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Herr - Ditching Cards - 2 - The Undiscover'd Country



DITCHING CARDS
DUE PAROLINE: Breve annuncio: questo capitolo è formato da due storyline che si intrecciano. Le storyline sono in due punti temporali diversi, non sono in contemporanea. I personaggi della prima, quella più "vecchia", sono Louis ed Erika. I personaggi della seconda Erika e Ethan. Buona lettura.

CAPITOLO 2
The Undiscover'd Country

The only thing that's certain
Is your indecision
I guess it must be working
Cause you hit me with such precision
Now the strings are breaking
Their fingers run with blood
But they keep on playing
The cycle never stops

Who's in control?
Who's playing who?

(Florence + The Machine; Conductor)


flashback – Anville Town – 26/08/12
Quel giorno il sole era una palla di fuoco che sovrastava la cittadina di Anville Town la irradiava del suo calore. Le temperature di agosto erano giunte con splendida puntualità, tanto che né Erika né Louis potevano dire di aver memoria delle rigide atmosfere invernali o del tiepido torpore primaverile.
« Key, ci sei? ».
Il cielo era una tela color ciano che si estendeva oltre l’orizzonte visibile, oltre le montagne a nord ed oltre l’infinita estensione di boschi a meridione.
« Key? ».
La sua voce si perse nel vuoto.
Si guardò attorno, muovendosi in ciò che sembrava un antro fatato: le persiane erano state tirate giù e socchiuse, cosicché la luce potesse filtrare all’interno del salotto in rade e sottili lame che tagliavano l’aria. Il silenzio, eco di una città spogliatasi dai suoi abitanti, riempiva la stanza.
« Sto finendo la valigia! ».
« Ma se ho già portato giù il trolley! ».
Louis si spostò in corridoio: nessuna risposta.
« Key? ».
Quando balenò nella stanza trovò Erika intenta a sedersi su di un grande trolley color verde smeraldo.
« Che stai facendo? ».
« Sto, anf—» ansimò, come provava a far girare la zip attorno i lati del bagaglio « sto cercando di chiuderlo, anf—».
« A cosa ti serve un terzo bagaglio? ».
Erika lo guardò di sottecchi. « Vuoi stare là a parlare o aiutarmi? ».
« Uh? Ok—».
« Alt! » lo interruppe. « Ho finito, ce l’ho fatta ». Un sorriso le illuminò il viso.
« Be’? Non dici nulla? ».
Louis si limitò a guardarla, diffidente.
« Cosa dovrei dire? ».
« Brava Erika per il tuo splendido lavoro! ».
Rise. « Ok, Key, io me ne va—».
Erika lo assalì, avviluppando le sue braccia attorno al ragazzo. Staccò un rapido bacio dalle sue labbra, dalle quali rifuggì poco dopo.
« Ehi, ehi! Siamo in ritardo sulla tabella di marcia! » rise lui, felicemente sorpreso.
Ammiccò. « Allora sarà meglio che mi sbrighi ».
« Dove credi di andare? ».
Louis le afferrò il braccio e la tirò nuovamente a sé: la baciò.

𐌳 𐌳 𐌳

presente – Highway – 09/02/13
« Ci metti sempre così tanto per andare a Nimbasa City? ».
Erika era rannicchiata nel sedile anteriore, in parte al ragazzo, inclinato quanto più possibile per dare spazio alla giovane di dormire; ormai aveva smesso di contare le ore che aveva passato dentro la macchina.
« Ti rendi conto che Anville Town è all’estremo nord di Unova? Non è facile farsi metà regione in una giornata ».
« Mh » concesse lei. « Possiamo almeno fermarci a mangiare? ».
« Tra poco saremmo già arrivati, Hil— Erika ».
Un plaid in tartan era avvolto attorno a lei, seguiva le curve del suo corpo ed a più riprese era stato fatto avvolgere la sua vita e le sue cosce, dandole l’apparenza di un bozzolo celeste.
« Chiamami pure—» la sua voce fu interrotta da uno sbadiglio « Erika… ».
Ethan sorrise. « Ricevuto. Dovrò abituarmici ».

