Lo Scrigno Blu
L'odore dell'erba bagnata penetrava nel naso di Gold, inondandogli i polmoni di aria fresca.
Il respiro che usciva fuori era inquinato da qualcosa di caldo e malvagio, il probabile residuo dell'attacco Maledizione che aveva subito.
Non aveva voglia di scherzare né di ridere, anche perché in quel momento l'aria era piuttosto pesante.
Affondava le Adidas nell'erba, sentiva i piedi bagnarsi ad ogni passo, mentre la pioggia cadeva inesorabile su di loro. Il fruscio dei loro movimenti tra quei fili verdi raggiungeva le loro orecchie in maniera sorda, senza distrarli dal loro obiettivo.
Ogni tanto il vento soffiava sui loro corpi bagnati, pungendoli con brividi di freddo e ricordandogli che pochi giorni dopo sarebbe arrivato il Natale.
Marina camminava silenziosa accanto a lui, concentrata.
"Dobbiamo raggiungere Forestopoli." Aveva fatto, appena abbandonata casa di Ester.
"Conosci la strada?"
"Certo."
"Allora guida tu."
E fu così che i due presero a viaggiare verso la città costruita nei tronchi.
Marina camminava davanti, le gambe sottili avanzavano coraggiose nell'erba alta. Gold osservava la sua figura, tanto esile quanto sicura e veloce.
Ancheggiava elegantemente e manco se ne rendeva conto mentre girava il collo in direzione delle praterie aperte.
In lontananza un cartello spiegava che il Pokémon Safari era chiuso per motivi tecnici; i terremoti erano la causa più che ovvia per spiegare quel fatto.
“Cos'è quello?” chiese Gold.
“Quello?” Marina puntò il dito verso la grande montagna che avevano davanti prima di vedere il moro annuire. “Quello è il Monte Pira. Un enorme cimitero.”
“È un cimitero o una montagna?”
“Entrambi...”
“Qui ad Hoenn hanno tanto spazio... Avrebbero potuto lasciare la montagna a fare la montagna, e creare un cimitero da qualche parte, in qualche città buia e tetra...”
“Dovresti stare lontano dai cimiteri... Quel ciondolo imprigiona i... i fantasmi, credo...”
“Non dire assurdità.” Gold le diede una spintarella alla testa.
“Non so come facciano Silver e Crystal a sopportarti.”
“Non solo mi sopportano; loro mi adorano. Letteralmente.”
“A proposito... Ho parlato con loro, mentre... mentre eri... ecco...”
“Morto?”
“Non sei morto.”
“Oh, certo che sono morto. Ad un certo punto un branco di angeli biondi sono venuti a prendermi. Avevano tette enormi e...”
“Sai pensare solo a quello?”
“Aspetta... Hai detto che hai parlato con Crystal e Silver?!”
“In realtà ho parlato col mio collega, Martino... ma Crystal si è immischiata nella discussione, preoccupata per te.”
“Potrei...” all'improvviso il ragazzo si adombrò.
“Cosa?”
“Potrei... potrei chiamarla? Ho provato prima, ma qui i Pokégear sembrano non andare...”
“A Johto magari quella cosa avrebbe funzionato, dieci anni fa... oggi si usa l'Holovox.”
“Holocosa?!”
“Ecco. Tieni...”
Marina consegnò l'Holovox a Gold, e sorrise, impostando la chiamata per Martino.
Una luce blu s'eresse davanti a loro, lasciando il ragazzo interdetto. Quindi un rumore intermittente precedette l'improvvisa trasmissione.
Gold guardò con interesse la figura di Martino, che fissò l'interlocutore con altrettanto stupore, aspettandosi la collega.
“E tu chi saresti?” chiese Gold, con tono arrogante.
“Tu mi chiami e mi chiedi chi sono? Perchè hai l'Holovox di Marina, Gold? L'hai rubato?”
“Io non sono un ladro.”
“Ne parliamo dopo... Che diamine vuoi?”
Gold sospirò e poi guardò Marina. “Chi cazzo è questo nano blu? È un puffo?”
Marina sorrise. “La comunicazione dell'Holovox rende tutto azzurro, non è un puffo. Lui è Martino, il mio collega.”
“Che nome da checca.”
