Against Me
Quando tutto cade.
6.
Hoenn
Bluruvia, 19 giugno 20X1
Sentirono la voce della civiltà
qualche ora dopo. Avevano raccolto le proprie cose, si erano risistemate,
rivestite, ripulite dalla crema in eccesso perché “non è esteticamente accettabile presentarsi in pubblico con la
protezione sul viso, non siamo più ragazzine”, e avevano buttato la
plastica dei cracker e la buccia delle mele che avevano consumato durante la
traversata. Si erano poi spostate verso l’interno della nave e avevano sceso le
scalette che le avrebbero portate sulla piattaforma inferiore. Lì c’erano poche
persone, molti erano autotrasportatori che facevano ritorno sui loro camion, fissando
con occhi interessati Petra e Sapphire.
- Non li guardare. Andranno via.
– disse la prima, categorica, fissando dritto davanti a lei, mentre la rampa
d’attracco si abbassava e lentamente inondava di luce dorata i loro visi.
Sapphire si voltò verso l’amica, così seria e compunta, mentre allungava il
collo e inarcava le sopracciglia.
- Perché non dovrei guardarli,
scusa? Io sono qui e loro sono lì.
- Perché sono camionisti. Quella
gente non porta mai a niente di buono... – aveva ribattuto l’altra, repentina.
– E poi puzzano, e sono sudati. E sono abituati a... diciamo, compagnia
femminile del tutto differente da quella che potresti offrire tu. Sei una donna
elegante e raffinata, tu.
- Non proprio... – ridacchiò
l’altra, mentre la rampa d’attracco si abbassava. Il sole s’inseriva lento in
quel garage buio, andando a colorare i volti delle due ragazze. Sapphire
strinse gli occhi, sentì poi Petra rispondere.
- Sei una donna. Quindi sei
elegante e raffinata... hai questo potenziale già dentro di te. Dobbiamo un po’
lavorare su quest’aspetto.
- Fanculo ogni aspetto, Petra.
Non mi ha cambiata quel finocchio e non lo farai di certo tu...
- Ti prego... – sbuffò l’altra, piegando
le labbra in una smorfia. – Non lo chiamare in questo modo. Mi infastidisce che
parli male di lui... Non dovresti parlare male della gente.
- Tu non ti sei fatta problemi a
paragonare i camionisti agli uomini di Neanderthal, tesoro...
- Non ho mai detto una cosa del
genere.
- Il mio ex aveva movenze e
comportamenti da drag queen, con quei profumi puzzolenti e...
- Ora invece stai parlando male
delle drag queen.
- Fanculo, Petra.
Pochi secondi dopo misero piede a
Bluruvia. La zona del porto era stata ristrutturata cinque anni prima, dopo che
un violento maremoto aveva distrutto gran parte delle ultime banchine, le più
vecchie; era stato tutto sistemato e il pontile di cemento aveva sostituito la
debole piattaforma galleggiante in plastica, ormai ingrigita dal tempo.
Rudi ci teneva alla sicurezza.
- Non lo vedo... – diceva
Sapphire, alzandosi sulle punte e riparando la visuale dal sole con la mano. –
Hai detto che sarebbe venuto Rudi? Cioè, proprio Rudi?
Petra sospirò, incrociando le
braccia e rimanendo col collo allungato. L’espressione senza emozioni che
portava sul viso non tradiva in alcun modo la sua confusione.
- Sì, aveva detto che sarebbe
venuto lui. Forse avrà mandato qualcun altro, o forse... non so.
- Perché non lo chiami un attimo?
- Perché non voglio fare la
figura della cretina, nel caso fosse venuto a prenderci e io non lo vedessi.
Sapphire la guardò con
sufficienza, mentre l’altra aguzzava la vista, alzandosi sulle punte e
lanciando gli occhi più lontano che potesse. Cercò Rudi sulla sinistra, lungo
la stradina che portava alla meravigliosa chiesetta costruita interamente in
pietra bianca, senza trovarlo, e poi guardò anche a destra, oltre la grossa
statua al centro del porto, dov’erano parcheggiati diversi minitaxi, che non
erano altro che fatiscenti veicoli a tre ruote, più stretti delle automobili,
sicuramente più agili, a rappresentare gli unici mezzi di trasporto in grado di
passare attraverso gli stretti vicoletti della città.
- Non lo vedo. Ora lo chiamo io...