Le luci rosse del tramonto cominciavano a far capolino sull’orizzonte, solleticando le palpebre di Erika, che di riflesso inarcò le labbra in un’espressione di fastidio.
« Perché hai smesso di parlare? ».
« Io? ».
« Sì, tu ».
« Cosa dovrei dire? ».
« Non lo so. Cosa dovresti dire? ». Erika allungò il suo braccio ed accese la radio. « Ora va meglio ».
Non trascorse molto tempo che la sera calò su Unova, dipingendo le nuvole di un colore purpureo e indaco. La ragazza era ancora assopita, avvolta dalla coperta di plaid che tanto le piaceva portarsi appresso.

𐌳

Dall’alto, immersi fra le nuvole di Unova, i due apparivano come uno sfavillante rombo che incedeva nell’oscurità. File ordinate di puntini gialli e rossi striavano l’autostrada, quella sera calma e pacifica come un mare dopo la tempesta. Un formicaio di luci che inseguivano la meta tanto ambita, lo sfavillante faro di Nimbasa City, cuore pulsante della vita di Unova.
Ai loro occhi, ciò non era altro che una lunga strada in salita costeggiata da un interminabile, alla vista, bosco. La macchia boschiva si estendeva per chilometri e chilometri, per poi incontrare il mare interno della regione.
Nell’oscurità della sera, procedevano.
« Hild… Erika? ».
« Erika? ».
Allungò un braccio verso la coperta e diede un colpetto.
« Mh ».
La macchina imboccò una curva a destra, proseguendo per altri cento metri all’interno di un parcheggio. Quando si arrestò, Ethan poteva leggere dall’interno della vettura la scritta “Ben’s Drive In” scintillare a led violacei.
« Dove siamo? » mugugnò Erika, alzando lo sguardo al locale.
« Una sosta prima di arrivare a Nimbasa ».
« Oh… ».
« Vuoi che andiamo direttamente a casa? ».
Casa. Cosa significava per lei quella parola?
« No, no. Va bene così ».
 
𐌳 𐌳 𐌳
« Forza Key, siamo arrivati ».
« Fammi restare qua ancora un po’… » esclamò Erika, nascondendo il viso dentro al plaid azzurro.
« Dai, che c’è un sole bellissimo! ».
Louis alzò lo sguardo al cielo, teatro delle esibizioni di uno stormo di Pidove. Un forte vento spazzava i campi della collina e smuoveva le corte ciocche verdi del ragazzo, danzanti in balia della brezza.
L’orizzonte era squarciato a metà dalla Torre Cielo, una costruzione di marmo bianco che, dal cuore del bosco, s’innalzava per una settantina di metri verso il cielo, imponente rispetto alla modesta campagna che lo circondava. Come se la natura ed anche l’opera dell’uomo, lai città limitrofe, si inchinassero di fronte alla magnificenza di quel capolavoro di architettura medievale.
Erika stessa, sconfitta la sua pigrizia e l’abbiocco provocato dal viaggio, alzò lo sguardo e si mise ad ammirare la bellezza del paesaggio. I colori pastello che animavano quella visione parevano usciti da un quadro impressionista e la torre, al centro, con la sua imponenza dava una sensazione di vertigine.
« Key, io vado anche senza di te ».
« Ehi! Sto arrivando! ».

