Nella Mente Dell’Assassino
Una settimana dopo l’incidente di Knowhere.
Entrò nella stanza aprendo silenziosamente la
porta. L’ennesimo colloquio con i medici lo aveva sfiancato più del previsto.
Sabrina dormiva rannicchiata sulla poltrona di fianco al letto. I macchinari
collegati a sua figlia si muovevano come di consueto; aveva ormai imparato a
non udire il bip del misuratore di frequenza cardiaca.
Quella vista gli spezzava il cuore. Prim era in
coma dall’incidente, ed era in vita soltanto grazie ai macchinari e al
nutrimento per sonda. Si avvicinò alle finestre, discostando le tende che
schermavano la luce del sole. La notte stava lasciando il dominio al giorno,
l’alba s’imponeva sempre di più col passare dei minuti. Il parcheggio
dell’ospedale, su di cui si affacciava la finestra della loro stanza, era
completamente ricoperto di neve, ancora intenta a cadere lentamente dal cielo,
trasportata gentilmente dal vento. Piccoli stormi volavano alti, lì dove
assumevano grandezza non più grande di un chicco di riso nell’immenso cielo
color petrolio.
La testa gli stava per esplodere. Erano giorni
interi che non faceva altro che pensare, e pensare, e pensare. Il suo
laboratorio era andato distrutto nel disastro che era accaduto, non aveva avuto
modo di cercare qualcosa da poter sperimentare. I medici continuavano a dire di
aver fatto tutto il possibile e che non ci fosse nient’altro da fare se non
sperare e aspettare.
Ma questo, a lui, non importava.
Spostò la sedia, posizionandola di fianco al
letto, prendendo posto di fianco la figlia.
Il petto di Prim si alzava e abbassava lentamente,
la respirazione aiutata dai macchinari che la tenevano in vita. Gli prese la
mano nella sua, accarezzandole il viso. Le sistemò i capelli e iniziò, come
ormai di consueto, a lavarle il volto con un asciugamano umido, usando tutta la
sua delicatezza. Sabrina si svegliò mentre lui era intento a tagliare le unghie
delle dita delle mani di Prim.
- Neanche stanotte hai dormito? – gli chiese lei.
- Un poco. Ho passato la notte a pensare.
- Vuoi parlarne? – Sabrina gli si avvicinò,
poggiandogli una mano sulla spalla.
Arcadius sentì il calore emanato da lei, e il profumo
che, nonostante la permanenza in ospedale, continuava a essere su di lei.
- Ho parlato con i medici per molto tempo. Hanno
confermato di aver fatto tutto il possibile ma che Prim sta lentamente
deteriorando. Le sue condizioni peggiorano, potrebbe non resistere un altro
mese.
- Ma?
- Cosa c’è?
- Ti conosco bene, so che non ti arrenderesti
così. A cosa hai pensato?
- Forse potrebbe esserci una soluzione.
Arcadius si alzò, volgendosi verso Sabrina. La
guardò negli occhi prima di iniziare a parlare.
- È molto difficile da mettere in atto e
probabilmente finirei col perdere la vita ma per me vale la pena provare.
- Cosa si deve fare? – chiese lei.
- Devo tornare nell’Alveare. C’è quella camera di
recupero che stavamo sviluppando, credo possa arrestare il deterioramento delle
condizioni fisiche di Prim.
- Sai che è solo un prototipo, vero? E poi, come
intendi arrivarci? Quel posto ha i sigilli, neanche le squadre di recupero sono
riuscite a rimuovere le macerie ed entrare.
- Lo so. Ma conosco un modo per raggiungere il
nostro laboratorio.
- Come?
Arcadius uscì dalla stanza, accertandosi che
nessuno si trovasse vicino la porta. Tornò dentro, chiuse la porta alle sue
spalle e, parlando a bassa voce, si avvicinò a Sabrina.
- Credi davvero che avrei lasciato quel fiore
completamente alla mercé dello stato? I loro intenti sono nobili, ma chi ci
assicura che non decideranno di utilizzarlo per fare del male? È un’arma troppo
grande nelle mani sbagliate, quindi ho deciso di aggiungere un ingresso
nascosto, durante la costruzione dell’Alveare. Solo io e Prim ne siamo a
conoscenza.
- Durante la costruzione? Come diavolo hai fatto?