- rispose Sapphire, cercando con la mano il cellulare nella borsa, perdendo
forse troppo tempo nel farlo e pensando che invece di buttarlo a casaccio in
quel fossato profondo quanto l’oceano avrebbe potuto cominciare a infilarlo nel
taschino interno di quella hobo di pelle bianca, un po’ sdrucita, sgualcita dal
tempo.
- Va bene. Va bene, chiamalo tu.
Poi un clacson le fece sobbalzare
entrambe, che erano davanti alla passerella di sbarco e uno di quei camionisti
dalla fronte sudata urlava loro di levarsi
dalle palle.
- Vedi come sono, i camionisti?!
– sbraitò Petra, camminando un paio di metri avanti, tirandosi l’altra per il
braccio, che intanto aveva lo sguardo perso nel vuoto e l’orecchio sul
telefono.
- Rudi. Sono Sapphire. Sapphire
Birch. Siamo al porto, Petra aveva detto che saresti venuto a prenderci...
- No! – esclamò l’altra,
spalancando gli occhi e poi portando una mano davanti alla bocca. – non dirgli
che sono stata io! – continuò, a bassa voce.
- Sì, va bene, è che abbiamo le
valigie e... ah, siamo state anche fortunate, quindi... perfetto. Dov’è?
Destra, destra, sinistra, dritto. Chiedo a Serge. Va bene. Va bene, sì. Sì, la
traversata è andata bene, nessun problema, non abbiamo trovato mare grosso. Va
bene. Va bene. Sì, va bene... va... va bene, a dopo.
Petra la guardava confusa. La
vide gettare di nuovo il telefono in borsa e sospirare.
- Va bene? – le chiese. – Che ha
detto?
- Voleva che andassimo in
spiaggia.
- Direttamente?! Ma abbiamo le
valigie e dobbiamo fare il check-in e...
- Mi hai sentita, no?
- Sì, hai detto mille volte che
andasse bene qualcosa...
- Sì, e lui mi ha detto di avviarci
all’albergo vicino alla Palestra, il...
- Golden Sand, sì. L’ho visto su Trip Advisor e non mi sembra niente
male, ha addirittura una discesa privata sulla spiaggia, e lì la sabbia è
bianca e il mare è cristallino e...
- Doveva chiamarsi White Sand, allora. – ribatté Sapphire.
– Voglio andare a fare un bagno, sbrighiamoci.
- ... e dicono che sia un posto
perfetto per raccogliere le conchiglie.
- E muoviti!
Camminarono per quei vicoletti
stretti e caratteristici, accarezzando le pareti delle case, tutte rivestite in
porosissimo tufo, che lasciava sulle dita polvere giallastra destinata a volare
via, quando si pulirono le mani. Sapphire lo fece sul pantaloncino, Petra su di
un fazzoletto. Di tanto in tanto i loro sandali scivolavano sulla superficie
liscia dei vecchi sampietrini, levigati dal tempo e dalla pioggia che, in
quelle strade tutte in pendenza, scendeva a valle.
Le persone sembravano felici,
lontane dalla frenesia che popolava le strade di Ferrugipoli, metropoli in cui
viveva Petra. Lei stessa non riusciva a capacitarsi della rilassatezza dipinta
sul volto di quelle persone.
- Qual era la strada? – domandò
poi quella, nascondendo il viso sotto la tesa del cappello.
Un treruote dal parabrezza opaco e
dalla carrozzeria color ocra si avvicinò frontalmente alle due, che furono
costrette a salire un piccolo gradino che portava all’ingresso di casa di
qualcuno, scavato interamente nella pietra. Si strinsero l’una all’altra col
calore che le avvolgeva, guardarono l’uomo nel veicolo che sorrideva e si portarono
di nuovo sulla strada.
- Cosa hai detto? – aveva chiesto
Sapphire, sbuffando.
- Ti ho chiesto quale fosse la
strada.
- Destra, destra, sinistra e poi
dritto. L’albergo si chiamava...
- Goldsand. Sabbia d’oro, con discesa su spiaggia...
- Con sabbia bianca.
- Lo hai già detto, Sapph. –
rispose Petra. Poi si fermarono in uno slargo, mentre una coppia di anziani
pescatori discuteva sul perché un certo Omar avesse effettivamente dovuto fare
quello che aveva fatto. La Capopalestra si guardò attorno, poi si voltò e poggiò
gli occhi sull’amica.
- A destra c’è questa scalinata.
Ma è una discesa...
- Beh, qui siamo più in alto...
