XI★
Il
giorno seguente, Brendan si svegliò con l’odore tiepido e dolce delle
buone colazioni mattutine; era simile all’aroma che sapeva creare sua
madre, ma… più delizioso ancora.
Non sapeva spiegarselo.
Si sollevò, sbadigliò e cominciò a guardarsi intorno con aria stordita.
Era
in casa di Orthilla, sul suo divano. Una luce intensa penetrava dalle
finestre, donando ai mobili un aspetto allegro e rigenerante.
Si massaggiò tra i capelli castani, leccandosi le labbra impastate di sonno.
Doveva
essersi addormentato durante il volo di ritorno, perché non ricordava
più niente da lì in poi… cercò con lo sguardo la ragazza, e seguendo
l’odore, la trovò in cucina.
Sembrava
rilassata, e stava armeggiando con i fornelli, intenta a preparare la
colazione. La chioma turchina le scendeva cauta sulle spalle, e un
timido sorriso le scalfiva il volto ancora assonnato. Era davvero
bellissima.
Emanava speranza da tutti i pori.
Si alzò e la raggiunse.
«Buongiorno, Brendan!»
«Ti ringrazio per avermi fatto dormire da te… ero davvero sfinito…»
Orthilla
incrociò le mani. Le brillavano gli occhi, ma non sapeva dire se per la
gioia o per la paura. Paura della vita, che dopo l’attimo di ieri aveva
ripreso ad essere frustrante e crudele. «Ho dovuto frugare nella tua borsa per cercare Sceptile… non riuscivamo a metterti sul divano! Sai…»
ritornò ai suoi amati fornelli. Non sentiva l’ebbrezza di cucinare da
tantissimo tempo, era emozionatissima all’idea di star impugnando una
padella. «quando dormi diventi stranamente più pesante.»
Brendan
sentì l’impulso di baciarla. Arrossì al pensiero. Che andava pensando?
Non si conoscevano nemmeno da un mese, e poi… lui era così brutto, così
insignificante per lei.
E
i loro mondi erano davvero troppo distanti perché potessero anche solo
entrare in contatto. Se n’era reso conto ieri sera, quando i fan lo
avevano costretto a scansarsi, trascinandolo indietro. Quell’attrazione
nei confronti della Idol, per lui importante, in realtà valeva
esattamente quanto la folle ammirazione degli ammiratori.
Stessa mera importanza, niente di più, niente di meno.
E questo gli faceva male. Il suo lavoro lì era finito.
«Ho preparato la colazione anche per te, se te lo stai chiedendo.»
Orthilla
doveva aver notato il suo sguardo assente, quindi il giovane tornò con i
piedi per terra: meglio non pensarci. Aveva una Lega da conquistare,
doveva rimanere lucido.
I suoi doveri del resto erano ben altri che stare dietro ad una Idol come il resto dei fan.
Si
sedettero a tavola, uno di fronte all’altro, e cominciarono a mangiare.
La ragazza si ingozzava con voracità, bisognosa di riempire lo stomaco
rimasto a mezzo digiuno per troppi giorni, e Brendan notò con piacere
che stava acquistando colorito, fame e fiducia.
Soprattutto, fiducia, anche se il processo era ancora lungo.
Glielo leggeva in quegli occhi morti, in quel turchino spento. Le ferite facevano ancora troppo male.
Eppure… eppure non era sola. Doveva solo aprire le palpebre, e buttarsi.
«Come ti senti?»
«Male.» esordì lei, fissando la dolce frittella distesa sul piatto con amarezza. «Ma…
anche bene. Non so come spiegarmi, Brendan… ho un nodo allo stomaco,
io… sono rimasta sorpresa da quello che è accaduto ieri.» sorrise triste; sembrava un fiore in mezzo alla neve. «Ancora ho i fremiti…»
«Questo vuol dire che uscirai di nuovo, vero?»
«Certo che sì! Anche se ancora non me la sento di farlo sola…»
«Invece dovresti andarci per conto tuo, Orthilla. Anche perché io non potrò sempre farti da accompagnatore…» disse Brendan, guardandola serio. O arrabbiato? Non sapeva come sentirsi, in quel momento. Sapeva solo di non servire più. «Ho intenzione di partire per la Lega.»
Ad Orthilla quelle ingenue parole suonarono come la minaccia più tagliente che potesse aver mai ricevuto.
Si portò le mani davanti alle labbra, per bloccare un gemito di sconforto.