“Fanculo teppista!” esclamò quello dall'altra parte della linea.
“Fanculo tu! Voglio parlare con Crystal!”
“Uff... Chris! C'è qualcuno per te in comunicazione Holovox!”
Strani rumori di fondo si alternarono, mentre l'immagine trasmessa pareva disturbata.
Almeno fin quando il volto delicato di Crystal si presentò davanti ai suoi occhi.
Marina vide Gold sorridere con sincerità. I suoi occhi presero una linea più dolce.
“Hey...” fece lui.
“Ciao... Stai bene?”. La voce di Crystal era delicata e liscia, come una sciarpa di seta.
“Mai stato meglio. Lo sai... Sono una roccia.” Fece tronfio quello.
“Mi fa piacere. Mi hanno detto che sei stato colpito da un Pokémon.”
“Niente che la mia pellaccia dura non possa sopportare, lo sai bene... Ti trovo meravigliosamente. Aristarco de Ebetis dov’è?”
“Chi?!”
“Silver...”
“È... qui.”
“Passamelo.” sorrise entusiasta Gold.
“Non penso che ora... ecco...”
“Chris... Tutto bene?”
“Sì, sì, tutto a posto.”
“E allora?”
“E allora niente. Dove siete?”
“Monte Pira. La montagna cimitero. Una frana e tutte le salme cadono giù.”
Crystal sorrise. “Che brutta scena. Sei sempre il solito.”
“Perché dovrei cambiare? Allora ci vediamo a Forestopoli?”
“Sì... Noi siamo poco fuori Porto Selcepoli”
“Non ho la minima idea di dove sia.”
“Non ne avevo dubbi. Comunque siamo abbastanza lontani. Qualche giorno di cammino, forse meno se ci impegniamo.”
“Chi è il tizio che ha risposto?”
“Martino? È un Pokémon Ranger. Ci sta aiutando.”
“Trovato Groudon?”
“Non ne parliamo...” E poi in sottofondo si sentì la voce di Silver chiedere con chi parlasse.
“Devo andare!” esclamò agitando il braccio.
Gold rimase stranito, poi sbuffò e sorrise.
“Fa freddo.” Osservò Marina.
“Non c’entra niente ora.”
“Ci sta piovendo addosso, un po’ c’entra. Siamo fermi da troppo. Avanziamo?”
Gold alzò la testa; il cielo era tutt'altro che terso in quel momento e la pioggia continuava a scendere, creando piccole pozzanghere negli sporadici punti in cui l'erba alta non sovrastava il terreno. Piccoli crepitii venivano prodotti dalla caduta delle gocce, fredde sulla pelle come spilli congelati.
In quel concerto dove la pioggia era la sola compositrice e cantante, un urlo improvviso si espanse tutt'intorno, riverberando nell'eco in lungo ed in largo.
Gold si girò rapido verso la ragazza, quindi alzò il volto: la pioggia baciava il suo viso e gli costringeva a chiudere le pepite che aveva al posto degli occhi ma fu più che sicuro che quell'urlo, femminile, provenisse dalla sommità della montagna.
“Dobbiamo andare a vedere cos'è successo!” esclamò, prendendo a correre velocemente verso il molo poco lontano da lì.
Marina annuì, sospirando. Quel ragazzo era troppo vulcanico per i suoi ritmi.
“Aspettami!”
Porto Selcepoli non esisteva più. La grossa onda non aveva risparmiato la città di mare.
Fiammetta, che era l’unica ad aver vissuto quelle città più degli altri, guardava la scena impietosita. Si trovavano al bivio che portava al Percorso 103, proprio davanti la Quizzoteca, che però era crollata in seguito a qualche terremoto: il tetto era collassato ed una grossa trave in legno era in bella vista.
Pochi metri davanti a loro il mare si tuffava sull’erba, la stessa che calpestavano loro. L’orizzonte si era esteso, la foresta che avevano attorno era stata affondata e solo le cime degli alberi più alti facevano compagnia a ciò che restava dei palazzi della città e del faro, crollato per una metà. Si riuscivano a vedere nidi di Pelipper costruiti proprio nella sala della lampada, ormai distrutta dall’impatto con un’enorme onda di rimando.
