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Frammenti - Shot 3 - Andy Black

Frammenti.
Pezzi dissoluti di una vita che c'è. Ricordi e pensieri sciolti come ghiaccio.
Vite parallele così simili, frantumatesi alle origini, ma ancora perfettamente combacianti.
Frammenti di vita.



 
 
Paura e Solitudine
Di cosa ho paura? Non lo so. Da piccolo avevo paura dei clown. E degli insetti. Sì, non ero un bambino normale. D’altronde nemmeno ora non sono un ragazzo normale, a partire da questa strana logorrea e dalla mia passione per circuiti elettrici con cacciaviti e chiodini annessi. No, non faccio l’elettricista, lasciamo perdere, faccio l’inventore. Tuttavia mi piace il modo in cui l’energia elettrica possa “donare la vita” a qualcosa. È speciale come cosa, e realizzare ciò che s’immagina lo è ancora di più. Ma ora perché sto parlando di ciò? Cosa mi aveva chiesto?”
Le sue paure.”

Mi dia del tu, sono giovane, le ho già detto che ho venticinque anni. In ogni caso credo di avere due paure, fondamentalmente; una è rimanere solo. La solitudine mi spezza, mi terrorizza. Non perché ci sia qualche mostro sotto al letto, cose così, so che se non esci dal perimetro del materasso non possono farti niente. No, è più una questione di mentalità. Pensare che qualcuno possa abbandonarmi, quello mi sconvolge.”

E l’altra?”

Cosa, l’altra?”

L’altra paura. Mi ha detto di avere due paure.”

Beh... L’altra è la paura del buio. Ma tutti hanno paura di ciò che non si può vedere”



Xavier uscì dalla doccia. Casa sua era buia, e l’inverno si era letteralmente appropriato di Amarantopoli. Un mese prima, a quell’ora, il sole era ancora alto nel cielo, mentre la luna ora risplendeva pallida nel cielo blu.
Non c’erano nuvole, non pioveva, ma quel mattino la neve era scesa copiosa.
Ecco spiegato il perché di quella doccia calda. Riscaldarsi un po’ dopo aver spalato il vialetto, per esempio, ed anche per ritemprarsi dopo una giornata passata in laboratorio.
La macchina del tempo: era quello l’aggeggio su cui Xavier si stava applicando tanto in quei mesi. Era quasi arrivato alla conclusione del progetto, ma mancava qualcosa, e non riusciva a capire cosa. Sicuramente il problema stava nella parte che abbracciava il lato fisico della situazione; come si poteva viaggiare nel tempo? Questa era la domanda.
Sostanzialmente non era impossibile. Celebi ci riusciva, e aveva sentito anche di un particolare Pokémon a Sinnoh, in quella lontana regione ad ovest.
Si ritrovava davanti allo specchio, ora, con i capelli bagnati e alcune goccioline che gli pendevano dal viso, pronte a tuffarsi giù.
Pronte a saltare.
Guardò l’ora, quindi sospirò. Aveva passato l’intera mattinata lavorando su quel progetto, snobbando le piccole commissioni che doveva sbrigare.
Sarebbe dovuto passare a comprare qualcosa da mettere sotto i denti, il frigorifero sventolava bandiera bianca.
Aveva anche voglia di un aperitivo, un bel ginger. D’inverno gli saliva la voglia di avere un po’ di vita sociale, mentre d’estate cercava di lavorare quanto più era possibile.
Cominciò ad asciugarsi, e intanto pensava che le richieste erano diminuite parecchio: si guadagnava da vivere brevettando strumenti per conto di altri, prendendo il cinquanta percento dell’eventuale quota di vendita futura. Gli erano bastate un paio d’intuizioni geniali, da parte dell’ideatore del brevetto naturalmente, e con questo tipo d’accordo era diventato abbastanza abbiente. Non si faceva mancare nulla, soprattutto in ambito lavorativo, dove era passato da semplici attrezzi manuali alla più sofisticata strumentazione marcata Omega Group.
Riconosceva a se stesso che avrebbe potuto impegnarsi nella realizzazione di prodotti innovativi senza abbisognarsi delle idee di nessuno, ma la produzione di quella speciale macchina del tempo lo aveva letteralmente assorbito, annullando ogni altro tentativo da parte del suo cervello di diversificare le sue attività.
La sua conoscenza e la sua capacità di ridurre l’errore, oltre ad un’ampia abilità nell’utilizzo degli strumenti lo avevano portato a diventare il migliore, nonostante la giovane età: appena venticinque anni.
Asciugò ancora una volta il viso e mise a fuoco quello che era diventato. La sua attenzione, come ogni volta che si trovava nudo, veniva focalizzata sul fianco.
Lì aveva deciso di farsi fare un piccolo tatuaggio, un ideogramma giapponese:



 


 
Significava neve, proprio come Yuki, il nome della donna che lo aveva salvato quand’era un bambino. Una lama fredda gli trapassò il torace.
Un semplice brivido di freddo, niente di più, ma ancora una volta i fantasmi lo stavano tenendo chiuso in quelle fredde mura.
Scosse la testa, spense la luce e si immerse nel corridoio buio, dove la notte e le ombre si univano in un unico manto nero.
Camminava in quel dedalo di stanze vuote, inutili dato che viveva da solo, intanto raggiungeva la sua stanza mentre soltanto qualche debole filo di luce raggiungeva il suo sguardo attraverso la finestra di una stanza la cui porta era rimasta aperta.
Sentiva nella testa quelle urla, il colpo di pistola, la voce di quel grande uomo dai capelli rossi, il pianto delle donne, i Pokémon che abbaiavano.
Sentiva lo stesso freddo, sentiva nel naso l’odore di umido e di muffa della cantina dove da piccolo aveva assistito a quello scempio.
Vedeva nel buio davanti a sé il volto sconvolto dal pianto di Yuki; vedeva i suoi capelli sciolti a metà, il cerone segnato dalle lacrime, a formare lunghi canali neri per via del trucco, che si accumulava sul mento.
Cadevano, quelle gocce, formavano lunghe pozzanghere nere. Xavier sentiva i propri passi affondare in quella melma nera, così densa e profonda che in poco tempo la sentì al collo. Il respiro cominciò ad aumentare, i battiti pure, gli occhi si muovevano freneticamente, cercando un appiglio della realtà.
Sapeva, Xavier, che avrebbe dovuto camminare più veloce, addirittura correre, per scampare dai suoi fantasmi. Essi sembravano seguirlo, tirarlo per una spalla, soffiargli dentro aliti gelati e ricordi di un passato che poi tanto passato non era.
Sentiva la mano dei ricordi tirarlo indietro, affondargli le unghie nella carne e mettergli l’altra mano davanti alla bocca, annullando qualsiasi tentativo di urlare. Stava per fermarsi, intanto i suoi occhi guardavano Yuki piangere ancora, stringere i denti sul labbro inferiore, intaccarlo.
Ferirlo.
Poi Xavier sospirò, ed accese la luce della sua stanza.
Tutto scomparve, aria fresca entrò nei suoi polmoni e poté mettere a fuoco ciò che aveva davanti: la sua disordinatissima stanza, e le vene sugli avambracci ingrossate per via dei pugni stretti con forza.

Si vestì ed uscì. Lasciò i capelli biondi spettinati, come sempre del resto. Chiuse il trench lungo dopo appena un minuto di cammino sui marciapiedi bagnati. Di tanto in tanto passava qualche automobile che illuminava il suo viso per brevi istanti. La sera era già scesa e la piazza centrale, a poche centinaia di metri, era gremita di folla.
Lì c’era più luce, i negozi erano aperti, i bar lavoravano, in piazza i giovani ridevano e scherzavano.
Entrò da Harold’s, proprio come faceva ogni volta che andava nel centro di Amarantopoli. Quel posto era un semplice bar, con arredamenti un tantino demodé, ma con il cibo migliore di tutta Johto.
E poi c’era Cindy a servire ai tavoli.
La vedeva, nella sua divisa stretta, polo bianca e gonnellina a balze, calze trasparenti per il freddo anche se lì dentro la temperatura era buona.
Camminava velocemente con un vassoio in mano, sorrideva, un po’ forzatamente forse, ma non sembrava contrariata.
Era lì, e le piaceva essere lì.
I capelli erano acconciati in una pratica coda, dietro la testa, che metteva in risalto la forma del viso, così morbido e delicato.
Gli occhi azzurri incrociarono quelli del ragazzo, e si illuminarono.
“Xavier. Ciao.” Sorrise lei, andandogli incontro. Gli diede un bacio sulla guancia, quindi scappò, continuando a fare quello che faceva. Lui si sedette al solito tavolino, quello accanto al finestrone.
Aveva la fortuna di trovarlo sempre libero. Da lì riusciva a vedere la piazza di Amarantopoli, con stralci delle due torri e della palestra di Angelo.
Sospirò non appena mise a fuoco quel posto tetro e lugubre. Subito dopo Cindy gli si avvicinò, poggiando sul suo tavolo due menù.
“Mi siederei volentieri, scambierei quattro chiacchiere con te se avessi il tempo, lo sai. Ma purtroppo c’è così tanto da fare qui...”
“Tranquilla. Fa’ quello che devi. Puoi già portarmi dei pancake.”
“Sciroppo d’acero?”
Xavier annuì e la vide sorridere. Il ragazzo scaldò il suo cuore solamente con uno sguardo. Erano passati gli anni ma la sua passione per quella ragazza non era mai scemata.
Non sapeva cosa diamine fosse a bloccarlo, non riusciva a capire per quale motivo non riuscisse ad alzarsi, a prenderla per la vita e a tirarla a sé. Rimaneva fermo a fissarla nella sua splendida grazia, mentre sorrideva per finta a clienti abituali e a totali sconosciuti.
E ad Angelo.
“Che diamine ci fa Angelo qui?” chiese a se stesso l’inventore. Cindy sorrideva ed arrossiva mentre il Capopalestra la guardava con occhi profondi.
Era un uomo decisamente attraente, Xavier stesso avrebbe potuto ammetterlo: I ciuffi biondi che uscivano dalla bandana che aveva sulla fronte gli coprivano in parte lo sguardo.
Gli occhi penetranti di Angelo erano di un viola brillante. La pelle era diafana, le labbra ben definite sotto il naso delicato. I lineamenti poco marcati del volto ne aumentavano la grazia e la bellezza.
Xavier riteneva Angelo ridicolo per via di quella bandana.
“Manco nascondesse il terzo occhio. Tensing.” Ripeteva spesso Xavier, sollecitato dal suo amico Lars, le sporadiche volte che lo vedeva.