Considerato che l’albergo ha una discesa su di una spiaggia di sabbia bianca, e
ci tengo a rimarcare questo particolare, immagino che dobbiamo scendere. Più
saliamo più andiamo sulla montagna.
- Credo anche io.
- Cazzo... – sbuffò Sapphire,
detergendosi il volto dal sudore. – Ho fame...
- È un buon segno... - sorrise
l’altra. – Vuol dire che sei viva.
- Non sei per niente divertente.
Anzi... - sbuffò. Petra la guardò avanzare rapida, tirandosi il trolley fino
all’ombra di un grande platano dal tronco venoso, alto più di dieci metri. La
Capopalestra la vide appoggiare la mano sulla corteccia intagliata da qualche
coppia d’innamorati. Levò il sandalo, lasciò che una grossa pietra cadesse e lo
infilò nuovamente.
- Mi faceva male... non ce la
facevo più... - aveva detto, col volto paonazzo e sudaticcio. Raccolse i
capelli castani tra le mani e li legò, in un codino alto, seppur leggermente
più lungo di quelli a cui era abituata. Deterse la fronte col polso, sgranò gli
occhi blu come il cielo che avevano sulle teste e si guardò attorno.
- Non ricordo più la strada. –
aveva ribattuto Petra, raggiungendola.
- Destra, destra, sinistra e poi
dritto. Abbiamo già voltato una volta e destra e quindi... - fissarono entrambe
l’incrocio, quindi si rimisero in marcia, guardando dritto e riuscendo a
scorgere una grande costruzione a forma di vela, interamente in vetro e
acciaio, che imperava maestosa sulle acque splendenti della costa di Bluruvia.
- Eccolo!
- Ha scelto proprio un due
stelle... – osservò sarcastica Sapphire, beccandosi la successiva occhiataccia
di Petra.
- Ti chiedo solo di rilassarti.
Smettila con questi atteggiamenti da strega, ti prego...
La prima fissò l’altra negli
occhi rosati e annuì, storcendo le labbra.
- Hai ragione, ma non mi sento
più me stessa da troppo tempo. E ciò che stiamo facendo mi sta destabilizzando.
La maestra si bloccò, levando gli
occhiali da sole e stringendoli tra le dita, con una mano stretta contro il
petto, e l’altra lunga e pesante accanto al fianco. Un soffio di vento le
spinse il vestitino contro il corpo sottile.
- Che intendi? – domandò,
battendo leggera le palpebre.
Sapphire si limitò a sbuffare e a
guardare in basso. Era stanca di aprire la porta verso l’interno di se stessa.
- Intendo che la mia quotidianità
è cambiata fin troppe volte, durante questi due anni. Prima avevo un uomo
accanto, e lo amavo, poi l’ho visto andare via... e poi ho cominciato una
relazione a distanza, e tutti che mi dicevano che non funzionano mai, e sapevo
pure che avessero ragione ma non volevo che fosse così...
- Lo amavi, è normale che tu ti
senta così.
- Ma non è così! Non è normale
che io stia così! – ribatté ad alta voce. Un uomo su di uno scooter rimase a
guardarle per un rapido attimo, prima di procedere oltre. – E tu che cazzo
guardi...
- Vediamo di non finire sui
giornali...
Sapphire sospirò, passando una
mano sudaticcia nei capelli, di quel castano chiaro che tendeva a tuffarsi nel
biondo, con l’estate.
- A me da fastidio... - fece,
riprendendo a camminare.
- Cosa?
- Che una persona abbia tutto
questo potere su di me. Che finisca per decidere come io debba stare senza fare
neppure più parte della mia vita. È assurdo!
Si era arrabbiata, Petra invece
sorrideva. Stava tornando a galla quella parte di lei.
- Hai ragione.
- Lo so, che ho ragione, cazzo!
- Devi imbrigliare questa
situazione e gestirla al meglio.
- Devo andare ad ammazzarlo di
botte! – urlò furibonda, con le lacrime che involontariamente erano scese.
L’altra la guardò, afferrandole il braccio e sospirando.
- Stai ferma e smettila di fare
queste scenate in pubblico. Tieni... - fece, scavando nella grossa borsa e
tirando fuori un pacchetto di Kleenex. – Tienilo, possono sempre servire.