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« … la Torre Cielo, con i suoi 69 metri di altezza, è la più grande opera destinata alla sepoltura dei Pokémon nella regione di Unova. Un cimitero monumentale che si estende verticalmente, verso il cielo, Arceus, come vuole la tradizione nazionale, è la più grande attrazione di cui Mistralton City può fare sfoggio… ». Erika si rigirò un depliant fra le mani: sulla prima di copertina recava “Torre Cielo, un monumento eterno”. « Sembra bello! ».
« Devi ammettere che ti porto in bei posti ».
« No » lo apostrofò, « mai. Ci muoviamo? ».
« Sissignora ».
Come si avvicinarono alla torre, la soggezione che il monumento metteva loro si fece più pesante. Anche fare un passo in più in direzione della torre suonava come una sfida e più la distanza si faceva esigua più il corpo di Erika tremava all’idea di varcare la soglia di quel colosso.
Finalmente entrarono, titubanti su che strada proseguire. La sala d’ingresso era una grande piazzata chiusa, il cui pavimento era rivestito di mosaici che si estendevano fino alle pareti, coprendo ogni centimetro calpestatile di terreno. I muri erano consumati dall’umidità e delle macchie di muffa si alternavano ad aloni scuri, soprattutto sul soffitto.
Due scale speculari si staccavano e correvano lungo le pareti circolari, incrociandosi ma sfiorandosi appena. Scelsero infine la scalinata destra, optando per una visuale panoramica ed una tratta che corresse esternamente alla torre.
« Quanto dovremo camminare? Sono già stanca ».
« Rilassati, siamo quasi arrivati Key ».
« Ah sì? Grazie al cielo » commentò, sogghignando fra sé e sé per l’ardito gioco di parole. Quando incrociò lo sguardo del suo compagno, tuttavia, notò con amarezza che non aveva sortito il medesimo effetto. « Quanti scalini ancora? ».
Louis lanciò un’occhiata al depliant. « Quanti ne abbiamo fatti? ».
« Non saprei, una trentina? ».
« Dovremo sbrigarci allora se vogliamo arrivare in cima prima che si faccia sera, ne mancano altri 357 ».
« COSA? ».
Il suo urlo squarciò la serafica calma mattutina.
« Mai e poi mai ».
« Oh, ok. Ci vediamo sotto, allora ».
Erika gli afferrò il braccio, come fece per continuare la scalata. « Dove credi di andare? ».
« In cima? ».
« Trecentocinquantasette scalini! ».
« Trecentocinquantasette scalini! » le fece eco Louis « che paura ».
« Hai seriamente voglia di farti tutte ste scale? ».
« Uhm. Sì? ».
« È un sacco di scale! »
« Nessuno ti obbliga a farle, Key! Aspettami giù, se vuoi ».
Erika si appoggiò alla parete esterna, osservando il paesaggio boschivo che la scalinata esterna offriva loro. Il suo sguardo superò il parapetto e giunse ad ammirare gli sterminati ettari di campi raramente interrotti da gruppi di casupole in mattoni che, a metà, staccavano e passavano il testimone al cielo. Era una vista talmente pacifica che riusciva a calmare, in lei, anche la più prepotente sensazione di vertigine.
« Ok, ok. Potrei anche decidere di accettare ».
Louis la fissò di sottecchi.
« Ma? ».
« Ma, sto fine settimana andiamo alle terme di Lentimas Town ».
Le porse il braccio. « Fatta ».

𐌳 𐌳 𐌳

« Io vorrei un Ice Café, se è possibile ».
La donna giunta a prendere le ordinazioni non staccò gli occhi dal foglio.
« …ce café. Ok. Lei, signorina? ».
« Uhm… ». Erika sfogliò il menù, o meglio, rigirò, dal momento che si trattava di un foglio A4 diviso in due e colorato di un vivace rosso vermiglio che, col tempo, era stato scolorito e macchiato ai bordi. « Dei waffle… à la mode? ». Si mostrò palesemente confusa agli occhi della cameriera.
« Significa che c’è anche il gelato ».
« Oh… ok, lo prendo ».
« Una fetta di red velvet, un Ice Café, dei waffle à la mode, altro? ».
Ethan lanciò un’occhiata a Erika, che non rispose.
« No, grazie ».
« Ottimo. Spero che passiate una felice serata al Ben’s Drive In » snocciolò, senza mutare d’espressione in viso o dare un tono alle sue parole. Se ne andò, dunque, a passi lenti e trascinati.
« Sai, à la mode significa “alla moda” ».
« Oh. Davvero? ».
Ethan fece cenno colla testa.
Erika si guardò attorno, in attesa che le pietanze arrivassero.
Il locale era vuoto, fatta eccezione per una famiglia in fondo alla sala e due coppie alla loro destra. Tre camerieri trascinavano i loro corpi per il drive in con la vivacità di una carcassa d’animale, una musica strumentale giungeva cristallina alle orecchie della ragazza. Gradevole, pensò.
Il ristorante in cui erano finiti era quadrato, ampio, e si sviluppava ad U equilatera; lo spazio mancante era adibito alle cucine, i due ambienti divisi dal bancone. I colori del blu e del bianco si ripetevano nelle poltrone in finta pelle, nelle piastrelle quadrate del pavimento e nelle tute degli inservienti.
« Cos’hai intenzione di fare dopo? ».
« Uh? ».
Erika sospirò. « Dopo… hai capito ».
« Non ci avevo ancora pensato ».
« Come mai? » ribatté repentina.
« Come… come mai? ». Il viso di Ethan si inarcò in un’espressione imbarazzata. « Non lo so, non ci ho semplicemente pensato ».
« Ok. Cosa fai ora? »
« Studio ».
Erika rise.
« Non fai niente, quindi ».
« Ehi! Non è affatto vero ».
« Ah sì? Cosa studi? »
« Eco— economia » pronunciò, titubante.
« Seriamente? ».
La sua risata, così cristallina ed aggraziata, pareva quasi un complimento a dispetto degli intenti meno lodevoli.
« Cosa c’è? » commentò imbarazzato « è una facoltà di tutto rispetto! ».
« Non lo metto in dubbio ».
« Immagino ».
Erika gli sorrise. « Immagini bene ».
Ethan non rispose. Rimase fermo, sorridente, a fissare Erika. Vederla ridere, in quel momento, era la cosa più bella del mondo: il modo in cui le sue guance si contraevano, come scopriva il suo candido sorriso, come i suoi capelli ondeggiavano a ritmo con il suo capo. La sua risata, un suono così dolce e calmante.