- Ho supervisionato il progetto dell’Alveare fin
dalla sua creazione, non mi è stato difficile, con l’aiuto dei Pokémon.
- E nessun altro ne è a conoscenza?
Arcadius fece cenno di no con la testa.
- Possiamo entrare da lì, credo sia ancora
agibile. Forse potremmo salvare anche i Pokémon che sono rimasti intrappolati
lì sotto e non sono stati raggiunti ancora dai soccorsi.
- Quando hai intenzione di andare?
- Immediatamente. Ogni secondo è prezioso.
Sabrina si volse a guardare Prim che dormiva
profondamente.
- Va bene, andiamo.
- Tu non devi venire, ho bisogno di te qui, per
controllare Prim. Se dovesse –
- Io vengo con te. Prim starà bene qui, ci sono i
medici. Lascerò il mio Blissey qui con lei, se ne occuperà mattino e giorno. Tu
non puoi andare da solo, avrai bisogno di auto, soprattutto per sistemare la
camera di recupero che non è ancora stata ultimata.
- Sabrina, non sei obbligata.
- Lo sono, invece. Tengo a te, così come tengo a
Prim. Insieme riusciremo a concludere più in fretta, aumentando le possibilità
di sopravvivenza di Prim.
Lei gli si avvicinò, prendendo le mani fra le sue.
- Devi lasciarmelo fare – disse Sabrina.
Arcadius tentennò per un attimo, prima di
arrendersi. Gli occhi di lei stavano scavando a fondo dentro di lui, mettendo a
nudo tutte le sue incertezze.
- Va bene, ma farai esattamente come ti dico.
“Dopodiché
avvisammo i medici che per problemi di lavoro con Camilla ci saremmo dovuti
assentare per diverso tempo, e che avremmo affidato a loro Prim nel durante. Mi
ripromisi che sarei passato a trovarla ogni volta che mi sarebbe stato
possibile. Con il cuore pesante per il distacco da mia figlia, capii che il suo
bene sarebbe stato conseguenza del mio successo. Non mi era data la possibilità
di fallire. Con questa coscienza, io e Sabrina ci incamminammo verso l’Alveare,
utilizzando la mia jeep fino a dove era possibile. Dopodiché proseguimmo a
piedi sul fianco della montagna, fino a trovare l’ingresso nascosto da una
parete gelida di pietra”.
- Siamo arrivati – disse Arcadius, indicando una
parete di nuda roccia.
Si avvicinò, facendosi strada nella neve. Appoggiò
la mano lì dove non c’era nulla di particolare nel fianco della montagna,
nessun segno distintivo o altro che potesse indicare la presenza di un
passaggio. Uno scanner apparve dal nulla, analizzando la mano di Arcadius. Ci
fu un attimo di silenzio, poi l’intera montagna sembrò vibrare mentre due
grosse lastre di pietra scivolavano una sull’altra, rivelando un passaggio all’interno
del colosso. Delle luci si accesero, rivelando un corridoio lungo e ben curato.
Sia il pavimento che le pareti erano in acciaio, nessun segno delle esplosioni
dell’incidente.
- C’è ancora corrente. Già questo è un buon segno.
Arcadius e Sabrina iniziarono a discendere all’interno
della struttura. Il percorso era piuttosto lineare, sempre con la stessa vista.
- Ecco, proviamo qui – Arcadius aprì una porta che
si trovava sulla sinistra.
- Ma il corridoio non è ancora finito.
- Ho creato diversi accessi, in modo da poter
raggiungere ogni livello dell’Alveare e, ovviamente, fuggire anche. Qui
dovrebbero trovarsi i Pokémon intrappolati.
I due entrarono nella sala, sentendo
immediatamente la pesantezza dell’aria, satura di polveri e stantia. Arcadius
armeggiò con un quadro elettrico, facendo tornare le luci a funzionare, anche
se deboli, rispetto al solito.
La maggior parte degli oggetti, così come mura e
soffitto, era crollata o distrutta in parte. C’era ancora la possibilità di
muoversi, ma tutti gli altri ingressi erano bloccati. Si trovavano ora all’interno
di un immensa sala di attesa, decine e decine di Pokémon erano bloccati lì,
tutti addetti a una qualche mansione all’interno dell’Alveare. Erano
visibilmente stremati, affamati e disidratati.
- Mio dio… - sospirò Sabrina, avvicinandosi a un
Raichu seduto poco lontano da loro.