Non impiegarono molto tempo a
raggiungere l’albergo. La struttura era sopraelevata rispetto alla spiaggia, i
cui ombrelloni dorati spiccavano sulla sabbia totalmente candida. Sapphire
vedeva Petra allungare l’occhio verso i bagnanti, e avrebbe giurato di vedere
le sue labbra pronunciare un “eccolo”, se
non fosse stata troppo distratta dalla sfarzosità dell’ingresso: una serie di gradoni
lunghi e bassi, ricoperti di marmo nero e inserti in oro, veniva accompagnata
ai lati da schiere di ibischi, passiflore e plumerie, dal profumo morbido e dai
colori vivissimi. Arrivarono in cima alla scalinata e un facchino dal volto
devastato dai buchi dell’acne ma dal sorriso meraviglioso le accolse. Indossava
una divisa verde petrolio, con piccoli particolari dei taschini e del colletto
dorati. Risaltavano in maniera eccessiva i guanti bianchi, che stringevano un
carrello portavaligie.
- Buongiorno, signore. Posso
aiutarvi con i bagagli?
Sapphire fece cenno di no e
avanzò, mentre Petra gli sorrise gentilmente e lo congedò con un no, grazie. Entrarono nella hall, con
l’aria condizionata che soffiava sulle pelli accaldate delle ragazze e su
quelle lucide e marroni dei divanetti e delle poltroncine poco prima del
bancone degli alcolici, dove un bartender col papillon rosso faceva volteggiare
uno shaker davanti a due ragazze dai capelli rossi e dai pareo fin troppo
trasparenti.
- Un po’ di buon gusto, per
l’amor del cielo... - sbraitò Petra, seguendo l’amica, indirizzata in
conciergerie. Ad attenderle c’era un uomo che indossava un sorriso bonario e
compiaciuto, con lo stesso papillon del bartender ma almeno trent’anni in più. Serge, c’era scritto sulla targhetta
dorata.
- Buongiorno. Come posso
aiutarvi?
- Faccio io. – s’inserì rapida la
Capopalestra di Ferrugipoli, scivolandole davanti. Sapphire sbuffò, e mentre la
sentiva parlare riuscì a darsi uno sguardo attorno. Pensò che il bartender
fosse davvero carino, ma continuava a sorridere a quelle due rosse mezze nude.
Aveva messo il cervello a folle e aveva cominciato a guardare meglio l’uomo,
dalla barba ispida e bionda e dai profondi occhi azzurri. Nonostante la divisa
fosse elegante e il papillon aumentasse la superficie coperta, riuscì a vedere
parte di un tatuaggio che sarebbe dovuto essere assai esteso fuoriuscire da
colletto della camicia. Prese a immaginarlo senza divisa, senza quel gilet
attillato, soprattutto senza papillon: doveva essere bello accarezzare quel tatuaggio,
che magari scendeva lungo il collo, e più giù, sul petto.
Lo riguardò, bello e abbronzato,
e appena i loro sguardi s’incontrarono, appena i loro occhi si unirono, come il
cielo faceva col mare, d’improvviso quella che era barba dorata divenne pelle
liscia e levigata, e i lineamenti nordici e solidi dell’uomo s’ammorbidirono
subito.
Stentava a crederci ma anche le
iridi di quello, dapprima dello stesso colore delle sue, mutarono e diventarono
rosse, come rubini illuminati dal sole, e una cicatrice, poco al di sopra,
deturpava la fronte candida, coperta da ciuffi corvini.
E rideva e scherzava con quelle
due donne con le natiche al vento.
- Dammi un documento. – la
interruppe poi Petra.
Sapphire sbatté le palpebre, il
biondo continuava a guardarla, la vedeva confusa e spaesata.
- Sì... - aveva risposto lei,
gettando le mani nella borsa senza però mai staccare gli occhi dall’uomo.
- Sì, un attimo... è un po’
confusa... – sorrise ancora la Capopalestra, spintonando delicatamente l’amica.
– Forza! Ti serve una mano?!
Sapphire rinvenne.
“Devo
rilassarmi. Devo seriamente rilassarmi”, pensò abbassando poi gli occhi verso la borsa. La
mano affondò tra i fazzoletti usati di prima e qualche carta di caramelle, il
cellulare, e una quantità oscena di monetine da dieci centesimi, che a contarli
avrebbe recuperato almeno tre dollari. Trovò quel grosso portafogli di pelle
bordeaux, prese la carta d’identità e la mise sul bancone. Il concierge le
sorrise cordiale e la prese, poggiandola sul banco e sedendosi poi alla
postazione computer accanto a lui.
- Birch... Sapphire, Albanova. E...
ecco, perfetto. Registrate...
