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Xavier by KomadoriZ71 - Periegesi di Hoenn - Forestopoli

Forestopoli


La città sulla cima degli alberi in sintonia con la natura



By: Xavier


 Forestopoli era quel posto dove la mano dell'uomo s'univa a quella della natura, in perfetta simbiosi. La città si stagliava a metà tra il Percorso 119 e il Percorso 120 e, come suggeriva il nome, sorgeva all'interno di una foresta. Anzi, era essa stessa una foresta. Le abitazioni infatti erano collocate sui rami più alti dei grossi alberi ed erano connesse fra loro tramite ponticelli, liane e scale, consentendo a chi le popolava di vivere sempre a contatto con il verde e di mantenersi in forma grazie a tutto quel saliscendi continuo. Solo il Centro Pokémon, il Supermarket e la Palestra che troneggiava nel centro erano stati edificati per terra.
Dacian avrebbe dovuto trascorrere qualche giorno proprio in una di quelle casette di legno, in compagnia della sua Aron e del padre adottivo, Roderick.
Il ragazzo non aveva pronunciato mezza parola da quando era stato preso, troppo timido e ancora troppo diffidente verso quell'uomo e quell'ambiente tutto da scoprire, ma l'adulto non si era abbattuto e, con calma e pazienza, lo aveva sempre spronato ad esprimersi, parlandogli del più e del meno.
«Allora, Dacian» - proruppe il grande, dopo aver portato su i bagagli di entrambi e averli stipati nella camera da letto che comprendeva due giacigli, un comodino comune, due scrivanie e un piccolo bagno annesso- «quale lettino preferisci?»
Il ragazzo automaticamente prese le proprie cose e andò a sedersi su quello a destra, più vicino alla porta che conduceva nella stanza adibita a cucina e soggiorno.
«Capisco, io prenderò quello sotto la finestra, dunque» asserì l'uomo, e s'avvicinò al ragazzo per lasciargli una rassicurante carezza tra quei capelli corvini, del medesimo colore dei propri- «per me non c'è problema».
Roderick si trovava lì per sbrigare alcune questioni lavorative, ma aveva deciso di portarsi dietro il ragazzetto di appena dieci anni, convinto che l'aria di quella città gli avrebbe fatto bene e lo avrebbe aiutato ad aprirsi un po', non aveva ancora avuto occasione di sentire la sua voce, se la immaginava dolce come il canto di uno Swablu e fremeva all'idea di sentirla.
«Sai» - iniziò a parlare l'uomo, mentre entrambi erano intenti a smistare i loro oggetti nella stanza- «penso che questa città faccia al caso tuo. Si respira un'aria pulita, non fa freddo, potrai arrampicarti a tuo piacimento e fare attività fisica, per allenare te stesso e Aron, inoltre qui piove spesso, e a te piace molto la pioggia, vero Dacian?»
Il ragazzo alzò lo sguardo per incrociare i profondi occhi blu dell'adulto, e si limitò ad accennare un frettoloso "" con la testa, poi tornò alle proprie cianfrusaglie, senza dare troppe attenzioni alle divagazioni dell'altro. Quel posto, in effetti, non gli dispiaceva. Era molto più tranquillo delle caotiche città pullulanti di auto e persone sempre in movimento, si respirava un'aria fresca e pura, la gente era discreta e cordiale, in più la loro abitazione, pur essendo molto semplice e rustica, era assai comoda e dotata di ogni comfort necessario; stranamente, si sentiva a proprio agio, ma preferì comunque non proferire parola troppo presto.