Fiammetta sospirò, portando una mano al fianco. Abbassò la testa, sconfitta nuovamente da quelle situazioni e poi si voltò, riprendendo a camminare.
Il rumore del mare, quello delle onde e dei Pokémon d’acqua, la brezza che avanzava dal mare aperto, tutto sottolineava quel colpevole silenzio da parte dei ragazzi.
Corpi morti danzavano armoniosamente sulla superficie dell’acqua. Molti altri, ed i giovani ne erano consapevoli, erano stati divorati dagli Sharpedo e dagli Huntail, oppure erano rimasti intrappolati in quello scrigno azzurro, guardando la luce del sole avvicendarsi con il chiarore della luna.
“Fiammetta...” Crystal le corse dietro, mettendole una mano sulla spalla. Quella si fermò.
“Che c’è?”
“Che succede?”
Si girò, mostrando il viso impallidito. Umettò le labbra prima di parlare quindi deglutì quella che gli parve essere sabbia e polvere di ferro.
“Quando ero piccola, venivo spesso in vacanza qui... Porto Selcepoli e Cuordilava non erano così distanti...”
“Ora sono sommersi rispettivamente dal mare e dalla lava” puntualizzò Martino, ottenendo un’occhiata totalmente neutra da parte dell’ex Capopalestra.
“... Mio nonno portava me e mia madre in un ostello poco lontano dal mare. Da dov’era allora almeno... E ricordo che c’era un grosso mercato... proprio lì.” Fece, prima di alzare l’indice puntuto verso una zona indefinita accanto al campanile, battuto dalle onde. “... proprio lì c’era un grande mercato. Alle prime luci dell’alba mio nonno mi svegliava, e scendevamo nella piazza del paese. C’erano parecchie persone per la strada a quell’ora. Nonostante fosse estate faceva fresco, e quindi mettevo sempre uno scalda cuore bianco, di filo. Lo ricordo come fosse ieri... Alcuni Pokémon correvano tra le casse che i marinai scaricavano dalle grandi navi che attraccavano al porto. Ricordo il fumo nero dei loro sfiati. Camminavamo su quelle mattonelle, le ricordo ancora bene, come se fosse stato ieri: erano di pietra, e dei cerchi concentrici venivano attraversati da due linee verticali.”
“Servono a scolare l’acqua” aggiunse Silver.
“Già. Il mercato era poco lontano dal porto. C’erano persone di tutti i tipi. Ricordo che un giorno un ladruncolo, un ragazzino o poco più, mi rubò la Pokéball di quello che allora era il mio Numel. Piansi tantissimo e lui, mosso a pietà, me la restituì e mi chiese scusa. E poi c’erano i mercanti...”
Crystal annuiva, vide Fiammetta sedersi su di una roccia, ignara del tempo che scorreva inesorabile. La cosa la colmava d’ansia, la infastidiva.
“...i mercanti erano tutti altissimi. Ricordo uno che vendeva le bambole... Il nonno scelse per me la bambola di un Torchic, e da allora mi impegnai a diventare un’Allenatrice di Pokémon di tipo Fuoco, proprio come lui. In ogni caso rimasi affascinata dai mercanti che preparavano il riso con il pesce... i Magikarp pescati venivano cucinati sulla griglia... gli Octillery pure. Una signora faceva delle polpettine con il riso ed un tentacolo, ed io ne andavo matta. Chiedevo alla mamma di cucinarmele anche a casa, ma non riusciva mai nel farle così buone...”
Silver sospirò quindi vide Fiammetta abbassare il volto, incrociando le dita davanti ad esso, una maschera la proteggeva dal mondo. Ammirava la sua caparbietà, il suo spirito di sopravvivenza. Già il fatto che fosse sopravvissuta all’eruzione del Monte Camino la diceva lunga. Rabbrividì pensando a quando si era fiondata in casa a salvare Jarica, la sua piccola sorellina.
La sua forza d’anima non l’aveva abbandonata nemmeno quando aveva deposto le medaglie ed il tesserino della Lega, ed aveva abdicato dal posto di Capopalestra di Cuordilava. Le sue sicurezze venivano a mancare lentamente sotto i suoi piedi, distrutte dai terremoti mentali e pratici che avvenivano.