Si era quasi dimenticata della Lega, colpa dell’ebbrezza di ieri, colpa sua forse, del suo egoismo spigliato.
Lega.
Tremò vistosamente.
Quattro lettere che suonavano di abbandono, di rinuncia. Esatto, Brendan l’avrebbe abbandonata.
“Troietta! Com’è approfittarsi dello zio ricco, eh?”
“Venduta! Raccomandata! Succhia fama, dovresti vergognarti! Te non sai nemmeno cosa significa, la parola fatica!”
“Preferirei essere colpita da un Dragobolide, piuttosto che tornare a vedere i tuoi spettacoli penosi.”
Sentì di cadere in un oceano fatto di sconforto, violenza, tutto intorno a lei si fece nero ed ovattato.
C’erano solo lei e le sue ferite, ancora aperte, brucianti e dolorose.
E
le lacrime. Quelle versate e quelle trattenute, quelle che ora volevano
uscire, rigarle la pelle, precipitare e seccarsi sul pavimento.
Si leccò le labbra, improvvisamente fattesi secche.
Tutte
le parole brutte che nel giro di pochi mesi l’avevano ridotta allo
straccio che era le si riversarono addosso come gelide correnti, insieme
alla sensazione di solitudine che ancora la costringeva a piangere, di
notte, e stringersi forte ad Altaria, soffocando le lacrime nel cuscino.
Non riusciva a lasciarlo andare. Lei… lei lo voleva, al suo fianco, per sempre.
Sentiva un attaccamento speciale nei suoi confronti, e se Brendan ora partiva…
l’avrebbe
lasciata sola, debole, contro una cosa ancora troppo grande perché
potesse farcela da sola, nutrendosi giusto dell’amore contenuto che le
lettere dello zio tenevano ben conservato.
“Sei una delusione!”
Lo guardò, mentre il ragazzo, afflitto, giocava con i lembi della tovaglia.
“Venduta!”
Non sapeva cosa provare. Non voleva essere abbandonata di nuovo…
ne tantomeno perderlo…
“Fai pena, schifo e squallore. Dovresti vergognarti.”
Una corda di metallo le strizzò il cuore dalla paura, e fece male.
I
fan… lei non era più abituata ai fan. Erano l’allegria di qualche
istante, il tempo di sorridere, firmare un foglio bianco credendosi
ancora chissà di quale importanza e poi…
E poi?
Poi fine.
Il vuoto, il nero.
Il dolore, quell’insopportabile dolore infondato, quello che percepia anche ora, quel sentirsi completamente inutile…
Dov’era la vera Orthilla…?
Cercò
dentro di sé, ma non trovò altro che punti di domanda, una confusione
enorme e una tremenda paura di ciò che sarebbe successo dopo, una volta lasciata sola. Di quel domani senza Brendan.
Si alzò, raccolse le sue cose e le gettò nel lavandino con rabbia. «Q-quando…»
«Io… forse dopodomani…»
Brendan non sapeva dove fissare lo sguardo. Prima si toglieva di mezzo,
prima lei avrebbe spiccato il volo; sì, era così, Orthilla non aveva
più bisogno di lui. Aveva dei fan, le lettere dello zio e Rocco, che
nonostante le conferenze, un’azienda da gestire e una Lega da
frequentare sette giorni su sette, si era presentato al cancello di
quella casa come un eroe in un momento disperato.
Orthilla doveva semplicemente farsi forza, tutto qui.
Insomma, la spinta gliel’aveva data, no? Il suo lavoro lì era davvero finito.
Ora
doveva tornare a concentrarsi sui suoi, di obbiettivi. Era partito per
conseguirli, del resto, non per badare dietro ad una ragazza
perfettamente in grado di conquistare il mondo senza di lui. «Sì, dopodomani.»
Orthilla
sentì il tempo dilatarsi, e il rumore delle lancette perforarle il
cervello con il loro incessante, fastidioso e ansiolitico ticchettio.
Dopodomani…? Quarantotto ore per prepararsi psicologicamente a sentirsi
di nuovo lasciata per strada?
Abbandonata ad un destino ingiusto e crudele?
Sarebbe
voluta esplodere di dolore; tutta la felicità accumulata grazie a ieri
notte svanì, cedendo il posto ad un forte senso di trascuratezza.
Non era affatto pronta per tutto quello. No, non ci stava.