Roderick osservava con un sorriso deliziato il figlio disteso prono sul letto e intento a disegnare, era curioso di sapere cosa stesse rappresentando con tutte quelle matite colorate, sarebbe rimasto ore a contemplarlo in tutta la sua tenerezza, vederlo spensierato e sereno gli riempiva il cuore di gioia, ma fu costretto a rompere il silenzio un'altra volta: «ehi campione, senti un po'…» - iniziò a dire, avvicinandosi pian piano a Dacian- «adesso devo uscire, ho da sbrigare alcune cose e fare delle compere, ti annoieresti se ti portassi con me, vero?»
Il ragazzo annuì ancora una volta, senza staccare gli occhi limpidi e trasparenti, che ricordavano due pozze d'acqua ambrate, dal foglio, troppo intento ad illustrare.
«Immaginavo» - sospirò l'uomo, e si sedette sul giaciglio, per accarezzargli la schiena con gesti lenti e delicati- «non preoccuparti, non ti costringerò. Ti chiedo solo una cosa…»
Solo a quel punto Dacian rivoltò il disegno per occultarlo e si mise a guardare in faccia Roderick.
«Dicevo» - riprese l'adulto, lisciandogli i capelli lucidi- «in cucina ho lasciato delle buste sul tavolo, sono piene di documenti importanti, quindi per favore non toccarle, intesi?»
Dacian studiò a lungo lo sguardo serio e penetrante del genitore, nonostante la dolcezza celava un briciolo di severità, era molto rigoroso quando si trattava del suo lavoro, per cui si limitò a scrollare le spalle, come per dire "quei documenti non mi riguardano, certo che non te li tocco", e Roderick capì al volo quello che i gesti del bambino volevano comunicargli.
«Bravo» - esclamò soddisfatto, alzandosi dalla branda- «allora io vado. Tornerò per l'ora di pranzo e mangeremo insieme questa volta, te lo prometto!»
Dacian strizzò gli occhietti sotto le ultime carezze del grande e lo osservò andarsene, finalmente poteva starsene un po' da solo e ambientarsi senza essere strapazzato di carinerie ogni secondo. Capiva e apprezzava l'affetto che il padre adottivo dimostrava verso di lui, ma il suo carattere schivo e un po' scontroso non lo rendeva molto propenso ad essere coccolato con tanto attaccamento. Tese le orecchie e non appena gli giunse il rumore della porta che veniva chiusa, rigirò il foglio di carta su cui stava lavorando, si tolse il cappuccio della felpa dalla testa e tirò un sospiro di sollievo. Aveva già ripreso la sua attività, quando udì nuovamente la voce del padre chiamarlo da giù: «ah, Dacian!»
Si coprì repentino il capo e si affacciò alla finestra per ascoltare le ultime raccomandazioni, con fare visibilmente stufo.
«Ricordati di chiudere le imposte, non vorrei che entrassero dei Coleotteri! A dopo, campione! Fai il bravo!»
Il ragazzo rispose sbuffando, era stato interrotto per quella misera sciocchezza e per fargli capire che aveva inteso sbatté le ante delle finestre della camera da letto con forza, assicurandosi che fossero ben chiuse. Finalmente era da solo e poteva dedicarsi in santa pace al proprio passatempo.



