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John Hancock - Bloodborne - 18 - Nella Mente Dell'Assassino




Nella Mente Dell’Assassino


Una settimana dopo l’incidente di Knowhere.

Entrò nella stanza aprendo silenziosamente la porta. L’ennesimo colloquio con i medici lo aveva sfiancato più del previsto. Sabrina dormiva rannicchiata sulla poltrona di fianco al letto. I macchinari collegati a sua figlia si muovevano come di consueto; aveva ormai imparato a non udire il bip del misuratore di frequenza cardiaca.
Quella vista gli spezzava il cuore. Prim era in coma dall’incidente, ed era in vita soltanto grazie ai macchinari e al nutrimento per sonda. Si avvicinò alle finestre, discostando le tende che schermavano la luce del sole. La notte stava lasciando il dominio al giorno, l’alba s’imponeva sempre di più col passare dei minuti. Il parcheggio dell’ospedale, su di cui si affacciava la finestra della loro stanza, era completamente ricoperto di neve, ancora intenta a cadere lentamente dal cielo, trasportata gentilmente dal vento. Piccoli stormi volavano alti, lì dove assumevano grandezza non più grande di un chicco di riso nell’immenso cielo color petrolio.
La testa gli stava per esplodere. Erano giorni interi che non faceva altro che pensare, e pensare, e pensare. Il suo laboratorio era andato distrutto nel disastro che era accaduto, non aveva avuto modo di cercare qualcosa da poter sperimentare. I medici continuavano a dire di aver fatto tutto il possibile e che non ci fosse nient’altro da fare se non sperare e aspettare.
Ma questo, a lui, non importava.
Spostò la sedia, posizionandola di fianco al letto, prendendo posto di fianco la figlia.
Il petto di Prim si alzava e abbassava lentamente, la respirazione aiutata dai macchinari che la tenevano in vita. Gli prese la mano nella sua, accarezzandole il viso. Le sistemò i capelli e iniziò, come ormai di consueto, a lavarle il volto con un asciugamano umido, usando tutta la sua delicatezza. Sabrina si svegliò mentre lui era intento a tagliare le unghie delle dita delle mani di Prim.
- Neanche stanotte hai dormito? – gli chiese lei.
- Un poco. Ho passato la notte a pensare.
- Vuoi parlarne? – Sabrina gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla.
Arcadius sentì il calore emanato da lei, e il profumo che, nonostante la permanenza in ospedale, continuava a essere su di lei.
- Ho parlato con i medici per molto tempo. Hanno confermato di aver fatto tutto il possibile ma che Prim sta lentamente deteriorando. Le sue condizioni peggiorano, potrebbe non resistere un altro mese.
- Ma?
- Cosa c’è?
- Ti conosco bene, so che non ti arrenderesti così. A cosa hai pensato?
- Forse potrebbe esserci una soluzione.
Arcadius si alzò, volgendosi verso Sabrina. La guardò negli occhi prima di iniziare a parlare.
- È molto difficile da mettere in atto e probabilmente finirei col perdere la vita ma per me vale la pena provare.
- Cosa si deve fare? – chiese lei.
- Devo tornare nell’Alveare. C’è quella camera di recupero che stavamo sviluppando, credo possa arrestare il deterioramento delle condizioni fisiche di Prim.
- Sai che è solo un prototipo, vero? E poi, come intendi arrivarci? Quel posto ha i sigilli, neanche le squadre di recupero sono riuscite a rimuovere le macerie ed entrare.
- Lo so. Ma conosco un modo per raggiungere il nostro laboratorio.
- Come?
Arcadius uscì dalla stanza, accertandosi che nessuno si trovasse vicino la porta. Tornò dentro, chiuse la porta alle sue spalle e, parlando a bassa voce, si avvicinò a Sabrina.
- Credi davvero che avrei lasciato quel fiore completamente alla mercé dello stato? I loro intenti sono nobili, ma chi ci assicura che non decideranno di utilizzarlo per fare del male? È un’arma troppo grande nelle mani sbagliate, quindi ho deciso di aggiungere un ingresso nascosto, durante la costruzione dell’Alveare. Solo io e Prim ne siamo a conoscenza.
- Durante la costruzione? Come diavolo hai fatto?
- Ho supervisionato il progetto dell’Alveare fin dalla sua creazione, non mi è stato difficile, con l’aiuto dei Pokémon.
- E nessun altro ne è a conoscenza?
Arcadius fece cenno di no con la testa.
- Possiamo entrare da lì, credo sia ancora agibile. Forse potremmo salvare anche i Pokémon che sono rimasti intrappolati lì sotto e non sono stati raggiunti ancora dai soccorsi.
- Quando hai intenzione di andare?
- Immediatamente. Ogni secondo è prezioso.
Sabrina si volse a guardare Prim che dormiva profondamente.
- Va bene, andiamo.
- Tu non devi venire, ho bisogno di te qui, per controllare Prim. Se dovesse –
- Io vengo con te. Prim starà bene qui, ci sono i medici. Lascerò il mio Blissey qui con lei, se ne occuperà mattino e giorno. Tu non puoi andare da solo, avrai bisogno di auto, soprattutto per sistemare la camera di recupero che non è ancora stata ultimata.
- Sabrina, non sei obbligata.
- Lo sono, invece. Tengo a te, così come tengo a Prim. Insieme riusciremo a concludere più in fretta, aumentando le possibilità di sopravvivenza di Prim.
Lei gli si avvicinò, prendendo le mani fra le sue.
- Devi lasciarmelo fare – disse Sabrina.
Arcadius tentennò per un attimo, prima di arrendersi. Gli occhi di lei stavano scavando a fondo dentro di lui, mettendo a nudo tutte le sue incertezze.
- Va bene, ma farai esattamente come ti dico.