𐌳

« … when you’re around me, I’m radioactive… ».
Erika si risvegliò dai suoi pensieri.
« L’ho già sentita questa canzone » commentò, ad alta voce suppose dato che Ethan stesso era tornato a guardarla. « È… molto bella ».
Le note di pianoforte si alternavano alla voce, acustica.
« …my heart is nuclear, love is all that I feel ».
« Non credo di averla mai sentita ».
« Oh. Be’, è bella ».
Ethan sorrise. « L’ho capito ».
« … my blood is radioactive… ».
« Era per dire » concluse lei. Un flebile sorriso aveva illuminato il suo viso.

« Ice Café? ».
« Per me, grazie ».
« Mh » grugnì. « Red Velvet? ».
« Sempre io ».
« Io ho i waffle à la mode » s’intromise Erika « grazie ».
« È stato un piacere servirvi » continuò cadaverica la cameriera, in procinto di tornare nelle cucine.
« Buon appetito » commentò Ethan.

𐌳 𐌳 𐌳

Il paesaggio che offriva la cima della Torre Cielo era quanto di più gratificante ci fosse in quel momento per i due. La catena montuosa di Unova in tutta la sua magnificenza era srotolata ai loro occhi, le cime dipinte di bianco e i fianchi ricoperti da una macchia boschiva. Tramite delle strette angolazioni fra le montagne era possibile avere uno scorcio del mare e delle città dall’altra parte della regione, segnate per comodità su di una rosa dei venti sul palco panoramico.
Erika strattonò la polo di Louis a sé « Guarda, Lou! ». Col dito indico una scritta sulla plancia bronzea, Castelia City. « In quella direzione c’è Castelia City! ».
« Come mai sei ossessionata da Castelia City, Key? »
« Non sono ossessionata! Guarda qua, Nimbasa! ».
« Mh ». Louis la guardò soddisfatto. « Vedi che abbiamo fatto bene a salire? ».
« Sì, sì, va bene, guarda qua! Opelucid City, quanto vorrei andarci! ».
 
