il ghiaccio rivestì l’interno della capsula, ricoprendo completamente il Pokémon, che emise appena un gemito. Poi cadde anche lui, morto, congelato, privo di vita.
Il salone conteneva un centinaio di quella capsule, con Pokémon provenienti da tutto il mondo. In fondo, c’era il Nodo, verso il quale convergevano tutte le connessioni. Poco lontano: Xavier. Ancora coperto di acqua, gelido, tremante e ferito. Aveva smesso di sanguinare a causa della temperatura artica. Era quasi svenuto per alcuni minuti, dopo essere caduto, nel tentativo di portare Kalut con sé. Si era risvegliato con quella scena, davanti a Ruby e Sapphire che, uno dopo l’altro, scollegavano quei Pokémon innocenti, condannandoli a morte all’interno delle loro prigioni. Lui aveva contribuito a quello scempio: aveva catturato molti dei Pokémon contenuti lì dentro, lavorando per la Faces. Nessuno gli aveva ancora detto che uso ne sarebbe stato fatto, ma probabilmente lui neanche ci avrebbe creduto.
Tentò di rimettersi in piedi, probabilmente pure i legacci iniziavano a cedere. Non aveva le sue Ball, ma si trovavano sicuramente lì nei paraggi. Fissò il terreno, roccia gelata illuminata dai led sparsi per tutto il salone. Si guardò attorno: una grotta segreta del Monte Corona piena di Pokémon incapsulati la cui energia serviva a far scendere un inverno perenne su Sinnoh.
Come era arrivato a tanto?

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