“Dopodiché avvisammo i medici che per problemi di lavoro con Camilla ci saremmo dovuti assentare per diverso tempo, e che avremmo affidato a loro Prim nel durante. Mi ripromisi che sarei passato a trovarla ogni volta che mi sarebbe stato possibile. Con il cuore pesante per il distacco da mia figlia, capii che il suo bene sarebbe stato conseguenza del mio successo. Non mi era data la possibilità di fallire. Con questa coscienza, io e Sabrina ci incamminammo verso l’Alveare, utilizzando la mia jeep fino a dove era possibile. Dopodiché proseguimmo a piedi sul fianco della montagna, fino a trovare l’ingresso nascosto da una parete gelida di pietra”.

- Siamo arrivati – disse Arcadius, indicando una parete di nuda roccia.
Si avvicinò, facendosi strada nella neve. Appoggiò la mano lì dove non c’era nulla di particolare nel fianco della montagna, nessun segno distintivo o altro che potesse indicare la presenza di un passaggio. Uno scanner apparve dal nulla, analizzando la mano di Arcadius. Ci fu un attimo di silenzio, poi l’intera montagna sembrò vibrare mentre due grosse lastre di pietra scivolavano una sull’altra, rivelando un passaggio all’interno del colosso. Delle luci si accesero, rivelando un corridoio lungo e ben curato. Sia il pavimento che le pareti erano in acciaio, nessun segno delle esplosioni dell’incidente.
- C’è ancora corrente. Già questo è un buon segno.
Arcadius e Sabrina iniziarono a discendere all’interno della struttura. Il percorso era piuttosto lineare, sempre con la stessa vista.
- Ecco, proviamo qui – Arcadius aprì una porta che si trovava sulla sinistra.
- Ma il corridoio non è ancora finito.
- Ho creato diversi accessi, in modo da poter raggiungere ogni livello dell’Alveare e, ovviamente, fuggire anche. Qui dovrebbero trovarsi i Pokémon intrappolati.
I due entrarono nella sala, sentendo immediatamente la pesantezza dell’aria, satura di polveri e stantia. Arcadius armeggiò con un quadro elettrico, facendo tornare le luci a funzionare, anche se deboli, rispetto al solito.
La maggior parte degli oggetti, così come mura e soffitto, era crollata o distrutta in parte. C’era ancora la possibilità di muoversi, ma tutti gli altri ingressi erano bloccati. Si trovavano ora all’interno di un immensa sala di attesa, decine e decine di Pokémon erano bloccati lì, tutti addetti a una qualche mansione all’interno dell’Alveare. Erano visibilmente stremati, affamati e disidratati.
- Mio dio… - sospirò Sabrina, avvicinandosi a un Raichu seduto poco lontano da loro.
Gli accarezzò il volto e quello parve animarsi improvvisamente e, con lui, l’intera sala iniziò a creare un continuo brusio. I Pokémon stavano cercando di alzarsi in piedi, aiutando i più feriti, per raggiungere i due apparsi dal nulla.
- Dobbiamo fare qualcosa. Sabrina, aspetta qui e tranquillizzali. Io torno fra poco.
Arcadius scomparve nuovamente nel corridoio, mentre Sabrina iniziava a osservare ogni Pokémon che le si avvicinava, iniziando a farsi un’idea sulla quantità delle loro ferite e la loro gravità.
Arcadius ricomparve poco dopo, trascinando dietro di sé un enorme montacarichi a lievitazione magnetica, carico di medicinali, kit di pronto soccorso, razioni e galloni carichi d’acqua pulita.