𐌳 𐌳 𐌳
presente – Nimbasa City – 10/02/13
Come giunse il mattino, Nimbasa City tornò a rivestirsi di quei colori vivaci e carnevaleschi che, col calare dell’oscurità, perdeva ogni sera in favore delle scintillanti luci del parco divertimenti.
Dopo la sosta al Ben’s Drive In seguirono altre due ore di viaggio, che Erika passò a dormire. Attraversato il ponte di Driftveil City arrivarono finalmente nella città dei luci, la ragazza ancora assopita, e si ritirarono nell’appartamento di Ethan.
Un raggio di sole, insinuatosi tra gli scuri, aveva filtrato attraverso la finestra e solleticava le palpebre di Erika. La ragazza si ritrasse sotto il piumone, mugugnando qualcosa di inaudibile nel sonno.
« Mh… ».
Rovesciò la coperta a sé, facendo calare nuovamente l’oscurità davanti a sé.
Solo allora, aprì gli occhi.
Dove sono? fu il suo primo pensiero. Non riconosceva le lenzuola.
Emerse, guardandosi attorno. La scena che la attese la lasciò più confusa di quanto non fosse. Non era casa sua, concluse. Cercò risposta nelle finestre, che mostravano il panorama di una città ben differente dalla modesta Anville Town: cosa poteva essere, allora?
Nimbasa City.
Un flash le attraversò gli occhi.
Era Nimbasa.
Si lasciò cadere sul cuscino, un peso morto, e fissò il soffitto.
Cosa ci faccio qua?.

𐌳
« Buongiorno ».
Ethan era immerso nella lettura di un giornale, disteso sul divano. Una tazza di caffè era poggiata sul tavolino di vetro in parte a lui, non sembrava esserci altra bevanda all’interno.
Lanciò un’occhiata all’orologio: la lancetta più corta era puntata fra il numero 11 ed il numero 12.
« Oh, ciao. Ho pens—».
« Ho fame. C’è qualcosa da mangiare? ».
« Sì… » s’interruppe, facendo per avvicinarsi a lei « c’è qualc—»
« Ho solo fame ».
Erika si era trovata ad alzare il braccio, il palmo aperto contro di lui.
« Ok… » girò su sé stesso « cosa posso prepararti? ».
« Er… un caffè, magari. Cosa c’è da mangiare? ».
« Biscot—».
« Quelli ».
Erika trascinò i suoi passi al tavolo e prese uno sgabello dove sedersi.

« Va tutto bene? ».
Ethan addentò un biscotto.
« Sì » rispose, atona.
Osservò le briciole di pasta frolla scivolare lungo la canottiera del ragazzo.
« Mf—» continuò, deglutendo il boccone « hai avuto… altri ricordi? ».
« Forse ».
Erika alzò lo sguardo, gli occhi color miele dell’uomo la guardavano con un’espressione sorridente. Per un secondo, pur breve che fosse, in lui vide gli occhi smeraldo di Louis. I suoi capelli si tinsero di verde, la sua canottiera divenne una giacca jeans e, per quanto impercettibile, poté udire nella sua mente chiamarla. « Ehi, Key ».
« Tutto ok? ».
Scosse la testa. « Sì, tutto ok. Potremmo uscire, dopo ».

𐌳 𐌳 𐌳

« Cosa sono quelle nuvole? ».
« Non lo so, Lou ».
Louis le diede un colpo sulla spalla. Tanto gentile era, si mosse appena.
« Cosa c’è, Lou? Sto leggendo la guid—».
« Guarda!, ci sono chiaramente delle nuvole ».
Erika lanciò un’occhiata al cielo terso, macchiato in lontananza da qualche nube grigiastra. Tutt’attorno era calmo e spirava il medesimo vento fresco di prima.
Ritornò a leggere la guida culinaria.
« Piuttosto, dove andiamo a mangiare? ».
« Non s—».
« C’è una taverna che fa cucina locale giù a Mistralton », i suoi occhi si illuminarono come guardò Louis per cercare approvazione « sembra buona! ».
Il ragazzo contorse il viso in un’espressione di disapprovazione. « Sul serio? ».
« Che c’è? Ho fame ».
« Ok, va bene. Scendiamo? ».
Lo sguardo di Erika si spostò sulle scale, che si trovavano nel punto diametralmente opposto alla loro posizione sul piano panoramico della torre. In quel momento la folla era scesa e non c’era più l’ingorgo di qualche ora prima.
« Uhm, sì. Meglio sbrigarci, potrebbe piovere » concluse, un sorriso sulle sue labbra.
Al sentire quelle parole Louis emise uno sbuffo.