Dopo tre ore di disegno ininterrotto, Dacian poteva dirsi soddisfatto di quel che ne era uscito e si alzò dalla postazione per mostrare il capolavoro alla sua Aron, ma rimase deluso nel trovarla addormentata sotto la scrivania e non se la sentiva di svegliarla. All'improvviso, mentre contemplava il Pokémon, sentì un tonfo provenire dalla cucina, come se un qualcosa fosse caduto sul pavimento entrando da fuori; si ricordò delle parole pronunciate dal padre poco prima di partire e pensò subito ad un Pokémon Coleottero, per cui si diresse nella suddetta stanza con l'intento di farlo uscire, ma non trovò nessuno. Controllò da cima a fondo tutta la camera, sotto il tavolo, sotto le sedie, sugli scaffali, nelle credenze, ma nulla. Avvertiva una strana presenza, tuttavia, si sentiva osservato, ma si convinse ben presto che fosse tutta opera della suggestione, per cui scrollò le spalle e andò ad appoggiarsi al davanzale che dava sull'ambiente esterno: da quell'appostamento si poteva intravedere la Palestra di Forestopoli, un edificio non molto diverso da com'erano costruite le case civili, era solo più grande. Si chiedeva come dovesse essere all'interno, aveva solo sentito parlare vagamente della Capopalestra Alice ma non aveva mai avuto l'occasione di entrare in una vera e propria Palestra. Non che gli importasse più di tanto, le lotte non facevano al caso suo, preferiva tenere dei Pokémon esclusivamente come compagni di gioco.
Sbuffò vistosamente e chiuse le imposte, tornandosene a letto. Riprese in mano il foglio cartaceo per darci qualche ritocco, impugnò il pastello rosso ma non ebbe nemmeno il tempo di poggiare la punta colorata sulla superficie ruvida che un secondo rumore, più forte del precedente, lo ridestò e fece svegliare anche Aron, che lanciò un'occhiata sonnolenta al padroncino.
Si fece coraggio e sbirciò nella cucina: uno dei due piatti in porcellana lasciati sul tavolo era caduto a terra e si era rotto in mille pezzi. Ma come? Chi poteva essere stato a rovesciarlo? Dacian non riusciva a capire. Zampettò timidamente nella stanza e si sbrigò a raccogliere i cocci e buttarli via, ma un rapido spostamento d'aria avvertito alle proprie spalle lo fece voltare: nemmeno questa volta poté notare nulla di strano. La situazione iniziava ad inquietarlo. Con la coda dell'occhio catturò un altro movimento: le cartelle colme di documenti erano state lacerate con un gesto simile ad un graffio e ora cascate e cascate di fogli si stavano riversando, sparpagliate, sul pavimento di legno.
Il ragazzetto emise un singulto e si slanciò sul banco per proteggere col proprio corpicino quel che restava delle carte, anche se ormai il danno era stato fatto, e qualcosa gli sfiorò le braccia, lo poté appena percepire. Non era decisamente da solo, ma cosa avrebbe raccontato a Roderick? L'uomo sarebbe tornato tra meno di un'ora, troppo poco tempo per rimettere in ordine il disastro.
Dacian pensò immediatamente ad un Pokémon Spettro: li conosceva per sentito dire, sapeva che potevano essere creature dispettose e crudeli, sempre pronte a spaventare il prossimo, era l'unica spiegazione che riusciva a darsi. Guardò Aron, che intanto si era fatta avanti e, spaventata, aveva usato Rafforzatore, ma realizzò che la sua compagna di squadra avrebbe potuto fare ben poco contro un fantasma: essa infatti conosceva solo mosse di tipo Normale, come Azione e Bottintesta, per nulla efficaci.
Intanto attorno a loro due la stanza veniva messa a soqquadro: posate e bicchieri venivano rovesciati, ante e cassetti sbattevano, soprammobili piombavano a terra, segni di artigli comparivano sugli sportelli della credenza che conteneva le scorte alimentari.
Dacian non perse altro tempo: afferrò Aron e si barricò nella stanza da letto, nascondendosi con lei sotto uno dei giacigli; la strinse al petto che pareva in grado di esplodere da un momento all'altro a causa del suo cuoricino palpitante e le fece cenno di non emettere alcun suono.
I rumori intanto proseguivano e, anzi, aumentavano. Doveva essere una vacanza rilassante per lui, quella, ma si stava trasformando in un inferno.
Sperava di veder comparire sull'uscio la figura imponente e rassicurante di Roderick, di essere preso tra le sue braccia e rassicurato anche se, in quel momento, l'idea di vedere il padre su tutte le furie a causa del suo lavoro messo in disordine non lo rassicurava affatto, anzi, lo faceva sentire tra l'incudine e il martello: Dacian iniziò a piangere, silenziosamente, e perse la cognizione del tempo che scorreva.