Cuordilava, che era il suo presente, era stata sommersa dalla lava. Porto Selcepoli invece era il suo passato, e non c’era speranza di poter recuperare nulla che non fosse sulla cima del faro, dove invano il meccanismo continuava a girare, senza alcuna lampada.
Tuttavia lottava per il suo futuro. La tenacia era la sua forza.
Meritava. Meritava tanto.
Le si avvicinò e le tese la mano. Quella lo guardò, gli occhi nascosti dalle mani, quindi scoprì il volto ed afferrò la presa. Lui la fece alzare e poi l’abbracciò.
“Si sistemerà tutto. L’importante è chiudere questa situazione. Andiamo a Forestopoli ed incontriamo Gold con l’altro Ranger...”
“Marina” puntualizzò Martino.
“Sicuramente l’unione farà la forza.” Concluse il fulvo.
“Marina... Hai detto di chiamarti Marina, vero? Beh, non avrei mai preso l’iniziativa di scendere in mare con questo tempo se una bella giovane come te non me l’avesse chiesto.”
La voce di Marius, ex soldato del Reggimento Miraggio, storica unità di Marina di Hoenn, era roca. Graffiava il respiro sulla gola, faceva quasi rabbrividire, ma contando ch’era quasi sulla settantina gli venivano giustificate un po’ di cosette.
Come ad esempio la sua ammirazione per le belle ragazze.
“La ringrazio, signor Marius”
Gold sedeva, scomposto come sempre, su di una panca inchiodata al ponte della “Latias”, una piccola imbarcazione in legno, a motore, con posto sottocoperta e stiva. Marina era in piedi accanto al capitano della barca, che stringeva con forza il timone. La ragazza era costretta a mantenersi forte ai pali di sorreggimento. Difatti il mare era agitatissimo e costringeva l’imbarcazione a profonde oscillazioni.
“Ma non dirlo nemmeno per scherzo. Le belle ragazze come te devono sempre avere qualcuno su cui far affidamento.”
Gold, alle loro spalle, gli faceva il verso, sorridendo nel notare il profondo imbarazzo della ragazza. Fissò per un attimo il vecchio; era strano: aveva le spalle larghe, forti di un passato glorioso di chi ha sudato e si è dato da fare. La sua pancia era gonfia, una sfera quasi perfetta che si trovava sotto la camicia a righe azzurra e blu, macchiata qui e lì da aloni gialli, più o meno carichi.
Gli occhi azzurri risaltavano sotto le folte sopracciglia candide.
Bianca era pure la lunga barba, come anche i pochi capelli che gli rimanevano, tirati all’indietro ed acconciati con del gel.
“La ringrazio ancora. Senza di lei sarebbe stato difficile raggiungere il l’ingresso del Monte Pira”
“Non cantiamo vittoria così in fretta. Le acque attorno al Monte Pira sono ricche di forti correnti e mulinelli... Ma io e la mia Latias abbiamo attraversato questi mari così tante volte che sappiamo tutte le manovre da fare.”
“Lei è un marinaio esperto.”
“Già. Ma ora sta cominciando a piovere più forte ed il mare è in burrasca. Vai a sederti vicino al tuo amico, lì. E mantenetevi bene.”
Marina eseguì, mentre vedeva il cielo sporcato da nuvole nere e furiose, cariche d’acqua. Gold guardava silenziosamente il sacchettino che aveva al collo.
“Forse è meglio che lo metti nella maglietta. Non devi rischiare di perderlo.” Fece Marina.
“Già. Forse è meglio. Come stai?” Gold girò il volto lentamente dopo aver ascoltato il consiglio. Un piccolo rigonfiamento ora si trovava proprio sul suo cuore.
“Sto bene… Ma sono preoccupata per quell’urlo che abbiamo sentito.”
“Non c’era metodo più veloce per salire lì. Non salirò più su di un Pokémon Volante durante una tempesta. Credo.”
Marina sorrise. “Lo hai già fatto?”
“Sì. L’altro ieri, contro Zapdos.”
Marina annuì, sorridendo. “Wow…”
“Modestamente, Green non sarebbe mai riuscito a salvare Lavandonia senza il mio aiuto.”
“Immagino…”
“Non mi credi?!”