𐌳 𐌳 𐌳

Erika e Ethan erano usciti, recuperati degli abiti di fortuna per la giovane nell’appartamento. Si era trovata indossare ad una felpa sulla quale lampava a caratteri cubitali la scritta “I LOVE MYSELF”. Ne era rimasta spiazzata ma aveva deciso di scendere in piazza nonostante le premesse e cercare di capirne qualcosa in più sulla faccenda.
In quel momento, dopo un’ora di passeggiata per le vie della città, si erano fermati a prendere qualcosa da bere in prossimità della ruota panoramica.
« Ti sta piacendo Nimbasa? ».
Erika tirò su un sorso di caffè freddo dalla cannuccia.
« Mh ».
« Mi vuoi degnare di qualcosa di più concreto di un monosillabo? ».
Seguì una gomitata di Erika, alla quale Ethan prese a ridere (« Stavo scherzando! »).
« Dunque… dove vuoi andare, ora? ».
Erika si guardò in giro.
Davanti a lei proseguiva una via che s’inoltrava nel cuore della città, in direzione del teatro, mentre alla sua destra era la soglia del parco divertimenti che, con quel sole mattutino ed il clima invernale, aveva assunto delle tonalità completamente diverse da quelle che ricordava lei. Le fontane avevano ghiacciato e gli alberi, spogliatisi delle foglie, non erano altro che secchi tronchi che si alternavano alle panchine erose dagli agenti atmosferici.
« La ruota panoramica è aperta? ».
« Uhm? ». Guardò nella stessa direzione della ragazza. « Non credo… è aperta solo la sera ».
« Significa che vedremo solo il parco, allora ».
« Oh ». Ethan era spiazzato. « Se per te va bene, ok! ».

Varcarono così la soglia.

« Ci sono stata, qua, sai. L’anno scorso ».
« Oh, davvero? Non ti ha ricordato niente? ».
La tonalità di voce di Erika si abbassò. « No ».
« Fa niente. Questo, “viaggio”, » pronunciò quella parola con una strana intonazione « sta sortendo qualche effetto? ».
« … ».
Erika esitò.
Il suo sguardo era chino, sul pavimento, a seguire le brecce sul lastricato di sanpietrini su cui batteva piede. Evitare lo sguardo di Louis la faceva sentire, in qualche maniera, più sicura. Era come se fosse alla costante ricerca di qualcosa, aspettandosi qualcosa da parte sua che lei non riusciva a trovare in sé. Non sapeva rispondere, neppure in quel momento. Cos’era che le mancava?
« Ho dei flash confusi » borbottò « credo ».
« Se vuoi posso aiutar—».
« No » lo liquidò.
Camminarono avanti, senza parlarsi.

𐌳

« Scusa per prima ».
Ethan sorrise. « No, tranquilla. Va bene ».
Erika avanzò dei lunghi passi, facendosi cadere su una panchina. Sapere di avere le spalle coperte, di non avere qualcosa dietro alla schiena che non fosse un muro, era una sensazione così rilassante che le fece dimenticare tutti i suoi problemi. Davanti a lei c’era solo il paesaggio del parco divertimenti di Nimbasa invernale, ed era quanto di più calmante potesse desiderare. Il ragazzo anch’esso si fece spazio sulla panchina, vagando con lo sguardo sul cielo brumoso.
Ora che non doveva sostenere nessun incrocio di sguardi con Ethan, le parole uscivano dalla sue labbra da sole. Poteva dare voce ai suoi pensieri senza che i suoi occhi dovessero vedere qualcosa di diverso dagli alberi spogli delle loro foglie, o del selciato di sampietrini.
« Ero felice, prima? ».
« Quando vivevi qua? ».
Erika asserì col capo.
« Be’… sì, credo di sì ».
« Hai esitato ».
« Sì, eri felice ».
« Ed eravamo una bella coppia? ».
« Non saprei ». Ethan alzò lo sguardo. « Non sono la persona più obiettiva a cui chiedere ».
Un sorriso illuminò il viso della ragazza. « Già… ».
Erika appoggiò la schiena sulle assi di ferro battuto ed alzò lo sguardo al cielo. Poteva sentire un refolo di vento passare attraverso i suoi capelli e massaggiarle il capo. Chiuse gli occhi, e si lasciò andare a Morfeo.
 