Roderick, nel frattempo, aveva concluso il proprio lavoro all'Istituto Meteo posto ad ovest della cittadina, e trovandosi in grande anticipo aveva deciso di andare a prendere qualcosa per il pranzo e fare un salto in un negozio, uno dei tanti, che vendeva decorazioni per Basi Segrete, per fare una sorpresa al figlio: gli aveva preso una Poké Bambola a forma di Cleffa, il ragazzino andava matto per quei giocattolini di pezza. Entusiasta del nuovo acquisto, Roderick si accinse a salire in casa, ma quando aprì la porta trovò l'abitazione a soqquadro. Pensò ad una rapina, e non vedendo il piccolo nei paraggi andò nel panico: «Dacian!» gridò, senza neppure badare ai documenti sparpagliati per terra o alle buste della spesa. Irruppe con impeto nella stanza da letto, dove aveva lasciato i suoi averi più preziosi, e la trovò in ordine, non vi era alcun segno di effrazione, per cui si diede una calmata e si avvicinò al letto su cui era stato adagiato un disegno, lo raccolse e lo guardò: rappresentava due individui, un uomo più grande vestito in modo elegante con abiti neri e camicia bianca che teneva per mano un ragazzo più piccolo, imbacuccato in una felpa rossa e, ai loro piedi, un esemplare di Aron. Accanto ai soggetti, erano scritti i rispettivi nomi: "papà, io & Cozette". Roderick sorrise commosso a quella visione. Dacian, invece, nell'udire il proprio nome urlato in quel modo così energico, aveva avvertito un colpo al cuore e ancora tremava di paura, temeva una punizione esemplare. Ancora piangeva, e i suoi singhiozzi si fecero più pesanti, non riusciva a reprimerli. Solo allora il padre notò che c'era qualcuno sotto il materasso, si abbassò e si accorse di lui: «Dacian, santo cielo, cos'è successo?» chiese con apprensione e lo aiutò a tirarsi fuori da lì. Il suo tono era molto dolce e carezzevole, non sembrava in procinto di rampogne. Il ragazzo avrebbe voluto raccontargli per filo e per segno quanto successo, ma il nodo alla gola gli impediva di parlare e dalla sua bocca uscivano solo singulti trafelati.
«Mi sono spaventato, sai?» - disse, prendendolo in braccio- «quel macello in cucina non è opera tua, vero?»
Dacian scosse con convinzione la testa.
«Certo che no…» sussurrò il padre, tenendo stretto il figlio per rassicurarlo. Moriva dalla voglia di sentire la sua voce, ma non voleva che fosse alterata dal suo stato di terrore, vedere Dacian in quella condizione gli creava un dispiacere immenso.
«Adesso scopriamo chi è stato, d'accordo?» disse poi, donandogli un sorriso affettuoso. Dacian lo guardò sbalestrato, sapeva che il lavoro di suo padre aveva a che fare con delle indagini, ma quel misterioso colpevole per lui era semplicemente impossibile da svelare, persino per un agente capace come lui.
«Vediamo un po' se i miei sospetti sono fondati…» - bisbigliò, dopo aver preso dalla sua borsa uno strano visore ed esserselo portato agli occhi, per vederci attraverso- «… bingo! Ah ah!»
Dacian continuava a non capire, e Roderick permise anche a lui di osservare attraverso quello strano aggeggio chiamato "Devonscopio" e solo allora fu tutto più chiaro: accanto ad una scatola di biscotti aperta malamente e riversata sul parquet, giaceva addormentato un esemplare di Kecleon che, a giudicare dal pancino gonfio, doveva essersi fatto una bella mangiata. Il ragazzo rimase a bocca aperta, sbalordito, si sentiva uno stupido.Solo allora il padre sospirò: «io però ti avevo detto di chiudere le finestre, signorino…» - al che il ragazzo chinò il capo, con fare affranto e colpevole- «ma adesso è ora di pranzo, quindi mangiamo con calma e dopo mi aiuterai a rimettere tutto in ordine, d'accordo?»Dacian annuì subito, si era ormai tranquillizzato, per fortuna quella casa non si era rivelata infestata da nessuno spirito maligno e Roderick non era infuriato con lui per aver mandato all'aria i risultati di una nottata intensa di lavoro, né per aver reso inagibile una camera. L'uomo posò delicatamente per terra il piccolo, gli diede un bacetto sul capo e aprì la finestra, permettendo così al Kecleon ormai sveglio di andarsene via in santa pace; mise poi mano alle buste della spesa e tirò fuori la bambolina acquistata in precedenza, che porse a Dacian: «questa è per te, so che ti piacciono. Adesso però va' a lavarti le mani, ti avevo promesso che avremmo pranzato insieme» .
Dacian afferrò entusiasta il nuovo giocattolo, poi si alzò sulle punte per regalare uno stretto abbraccio all'uomo: «grazie papà…» - riuscì a bisbigliare, con la vocina colorata dall'euforia del momento- «ti voglio tanto bene, papà!»

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