Gli accarezzò il volto e quello parve animarsi
improvvisamente e, con lui, l’intera sala iniziò a creare un continuo brusio. I
Pokémon stavano cercando di alzarsi in piedi, aiutando i più feriti, per
raggiungere i due apparsi dal nulla.
- Dobbiamo fare qualcosa. Sabrina, aspetta qui e
tranquillizzali. Io torno fra poco.
Arcadius scomparve nuovamente nel corridoio,
mentre Sabrina iniziava a osservare ogni Pokémon che le si avvicinava,
iniziando a farsi un’idea sulla quantità delle loro ferite e la loro gravità.
Arcadius ricomparve poco dopo, trascinando dietro
di sé un enorme montacarichi a lievitazione magnetica, carico di medicinali,
kit di pronto soccorso, razioni e galloni carichi d’acqua pulita.
“Non ricordo
quanto tempo abbiamo trascorso lì, aiutando quei Pokémon a riprendere fiato.
Sabrina iniziò a curare tutte le loro ferite, mentre io mettevo nuovamente in
funzione il sistema di riciclo dell’aria. In meno di mezz’ora non era più
doloroso respirare. E pensare che quei Pokémon erano sopravvissuti così a lungo
in quelle condizioni… incapaci di fare nulla e limitandosi ad attendere i
soccorsi dai loro umani che, semplicemente, non sarebbero mai arrivati.
Ci videro
come i loro salvatori, il che mi rese il cuore più leggero dal grave peso che
ci gravava. Solo dopo capii quanto in realtà le nostre azioni avevano alterato
quei Pokémon, rendendoli i nostri amici più fidati”.
Dopo aver prestato loro assistenza, Arcadius
indicò loro l’uscita più vicina. Disse loro come raggiungere la città e dove
trovare soccorso. Poi, lui e Sabrina, ripresero il loro percorso all’interno
dell’Alveare, utilizzando il passaggio nascosto. Arrivarono infine al loro
laboratorio. Le spesse pareti e le precauzioni di sicurezza avevano fatto in
modo da non far arrecare danni gravi all’interno, se non per qualche minimezza
del tutto insignificante. Per prima cosa si accertarono delle condizioni del
fiore da loro a lungo analizzato.
- Condizioni di TV-137 ancora nella norma. La sua
camera d’isolamento non ha subito danni di alcun tipo, è sicuro stare qui –
comunicò Arcadius a Sabrina.
Tralasciarono le tute protettive ed entrarono immediatamente
all’interno del locale. Avanzarono verso la sezione che conteneva la camera di
recupero. Arcadius rimosse i teli protettivi e iniziò ad armeggiare col
computer, avviandolo.
- Si comincia – disse lui, schioccando le dita.
Dopo giorni che lavoravano ininterrottamente, il
computer li fermò.
- Sunday, ci sono problemi? – chiese Arcadius alla
loro I.A.
- Un grande numero di Pokémon si trova all’ingresso
del percorso nascosto.
- Cosa stanno facendo? – s’intromise Sabrina,
spostandosi una ciocca di capelli dal viso.
- Uno di loro sta colpendo la parete di roccia
ritmicamente, sembra stia bussando.
- Dammi una visuale – ordinò Arcadius.
Sullo schermo apparve l’esterno, nevicava. Il
gruppo di Pokémon che avevano aiutato pochi giorni fa era riunito lì fuori,
aspettando.
- Sono loro. Perché sono di nuovo qui?
- Non ne sono sicuro, credo vogliano tornare da
noi, Sabrina. Sunday, apri le porte e falli giungere qui.
- Certo, capo.
Il computer eseguì e una decina di minuti dopo i
Pokémon avevano fatto il loro ingresso. Portavano con loro un gran numero di
provviste. Le depositarono sul pavimento davanti a loro e poi tutti, nessuno
escluso, si fermarono a guardarli.
- Grazie mille, amici, ma non dovevate scomodarvi.
Siete ancora indeboliti dalle ferite, è stato rischioso tornare qui con questo
tempo – Arcadius prese la parola.
Un enorme Machoke si fece avanti, scuotendo il
capo. S’inginocchiò davanti ai due, emulato dagli altri Pokémon. Per soli pochi
secondi, poi tornarono in piedi, aspettando.
- Credo vogliano ripagarci – Sabrina si avvicinò
al Raichu che stava camminando verso di lei.