𐌳 𐌳 𐌳
Louis aveva avuto ragione.
La pioggia scese, come aveva previsto sulla cima della torre, e per quanto un evento del genere fosse stato spiacevole riuscì a trarne quanta più soddisfazione possibile dall’aver avuto ragione. Era semplicemente un suo tratto, quello di rimarcare in una situazione l’aver avuto ragione. Chi poteva biasimarlo?
Fortunatamente riuscirono a scendere dalla torre prima che la pioggia colpisse, ma non ebbero così tanta fortuna nello scoprire che avrebbero dovuto fare il tragitto Mistralton City-macchina in preda ad un acquazzone estivo. Il vento, combinato ai litri di acqua che scendeva al secondo, aveva creato una situazione molto spiacevole da attraversare.
« Come pensi che faremo ad arrivare alla macchina? » fece Erika, osservando dal ristorante “Da Boris - Specialità di Mistralton” la situazione meteorologica dell’esterno.
Le sue mani erano contratte a formare uno scudo che coprisse i suoi occhi dal riflesso del vetro sulla sua stessa immagine. Tanto era vicina alla finestra che la sua bocca aveva ricoperto la superficie di un alone di bianca condensa.
« A piedi? ». Il suo tono era interrogatorio ma la domanda era molto lontana dall’esserlo.
« Sei inutile ».
Erika si guardò attorno, sbuffando.
« E se chiedessimo un passaggio ad un turista? ».
« Un passaggio in macchina fino alla macchina? ».
La ragazza asserì.
« Io ti riderei in faccia se me lo chiedessi ».
« Io no. Chiediamo a qualcuno? ».
« Fai come vuoi, io esco ora ».
Stette a guardare, seduta su una poltrona in prossimità dell’ingresso, mentre dopo aver pagato si dirigeva fuori dalla porta. Non poteva di certo fermarlo o impedirgli di uscire, ma cosa avrebbe fatto lei?
« Lou! Aspetta, Lou! ».
Corse fuori, nel vano tentativo di recuperare il vantaggio che il ragazzo aveva su di lei.
« Key? Cosa ci fai qua? ».
« La stessa cosa che fai tu ».
La pioggia scendeva a dirotto, le gocce tamburellavano sul capo della ragazza ed il loro unico scopo pareva quello di rovinarle irrimediabilmente la capigliatura. Le ciocche castane si erano sparse tutt’intorno a lei, senza ordine, umide e rapprese, in così poco tempo dall’essere uscita.
« Forse è meglio se parliamo muovendoci, no? »
« Ottima idea ».
Proseguirono, quindi, coprendosi con rimedi di fortuna, abiti e giacche, sino a che non giunsero finalmente al parco dove avevano lasciato la vettura. La loro ultima fatica, risalire la collina nella quale avevano fatto sostare la macchina, impiegò loro una buona mezz’ora, dopo la quale si dissero pronti a tornare a casa.
Louis tirò fuori le chiavi dallo zaino e sblocco le portiere, Erika lo seguì a ruota ed entrò in macchina, facendosi spazio. Inserì le chiavi nella toppa e, con sua grande sorpresa, la macchina non fece altro che un rumore sordo al momento della accensione. Nessuna luce si accese, nessun motore si mise in moto.
I due rimasero a fissare il vuoto, con il terrore di dover tornare fuori a capire la natura del problema.
« Cosa c’è che non va? ».
« So quanto te, Key ».
« Hai intenzione di fare qualcosa? ».
Louis guardò fuori dalla finestra.
« Devo ».
« Ottimo. Vuoi farlo, o… ».
« O cosa? ».
Erika, per la prima volta quel giorno, si mostrò scocciata. « Avrei voglia di tornare a casa ».
« Ok, ok, ora vado a vedere cosa c’è che non va ».