“Certo che ti credo.”
Gold sorrise. “Non sei malaccio, sai?”
“Tu invece sei il peggiore” inarcò un sopracciglio lei.
“Sei in gamba. Ho sempre creduto che i Ranger non fossero altro che la serie B della Federazione Pokémon.”
“Rispetto a quale standard, prego?”
“Gli allenatori, ovviamente.”
“Dalle nostre parti gli allenatori non sono ben visti. Intrappolare i Pokémon nelle sfere è crudele.”
“Questi Pokémon intrappolati, come dici tu, sono dei campioni.”
“Immagino…” sorrise lei.
“Non puoi fare un paragone, in nessun modo. Questi non sono strumenti per il mio successo personale. Insieme abbiamo intrapreso un viaggio! Loro sono miei amici! Tu invece devi prendere ogni giorno un Pokémon nuovo...”
“Proprio come fai tu con le ragazze”
“Io sono il Ranger delle sgrille.” Rise Gold.
“Cosa diamine sarebbe una sgrilla?!”
“Una tipa.”
“Una... tipa...” Annuiva avvilita Marina.
“Smettila. Non capisco perché ti stia così antipatico. Io sono simpatico a tutti.”
“I cretini non mi stanno simpatici.”
“Quindi non ti sta simpatico nemmeno quel Ranger che mi ha risposto, giusto? Quello era un vero cretino.”
“Non mi sta antipatico. Lui è un Ranger, e nessun Ranger è cretino.”
“Voi due siete la classica eccezione che conferma la regola, suppongo.”
“Fanculo.” S’imbronciò la ragazza, sconfitta. Gold sorrise e la tirò a sé, e la strinse in un abbraccio.
La pioggia continuava a cadere tutt’attorno a loro, e mentre Marius cantava una strana canzone su di un mostro marino che inghiottiva le navi, gli occhi di Marina si chiusero dolcemente.
Gold sentiva il respiro della ragazza diventare più pesante, poco a poco, mentre adagiava il volto sul petto del ragazzo.
Marius si girò, li vide e sorrise, facendogli l’occhiolino. Gold sorrise. “Vecchio marpione...”
“Come?” chiese Marina, con voce compressa e gli occhi ancora chiusi.
“Niente. Hai sonno?”
“No... Riposo gli occhi...”
E poi un altro urlo si espanse forte dalla vetta del Monte Pira.
Marina spalancò gli occhi, velocemente. Marius si voltò a guardare i ragazzi, Gold era già in piedi, sotto la pioggia, cercando di guardare per bene cosa stesse succedendo lì.
“Vedo una luce rossa.” Fece.
Marina si alzò, seguendolo lentamente. Abbassò gli occhialini sul volto e mise a fuoco.
“Marius, le chiedo la gentilezza di accelerare un po’. Sta succedendo qualcosa lì sopra, qualcuno è in pericolo.”
“Ma così facendo metteremmo in pericolo noi... Dobbiamo viaggiare lentamente altrimenti i mulinelli ci inghiottiranno.”
“Porca puttana!” urlò Gold, tirando un pugno alla balaustra, producendo un tonfo sordo. “Lì qualcosa o qualcuno sta facendo del male a delle persone!”
“... Beh... Suppongo che possa provarci...” sussurrò più a se stesso che agli altri due il vecchio marinaio. Andò verso il timone e lo afferrò con decisione, quindi sospirò.
“Possiamo farcela, piccola mia.” Alzò una leva ed il motore prese a lavorare con più giri; di conseguenza l’imbarcazione accelerò. Gold guardò Marina per un attimo, prima di voltarsi a guardare il mare in burrasca: il volto della ragazza era contrito, teso; la determinazione nei suoi occhi, però, la teneva viva.
In quel momento avrebbe voluto starsene un po’ al caldo, per i fatti propri a giocare. Magari giocare un po’ a GTA oppure a parlare un po’ con Yellow. C’era da fare quel che si doveva fare, e questa responsabilità, che lui aveva preso più come una sfida che altro, lo stava caricando.
Avrebbe saputo cosa stava succedendo sulla cima del Monte Pira.
Tuttavia sarebbe stato utile conoscere anche cosa fosse quell’ombra gigantesca sotto la barca.
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