Gli accarezzò la guancia, come la prima volta che
l’aveva visto, e poi si volse verso Arcadius. Lui vide che lei aveva gli occhi
umidi.
- Sono tornati qui per aiutarci.
“Questo deve
essere un diario, quindi certe cose le lascerò, di minore importanza rispetto
al resto. Insieme ai Pokémon iniziammo a lavorare a ritmi ancora più serrati,
il loro aiuto ci velocizzò in maniera esponenziale alle forze che a loro
tornavano. Le loro spedizioni in città ci procuravano il materiale di cui
avevamo bisogno. Bastava esibire il mio pass per non avere problemi con il mio
fornitore di fiducia. Benedetto sia Herb, è probabilmente grazie a quell’uomo
che siamo giunti a tanto”.
Un giorno, durante una breve pausa, Sabrina notò
Arcadius intento a dare molte attenzioni al TV-137.
- Che cosa pensi? – chiese lei, allungando una
mano sulla gamba di lui.
Seduti uno di fianco all’altro, stavano riposando
dopo l’ennesima giornata di lavoro.
- Finora quel fiore non ha creato nessun tipo di
problemi. Potenzialmente è un’arma di estinzione, eppure…
- Eppure?
- Non credo sia questo il suo destino.
Sabrina, incuriosita, inarcò un sopracciglio.
Ad Arcadius piacque molto.
- Non credi sia un qualcosa di malvagio?
- E se lo usassimo per il bene? Quel fiore ha
moltissime proprietà, una in particolare mi ha colpito…
- La rigenerazione – lo interruppe lei.
Arcadius parve illuminarsi in volto.
- E se riuscissimo a controllarla? Adattarla ad
altri organismi, utilizzarne le proteine e gli enzimi in altri corpi? Immagina,
malattie come tumori, deformazioni, e anche le mutilazioni potrebbero essere
guarite in un attimo, basterebbe soltanto adattare quei geni al corpo umano.
Anche ferite mortali, se curate in tempo, potrebbero forse essere curate.
- Coma… - sussurrò Sabrina.
- Già… Anche quello. Potrei curare Prim. Se solo
riuscissi a trovare il modo di adattarlo al corpo umano.
I due restarono in silenzio per molto tempo.
Ognuno immerso nei propri pensieri.
Fu Sabrina a spezzare quel senso di inquietudine
che aleggiava intorno a loro.
- Sarà solo questo, vero?
Arcadius si girò verso di lei e notò che stava
piangendo.
- Studieremo quel fiore, troveremo il modo di
utilizzarlo come cura, e salveremo Prim. Ma dovrà restare solo questo, una
cura. Se funzionerà, saremo io e te a continuare a studiarla, solo e unicamente
per aiutare il mondo, non per distruggerlo.
La guardò fisso negli occhi.
- Certo.
- Dico sul serio. Se mai noterò che stai cercando
di continuare gli studi sulle tossine sarò costretta a ucciderti.
- Non puoi. So che sei testarda, e se prima non ti
offro quella cena non mi darai la possibilità di morire.
Le sue parole svolsero il loro dovere, facendo
sorridere Sabrina.
- Sarà meglio per te che sia una cena coi fiocchi,
allora.
Lei si fece avanti. In un attimo, i due si stavano
baciando.
“La camera
di rianimazione è completata, in questo momento siamo in ospedale, aspettando
di poter portare via Prim. Lei sta bene, ha reagito meglio del previsto alle
cure e il deterioramento del suo corpo è stato rallentato, ma non fermato. Sono
sicuro che invece nell’Alveare riusciremo a stabilizzarla completamente, e
infine a curarla. Il bacio con Sabrina è stato inaspettato, in un momento come
questo. Ma senza il suo aiuto non sarei mai riuscito a raggiungere questi
traguardi in così breve tempo. Credo proprio che non sia stato causato da
qualche sintomo post traumatico. Forse ho finalmente ritrovato quello che avevo
visto in Veronica.
Ora, però, è
arrivato il momento di proseguire. Ti salverò, Prim”.
Il diario s’interrompeva qui, il resto delle
pagine strappate. Sul retro della copertina, scritto col sangue, Bellocchio
individuò una frase: “Il ghiaccio infine
verrà spezzato e ridotto in granelli dalla forza delle radici”.
- So dove colpirà la prossima volta – annunciò Bellocchio.
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