- La prenotazione dovrebbe essere
stata effettuata da Rudi in persona.
- Sì, ha chiesto di riservarvi la
migliore suite disponibile, anche se attualmente è occupata da qualcun altro...
- fece, stirandosi il gilet addosso.
- Chi? – domandò poi Petra, molto
incuriosita. Vide l’uomo chiudere gli occhi lentamente e sospirare.
- Non posso dirvelo. Ma ho
comunicato personalmente a chi di dovere di preparare la stanza numero la
cento.
- Proprio la cento?
- Proprio la cento.
- Hai sentito! – esclamò Petra,
in direzione di Sapphire. – Ci ha riservato la stanza numero cento!
La donna annuì, non riuscendo a
carpire neppure in maniera minima parte di quell’entusiasmo.
Serge si voltò verso la grande
bacheca di legno che aveva alle spalle e poi prese la chiave magnetica. Questa
aveva un piccolo portachiavi semisferico di quello che sembrava ottone,
consumato dalle mille mani che l’avevano toccato. La poggiò sul banco e sorrise
nuovamente.
- Micheal, che avete avuto già
modo d’incontrare alla porta, vi accompagnerà alla stanza.
- Molte grazie. – annuì Petra,
vedendo poi il ragazzo afferrare i trolley per le maniglie e depositarli sul
carrello. Attese che entrambe fossero pronte ad andare, prima di annuire e
d’inclinare leggermente la testa.
- Se avete terminato, potete
seguirmi verso l’ascensore.
Non se lo fecero ripetere due
volte; camminarono sul parquet dell’ingresso e raggiunsero l’ascensore, già
aperto. Il ragazzo attese silenzioso che le due salissero, quindi schiacciò il
pulsante 10 sulla tastiera e, non appena si chiusero le porte, una versione
MIDI di Come Get To This prese a
suonare dagli altoparlanti. Sapphire rimase in silenzio, ancora turbata per ciò
che era successo precedentemente. Combatté l’istinto di prendere una delle
Marlboro che aveva nascosto in borsa e accenderla proprio lì, in quel momento,
avvelenandosi il fegato nel dover chiedere a se stessa di aspettare.
Sapphire odiava aspettare.
Odiava profondamente l’attesa.
Non serviva ad aumentare il desiderio, snervava e basta, e aveva capito da
qualche settimana a quella parte che i suoi nervi avevano bisogno di una tregua,
perché stavano sventolando bandiera bianca.
E insomma, li stava ascoltando: vacanza,
spiaggia, era lì per quello.
Le porte si aprirono, il giovane
spinse il carrello in avanti e le ruote cigolarono fino a quando la moquette
bordeaux non attutì il rumore. Tutt’intorno l’aria era fresca e il profumo di
pulito aleggiava prepotente. Le luci calde illuminavano eleganti il corridoio
ogni paio di metri tramite elegantissimi applique in acciaio, fissati alle
parete candide. Tra le porte vi erano appesi quadri minimalisti, che Sapphire
non riusciva ad apprezzare allo stesso modo di Petra, la quale li fissava
sorridente.
- È un luogo di classe, questo,
vero? – chiese.
- Già.
- Adesso che ti prende? No,
aspetta, me lo dirai in stanza.
- Voglio solamente andare a fare
un bagno e addormentarmi al sole, Petra. Di tutto il resto non m’interessa.
L’altra storse le labbra e
sospirò.
Micheal si fermò davanti alla
penultima porta sulla sinistra, strisciò la card nel lettore e la serratura
diede loro il benvenuto con uno scatto, dopodiché lasciò che Petra abbassasse
la maniglia ed entrasse. Furono inondati dalla luce esterna, in quella suite
che pareva più un appartamento di un grattacielo di Ciclamipoli.
Ma non aveva quella vista. La
Capopalestra si avvicinò lentamente al grosso finestrone che aveva di fronte,
stringendo con una mano la borsa e levando il cappello con l’altra.
- In... incredibile. Vero, Sapph?
– chiese, sorridente, voltandosi.
Quella si limitò ad annuire
alcalina, prendendo il trolley dal carrello e gettandolo sul letto.
- Sarà un piacere passare il
tempo con te... – rispose quella, mentre Micheal poggiò per terra il suo
bagaglio, facendo un passo indietro.
- Prima o poi mi passa... –
sbuffò la ragazza, aprendo la zip della valigia, per poi cominciare a scavare
tra i vestiti e tirare fuori un bikini celeste, poi sbottonò i pantaloni e li
abbassò, rimanendo in costume davanti al facchino, che la fissava interdetto.