“Sfotterlo tuttavia non serviva a nulla, stava spogliando con gli occhi Cindy e lei pareva starci.”

“E come si sente al riguardo?”

“Secondo lei come mi sento al riguardo?”


Xavier era rimasto per un’ora a fissare Angelo che sorrideva a mezza bocca alla donna di cui era profondamente innamorato.
Si chiedeva per quale dannatissimo motivo non si alzasse e andasse da lei, la reclamasse come sua, le piantasse le mani sui fianchi e la baciasse.
Invece, apatico, fissò Angelo sorriderle e lasciarle il numero di telefono, per poi andare via.
Cindy era estasiata da quell’avvenimento, e quasi saltellava per il locale, che intanto si era lentamente svuotato.
Poi guardò Xavier, con il collo allungato verso destra, osservava qualcosa in piazza. Gli si avvicinò come un tornado e si sedette accanto a lui, scuotendolo, facendo voltare una strana ragazza dai capelli neri con le punte azzurre, al tavolo prima del suo. Questa aveva un occhio nero ed uno azzurro.
“Il numero! Xavier! Il numero!”
“Sì. Il numero.” Faceva quello, senza voltarsi e guardarla.
“Il numero! Andiamo! Angelo mi ha lasciato il suo numero!”
Xavier si voltò e la guardò.
“Brava.”
“Ma... Tu avevi ordinato qualcosa?”
“Un’ora fa. Sì. Ma ora non fa niente.”
“No ma...”
“Non fa niente.”

 

“Mi alzai e me ne andai. Sinceramente non mi interessava più nulla. I due si sono sposati, a quanto so lei ha abortito perché lui non voleva avere figli. Lui è... tenebroso... Anche un po’ coglione effettivamente. Sta di fatto che non ho più visto Cindy da quel giorno.”

“E questo che attinenza avrebbe con la paura?”

“Beh, le ho detto che ho paura del buio. Non le basta?”

“Avrei voluto che mi contestualizzasse la sua paura del buio.”

“Cielo, Signor... Non mi ricordo il nome. Com’è che si chiama?”

“Ambrose. Sono il Dottor Ambrose, Signor Solomon.”

“Sì, mi scusi. In ogni caso non mi serve contestualizzare una cosa del genere. Si ha paura del buio anche per i semplici incubi...”

“Quindi crede che possa essere irrazionale la sua paura del buio?”

“Certamente.”

“Oh... Ok. Ma allora perché mi ha parlato della situazione con Cindy e Angelo?”

 
“Perché da allora è sceso il buio.”
 

Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Tipo adesso.
Terzo frammento della vita di Xavier. Il prossimo sarà ufficialmente l'ultimo, forse lo implementerò con un quinto. Mi permetto di ringraziare chiunque abbia letto e recensito sia i precedenti capitolo che quelli degli altri membri dei Soulwriters, ovvero Auranera_, Barks, beatlemania is back_, Levyan e Son of Mumford, il seguito c'è stato ed i vostri commenti sono stati molto graditi.
In ogni caso anche questo mese ci sarà un'uscita ogni cinque giorni, quindi:
Barks uscirà con il proprio frammento il 6 Ottobre.
Sicuramente ci sarà quello di _beatlemania is back. Tipo l'11.
Snobbate pure, quella di Son of Mumford. Il 16 guardate una bella cosa in televisione.
Levyan invece uscirà il 21.
Auranera_ si farà gli affari propri, ma pubblicherà tipo il 26.

 

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