𐌳 𐌳 𐌳

presente – Nimbasa City – 12/02/13
« Come ti è sembrato, oggi? ».
Erika e Ethan si erano trovati ad ordinare una pizza, senza la più pallida idea di come trovare qualcosa con cui cenare dopo aver passato la giornata fuori, come nei giorni passati. Nell’attesa avevano chiacchierato e, all’arrivo del cibo, si misero a consumarlo sul divano.
« È sempre la stessa storia, Ethan. Da tre giorni, non facciamo altro che fare passeggiate in giro ».
Avevano scelto di mettere su un film, ma nessuno dei due era realmente interessato a vederlo. Uno spettacolo migliore era dietro alla tv, sulla vetrata che si affacciava allo skyline di Nimbasa. I loro occhi erano rapiti dalla bellezza di quel paesaggio, immerso nell’oscurità già poco dopo le sette.
« Era... era la vita che avevamo prima. Eravamo felici ».
« Prima... forse è stato divertente, oggi ».
Lo sguardo di Erika si abbassò alla pietanza che stava mangiando.

« Prima o poi dovremmo affrontare quell’argomento ».
Era giunto il momento di dormire, ed Erika era in procinto di ritirarsi nella sua camera che Ethan, dal nulla, ruppe il silenzio creatosi.
Era dall’altra parte della sala, in cucina, a sistemare i cartoni delle pizze.
« Hilda Baskerville » continuò, atono.
« Non sono Hilda Baskerville ».
« Lo eri ».
Erika lo guardò, per quanto fosse possibile nel buio ed ad una tale distanza. I suoi occhi, color ambra, scintillavano nel buio in qualche modo.
« Sono... sono solo stanca di tutto ciò. È da tre giorni che non faccio niente. E... e non sono sicura di voler affrontare quell'argomento » sospirò « l'argomento Hilda... ».
« Non sto dicendo che tu debba farlo. Non ora, se non lo credi ». Smise per un attimo di parlare, il suo sguardo vagò nell’oscurità. Per un momento la sensazione che la ragazza fosse scomparsa lo assalì, ma eccola: i suoi capelli rossi emettere un blando pallore nel buio. « Però dovrai ».
« Allora lo farò, quando sarà il momento. Buonanotte ».

𐌳 𐌳 𐌳

« Spingi! ».
« Sto spingendo! ».
« Spingi più forte, cazzo! ».
I vestiti di Erika si erano infradiciati a furia di passare il suo tempo fuori, in balia dell’acquazzone. La stessa cosa si poteva dire di Louis, non che a lui importasse tuttavia. L’idea di una macchina rotta, così lontano da casa, era un più grande motivo di paura.
« Forse se a Mistralton avessimo chiamato un meccanico, anziché fiondarci direttamente in autostrada, ora non avremmo problemi! ».
La voce di Erika tremava di rabbia.
« Come potevo sapere che la macchina non avrebbe funzionato di nuovo? ».
« Non lo so! Dovevi saperlo! ».
« Be’ ora il danno è fatto! Non c’è motivo di star qua a lamentarmene ».
Erika batté i pugni contro la carrozzeria, il suono rimbombò nella vallata.
« E INVECE LO FACCIO! » proruppe, con tutta la voce che aveva in corpo.
Le lacrime presero a scendere dal suo viso, le sue braccia a tremare come in preda ad un attacco di panico. Le sue mani vagavano nel vuoto alla ricerca di qualcosa dove aggrapparsi, ma non v’era altro che Louis e la macchina in quella zona dimenticata dal mondo. Una lunga strada asfaltata della quale né l’inizio né la fine erano visibili sull’orizzonte.
« Sono rovinata, sono rovinata… » sussurrava, guardandosi attorno « questa è la mia rovina… ».
« Ehi, Key, tranquil—».
« SMETTILA! ». La sua voce vibrò nelle orecchie di Louis. « Non— non toccarmi, non voglio essere toccata ».
Tanta era la pioggia che l’acqua delle lacrime parve un soffio durante una tempesta. Era bagnata dal capo ai piedi ed il freddo vento che ululava si era insinuato nei suoi vestiti, attecchendo sulle ossa. Brividi le attraversavano la spina dorsale.
« Key… ».
Erika si coprì le orecchie.
Fece dei passi nell’oscurità, facendo presa sulla macchina per non scivolare sul terreno. Aprì con difficoltà la portiera posteriore e si gettò dentro, abbandonandosi a Morfeo di colpo.

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