Petra sbatteva le palpebre,
confusa, mentre Sapphire si voltò verso l’uomo, aggrottando la fronte.
- Beh? Vuoi davvero vedermi nuda?
Puoi andare.
Micheal voleva la mancia, Petra
l’aveva capito ma Sapphire non sembrava aver colto.
- Il fatto che mi sia levata i
pantaloncini significa che sto per spogliarmi, quindi prendi il tuo carrellino fatto
di merda e sparisci.
Quello spalancò gli occhi e
arrossì immediatamente, balbettando qualche scusa, prima che l’altra gli si
avvicinasse e gli posasse venti dollari tra le mani.
- Scusala, non riesce ancora a
gestire bene la distanza da casa...
- Grazie, signora. Buona
permanenza...
Si chiuse la porta alle spalle e
Sapphire trovò finalmente il momento per levare slip e reggiseno, rimanendo
totalmente nuda davanti all’altra, che la fissava, profondamente contrariata.
- Ti sembra il modo?
- Il modo di cosa? Dovevo
spogliarmi davanti a lui, scusa?
- Siamo in un posto di classe! I
facchini si aspettano delle mance per ciò che fanno!
- Non glielo pagano, lo
stipendio?
- Sì! Ma è così che funziona ed è
così che faremo!
Rimase col costume tra le mani,
mentre l’altra s’impegnava a non guardarla, non riuscendo a nascondere il
disagio che provava.
– E vestiti... – fece.
Venti minuti dopo affondavano i
piedi nella sabbia candida e bollente della spiaggia dell’albergo. Il profumo
del mare veniva trasportato dalla brezza che baciava i loro visi, portando
fresco e salsedine. Sapphire camminava alle spalle di una Petra perfetta e
sorridente, con indosso il suo bikini bianco, lo stesso cappello e gli stessi
occhiali che indossava precedentemente e una lunga camicia bianca.
- Rudi! Siamo qui! – urlò,
agitando la mano e voltandosi verso l’altra, che cominciò a sistemare le
proprie cose su di uno dei lettini liberi. Il mare quel giorno era calmissimo e
il Capopalestra di Bluruvia dovette limitare la propria voglia di surfare, sfruttando
quel tempo libero per fare un po’ di manutenzione della tavola a riva,
inginocchiato sul bagnasciuga. Sentendosi chiamare si voltò subito, sorridendo
e alzandosi in piedi.
- Ci ha viste... smetti di
agitare quella mano...
- Oh, mamma...
L’uomo prese ad avvicinarsi
sorridente, affondando i piedi nella sabbia e tirando i capelli celesti
all’indietro. Questi, ricci com’erano, ricadevano lunghi sulle spalle
abbronzate.
- Ragazze. Ce l’avete fatta, alla
fine. – fece, mostrando un sorriso smagliante.
- Sì, siamo qui... – disse Petra,
cercando di nascondere dietro agli occhiali scuri lo sguardo che stava dando ai
pettorali e all’addome tonico del collega dal bermuda blu.
- Spero non vi siate perse tra i
vicoli...
- Non è stato difficile, no. –
rispose ancora quella, aderendo col corpo sul suo in quello che doveva essere
un abbraccio di saluto. Sapphire vide le mani di Rudi cingere la vita stretta
dell’altra, quindi sbuffò.
- Sei bagnato! – esclamò quella,
ridendo. – L’acqua è fredda.
- Oggi è meravigliosa. E c’è
anche Sapphire! Mi fa piacere vederti! – disse poi quello, avvicinandosi e
salutandola con lo stesso abbraccio. La donna fu meno affettuosa e si staccò
subito dalla stretta.
- Anche a me. Vado direttamente
in acqua.
E lasciò entrambi lì, camminando
inesorabile fino a quando l’acqua non le raggiunse il collo. Quelli si
guardarono confusi.
- Ancora non l’ha superata, eh? –
domandò l’uomo.
- No. È il motivo per cui siamo
qui: rilassarci e dimenticare Ruby.
- È molto più strana del solito.
Petra levò gli occhiali e li
poggiò sulla sua sdraio.
- Se non sbraita e urla volgarità
a casaccio è più strana del solito, sì.
Rudi ridacchiò.
- Beh... spero riesca a trovare
un po’ di pace, qui...
- Oh... – ribatté l’altra. – Lo
spero anche io.
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