“Non ricordo quanto tempo abbiamo trascorso lì, aiutando quei Pokémon a riprendere fiato. Sabrina iniziò a curare tutte le loro ferite, mentre io mettevo nuovamente in funzione il sistema di riciclo dell’aria. In meno di mezz’ora non era più doloroso respirare. E pensare che quei Pokémon erano sopravvissuti così a lungo in quelle condizioni… incapaci di fare nulla e limitandosi ad attendere i soccorsi dai loro umani che, semplicemente, non sarebbero mai arrivati.
Ci videro come i loro salvatori, il che mi rese il cuore più leggero dal grave peso che ci gravava. Solo dopo capii quanto in realtà le nostre azioni avevano alterato quei Pokémon, rendendoli i nostri amici più fidati”.

Dopo aver prestato loro assistenza, Arcadius indicò loro l’uscita più vicina. Disse loro come raggiungere la città e dove trovare soccorso. Poi, lui e Sabrina, ripresero il loro percorso all’interno dell’Alveare, utilizzando il passaggio nascosto. Arrivarono infine al loro laboratorio. Le spesse pareti e le precauzioni di sicurezza avevano fatto in modo da non far arrecare danni gravi all’interno, se non per qualche minimezza del tutto insignificante. Per prima cosa si accertarono delle condizioni del fiore da loro a lungo analizzato.
- Condizioni di TV-137 ancora nella norma. La sua camera d’isolamento non ha subito danni di alcun tipo, è sicuro stare qui – comunicò Arcadius a Sabrina.
Tralasciarono le tute protettive ed entrarono immediatamente all’interno del locale. Avanzarono verso la sezione che conteneva la camera di recupero. Arcadius rimosse i teli protettivi e iniziò ad armeggiare col computer, avviandolo.
- Si comincia – disse lui, schioccando le dita.

Dopo giorni che lavoravano ininterrottamente, il computer li fermò.
- Sunday, ci sono problemi? – chiese Arcadius alla loro I.A.
- Un grande numero di Pokémon si trova all’ingresso del percorso nascosto.
- Cosa stanno facendo? – s’intromise Sabrina, spostandosi una ciocca di capelli dal viso.
- Uno di loro sta colpendo la parete di roccia ritmicamente, sembra stia bussando.
- Dammi una visuale – ordinò Arcadius.
Sullo schermo apparve l’esterno, nevicava. Il gruppo di Pokémon che avevano aiutato pochi giorni fa era riunito lì fuori, aspettando.
- Sono loro. Perché sono di nuovo qui?
- Non ne sono sicuro, credo vogliano tornare da noi, Sabrina. Sunday, apri le porte e falli giungere qui.
- Certo, capo.
Il computer eseguì e una decina di minuti dopo i Pokémon avevano fatto il loro ingresso. Portavano con loro un gran numero di provviste. Le depositarono sul pavimento davanti a loro e poi tutti, nessuno escluso, si fermarono a guardarli.
- Grazie mille, amici, ma non dovevate scomodarvi. Siete ancora indeboliti dalle ferite, è stato rischioso tornare qui con questo tempo – Arcadius prese la parola.
Un enorme Machoke si fece avanti, scuotendo il capo. S’inginocchiò davanti ai due, emulato dagli altri Pokémon. Per soli pochi secondi, poi tornarono in piedi, aspettando.
- Credo vogliano ripagarci – Sabrina si avvicinò al Raichu che stava camminando verso di lei.
Gli accarezzò la guancia, come la prima volta che l’aveva visto, e poi si volse verso Arcadius. Lui vide che lei aveva gli occhi umidi.
- Sono tornati qui per aiutarci.