La
sfolgorante Orthilla, che un tempo aiutava a realizzare i sogni degli
altri, ora si ritrovava a volerne ostacolare uno, per puro e mero
egoismo.
O forse… in qualche modo… per amore? «Non posso credere che mi abbandonerai anche tu.» sbottò,
e per la prima volta sentì di voler lanciare tutto contro le pareti di
casa, ferita nel profondo da una cosa forse banale, ma che lei non
riusciva a non vedere come tragica e difficile.
Sola di nuovo.
«A-abbandonarti…?» Brendan si alzò e la raggiunse, ma lei in risposta fece qualche passo indietro. Non voleva averlo vicino.
Si sentiva presa in giro e tradita. L’unica persona che le era stava davvero vicina ora voleva andarsene, per una stupida Lega, e lei…
Dio, che fine avrebbe fatto lei?
Tutto il giorno sul letto, ignorando la vita che la chiamava. Che le diceva di buttarsi, di provarci.
«Sì, abbandonarmi come hanno fatto tutti gli altri! Come mio zio--
«Tuo zio non ti ha abbandonata. E nemmeno io ho intenzione di farlo, non essere egoista perché non ti si addice!»
«Allora perché te ne vai?!»
Brendan
le cinse le spalle e avvicinò il viso a quello di lei. Non era così che
funzionava. I loro universi – continuava a ripeterselo – erano troppo
distanti ed incompatibili. I loro obbiettivi, erano così diversi… le
loro vite non potevano incastrarsi.
Ed
inoltre, se lei era intenzionata a ritrovare se stessa, doveva farlo in
pace. Stando al mondo da sola. Camminando da sola, rafforzandosi da
sola.
Che
poi, sola non era. Migliaia di persone non aspettavano che un suo
ritorno, e di certo quelle migliaia valevano proprio come lui.
«Me ne vado, perché io ho un obbiettivo.»
«Non puoi lasciarmi sol--
«E tu hai il tuo da raggiungere, ed è lungo e pieno di successo.»
«Cosa stai dicendo…!» Orthilla era rossa in volto dalla paura.
Quelle parole facevano male, le arrivavano dritte al petto come pugnali.
Uno
dietro all’altro, seguendo il ritmo della morte, scavando sempre più in
profondità nel cuore ancora ridotto ad infiniti cocci.
Voleva mordersi la mano, per scaricare tutta la frustrazione che le si stava accumulando dentro intoppandola di dolore.
«Non puoi farmi questo, Brendan…!»
«Orthilla, la tua vita comincia ora. Dimostra al mondo chi--
«Non mi parlare mai più!»
Lo spinse. Era furente, nervosa, in ansia. L’idea di rimanere ancora sola la stava torturando in modo brutale.
«Orthilla…»
«Vattene! Corri ad affrontare la Lega! Traditore!»
Brendan
la guardava, sconfitto. Non l’aveva mai vista tanto sconvolta. Ma che
ci poteva fare? Nessuno dei due avrebbe risolto niente, insieme. E lei
non lo necessitava come realmente credeva. «Orthilla, le cose stanno così… il tuo posto è in alto, qui ed ora. Devi solo ritrovarlo… ma ti appartiene già.»
«Ho detto che devi andartene.»
«Non così facilmente.»
«Sparisci!»
La
ragazza lo strattonò verso la porta, e quando questa si schiantò dietro
alle spalle del giovane, un doloroso silenzio calò su tutta Ceneride.
L’aria
era insolitamente fredda, e avviluppò il corpo di Brendan in una morsa
di gelo fortissima; il giovane si abbracciò, per farsi calore.
Eppure non si mosse.
Si accasciò a terra, e rimase lì, contro la porta. Ad ascoltarla piangere piano.
Perché Orthilla doveva costringersi a soffrire tanto… per cose da niente?
Una metà di lui voleva davvero rimanere con lei.
Ma l’altra sapeva di non essere più necessario, e di dover dunque ritornare sui suoi passi.
Quella
ragazza era per persone come Rocco, per qualcuno che potesse aiutarla
seriamente, che disponesse degli strumenti per tirarla in aria e
assicurarsi che non cadesse più.
Controllare il suo volo, e supportarla nei momenti critici.
Chi era lui per permettersi ciò?
Un banalissimo allenatore come tanti altri, il solito ragazzo che sceglie di partire all’avventura.
Niente di speciale. Un fan come un altro, forse.
Ecco tutto.
Il suo posto non era accanto a lei.
Commenti
Posta un commento