“Questo deve essere un diario, quindi certe cose le lascerò, di minore importanza rispetto al resto. Insieme ai Pokémon iniziammo a lavorare a ritmi ancora più serrati, il loro aiuto ci velocizzò in maniera esponenziale alle forze che a loro tornavano. Le loro spedizioni in città ci procuravano il materiale di cui avevamo bisogno. Bastava esibire il mio pass per non avere problemi con il mio fornitore di fiducia. Benedetto sia Herb, è probabilmente grazie a quell’uomo che siamo giunti a tanto”.

Un giorno, durante una breve pausa, Sabrina notò Arcadius intento a dare molte attenzioni al TV-137.
- Che cosa pensi? – chiese lei, allungando una mano sulla gamba di lui.
Seduti uno di fianco all’altro, stavano riposando dopo l’ennesima giornata di lavoro.
- Finora quel fiore non ha creato nessun tipo di problemi. Potenzialmente è un’arma di estinzione, eppure…
- Eppure?
- Non credo sia questo il suo destino.
Sabrina, incuriosita, inarcò un sopracciglio.
Ad Arcadius piacque molto.
- Non credi sia un qualcosa di malvagio?
- E se lo usassimo per il bene? Quel fiore ha moltissime proprietà, una in particolare mi ha colpito…
- La rigenerazione – lo interruppe lei.
Arcadius parve illuminarsi in volto.
- E se riuscissimo a controllarla? Adattarla ad altri organismi, utilizzarne le proteine e gli enzimi in altri corpi? Immagina, malattie come tumori, deformazioni, e anche le mutilazioni potrebbero essere guarite in un attimo, basterebbe soltanto adattare quei geni al corpo umano. Anche ferite mortali, se curate in tempo, potrebbero forse essere curate.
- Coma… - sussurrò Sabrina.
- Già… Anche quello. Potrei curare Prim. Se solo riuscissi a trovare il modo di adattarlo al corpo umano.
I due restarono in silenzio per molto tempo. Ognuno immerso nei propri pensieri.
Fu Sabrina a spezzare quel senso di inquietudine che aleggiava intorno a loro.
- Sarà solo questo, vero?
Arcadius si girò verso di lei e notò che stava piangendo.
- Studieremo quel fiore, troveremo il modo di utilizzarlo come cura, e salveremo Prim. Ma dovrà restare solo questo, una cura. Se funzionerà, saremo io e te a continuare a studiarla, solo e unicamente per aiutare il mondo, non per distruggerlo.
La guardò fisso negli occhi.
- Certo.
- Dico sul serio. Se mai noterò che stai cercando di continuare gli studi sulle tossine sarò costretta a ucciderti.
- Non puoi. So che sei testarda, e se prima non ti offro quella cena non mi darai la possibilità di morire.
Le sue parole svolsero il loro dovere, facendo sorridere Sabrina.
- Sarà meglio per te che sia una cena coi fiocchi, allora.
Lei si fece avanti. In un attimo, i due si stavano baciando.

“La camera di rianimazione è completata, in questo momento siamo in ospedale, aspettando di poter portare via Prim. Lei sta bene, ha reagito meglio del previsto alle cure e il deterioramento del suo corpo è stato rallentato, ma non fermato. Sono sicuro che invece nell’Alveare riusciremo a stabilizzarla completamente, e infine a curarla. Il bacio con Sabrina è stato inaspettato, in un momento come questo. Ma senza il suo aiuto non sarei mai riuscito a raggiungere questi traguardi in così breve tempo. Credo proprio che non sia stato causato da qualche sintomo post traumatico. Forse ho finalmente ritrovato quello che avevo visto in Veronica.
Ora, però, è arrivato il momento di proseguire. Ti salverò, Prim”.

Il diario s’interrompeva qui, il resto delle pagine strappate. Sul retro della copertina, scritto col sangue, Bellocchio individuò una frase: “Il ghiaccio infine verrà spezzato e ridotto in granelli dalla forza delle radici”.
- So dove colpirà la prossima volta – annunciò Bellocchio.

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