Paura
“Frammenti. Le nostre anime non sono altro che frammenti del grande Fuoco Primordiale. Nasciamo come scintille, viviamo come incendi, moriamo come cenere. La nostra vita è una breve fiamma destinata a spegnersi, lasciando distruzione dietro di sé.”
“Perché abbiamo paura del buio? Ve lo siete mai chiesto? È una delle tante paure incondizionate che si hanno fin dalla nascita e, spesso, ci accompagna per molti anni, se non per tutta la vita. Può sembrare ridicolo correre per le scale dopo aver spento la luce, o coprirsi fin sopra la testa con le coperte e non mettere un solo dito fuori dal letto per essere immuni ai mostri della nostra mente. Ma in realtà non si parla di mostri immaginari, altrimenti crescendo questa paura verrebbe meno. Invece nella maggior parte dei casi essa si ripresenta più e più volte, anche quando si è adulti, riuscendo a tormentarci in alcune situazioni.
Questo perché l’essere umano ha paura di qualsiasi cosa impossibile da conoscere ed analizzare attraverso i sensi, ed il buio fa parte di questa categoria.
Ciò perché la nostra vista non riesce a penetrare a fondo nell’oscurità, eliminando la nostra parte razionale, e liberando la fantasia, che ci si rivolta contro, provocandoci questa paura incontrollabile.
Tutto questo avviene per il semplice motivo che l’uomo ha paura della morte, la sola cosa certa della nostra vita, ed ha quindi paura di ciò che si ricollega ad essa.
Il buio, l’oblio, le tenebre, ne fanno parte. Per questo l’uomo ne ha paura, perché il buio fa inevitabilmente pensare all’oscurità e alla morte, creando in noi l’amaro disagio che sentiamo restando al buio da soli per troppo tempo, mentre la mente ci gioca brutti scherzi. L’unico modo per sopravvivere a questa paura è avere un compagno al proprio fianco che ravvivi continuamente la fiamma della speranza, creando un falò nell’oscurità”
C’era troppo silenzio. Nonostante fosse un tipo amante della calma e tranquillità, quello era troppo anche per lui.
Si era trattenuto in ufficio più del previsto ed ora se ne pentiva.
Aveva perso troppo tempo, ed anche l’ultimo autobus era passato, ora le uniche due scelte erano farsi venti chilometri a piedi oppure venti minuti di metro. A malincuore scelse la seconda.
Zeno attraversò la strada lasciandosi il Centro Globale alle spalle, si stava dirigendo verso l’entrata della metropolitana. Raggiunse il binario che l’avrebbe riportato al suo appartamento, guardò la tabella con i vari orari e vide che il prossimo treno sarebbe passato fra non più di cinque minuti.
Era il solo lì sotto, la sua unica compagnia era un senzatetto che dormiva su di una panca con addosso un paio di cartoni per emulare una coperta. Zeno si avvicinò attirato dal barile che si trovava vicino il suo proprietario.
Al suo interno si trovavano i resti di un fuoco che doveva essersi spento da mezz’ora al massimo, ma lì sotto si gelava dal freddo.
“Magby vieni qui, diamo una mano a questo signore ti va?”
Magby annuì sorridendo, come sempre.
“Usa Fuocofatuo nel bidone, senza farlo colpire, così avrà un fuoco perpetuo per tutta la notte. Ma fai silenzio, non svegliarlo”
Il Pokémon Carbonvivo sprigionò una debole fiamma violastra che poco a poco si ingrandì e prese il solito colore blu acceso.
Il Fuocofatuo si trasferì lentamente nel barile, posizionandosi esattamente al centro di esso, riscaldando Zeno e il senzatetto.
“Bravo piccolo, ottimo lavoro, adesso non ci resta che aspettare il treno”
Passarono i minuti e la metro non arrivava ancora.
Zeno guardò l’orario sui tabelloni, notando che segnavano le undici e ventidue.
“Strano, sono qui da parecchio tempo e sono passati solo due minuti…”
Controllò il suo orologio e vide che la lancetta era ferma sui trentatré secondi.
Improvvisamente iniziò a sudare freddo, il sangue gli si congelò nelle vene, mentre con gli occhi passava freneticamente fra gli ingressi delle due gallerie ai margini del binario, da cui sembrava che l’ombra si allargasse sempre di più.
Zeno non credeva a ciò che stava vedendo, l’oscurità sembrava quasi camminare sui binari, inghiottendo qualsiasi fonte di luce che raggiungeva. Sembrava quasi trasmettere un’aura oscura che faceva cadere nell’oblio tutto ciò che arrivasse alla sua portata.
Il ragazzo si girò cercando le scale, ma erano del tutto oscurate. Ombra anche lì.
I neon si stavano spegnendo uno dopo l’altro, mentre il buio avanzava lentamente ed inesorabilmente verso i due.
Magby provò a sputare diverse fiammate verso l’ombra, senza alcun successo, esse scomparivano una volta cadute nell’oblio, senza produrre alcun suono.
Un altro neon si spense, ne restavano quattro…
Zeno cercava velocemente una via di fuga, il suo sguardo scrutava ogni singola crepa nei muri, sperando di trovare un punto abbastanza debole da poter essere sfondato.
Tre…
L’ennesima lampadina esplose, lasciando ancor più spazio alle tenebre.
Il suo sguardo si poggiò su degli attrezzi da lavoro riposti in un angolo del binario vicino le scale, si avvicinò e prese un piccone come arma, mentre nella mano sinistra stringeva uno scudo primitivo composto da una lastra di acciaio a cui era saldata una sbarra provvisoria, in modo da poterla spostare.
Due…
Magby decise di utilizzare Fuocofatuo per generare diverse lanterne volatili, provando a tenere a bada le tenebre. Sembrò funzionare, il buio arretrava di fronte il cerchio di fiamme blu creato dal Pokémon.
Uno…
Solo un neon, solo uno divideva Zeno e Magby dal buio, e la luce tremolava. Il tubo biancastro iniziò a sibilare, per poi spegnersi lentamente.
In quegli stessi istanti dei deboli aliti di vento si diressero verso i due, ormai accerchiati dal buio.
Lo scudo blu roteava sempre più velocemente, cercando di non essere bloccato dalle tenebre, ma inutilmente.
Secondo dopo secondo, le fiamme rallentavano sempre di più, spegnendosi una dopo l’altra.
“Magby crea altri Fuocofatui, presto!” Esclamò Zeno.
Per quanto il Pokémon si sforzasse, non riusciva a creare neanche una piccola nube di fumo, qualche strana forza gli stava bloccando la bocca.
Zeno imprecò, mentre anche l’ultimo Fuocofatuo veniva inghiottito dall’oscurità. Restava solo il fuoco nel barile.
I due si avvicinarono, mentre gli restava sempre meno campo visivo e il freddo diventava sempre più intenso.
Solo allora Zeno si accorse che il senzatetto non si trovava più lì, era scomparso.
Poi, successe.
Le fiamme vitali del barile si esaurirono.
Fu un solo istante.
Buio.
Zeno venne inghiottito dall’oscurità, perdendo immediatamente il contatto col mondo esterno: non era in grado né di vedere né di sentire nulla.
Il cuore gli si fermò nel petto, mentre il respiro si faceva sempre più pesante e una strana paura lo stava trascinando nelle tenebre.
Non vedeva nulla, ovunque si girasse c’era soltanto buio, buio e nient’altro.
Cercò di avvicinare una mano al viso, ma non riuscì a intravederla nemmeno quando era a pochi centimetri dai suoi occhi.
Improvvisamente qualcosa gli afferrò una caviglia e Zeno istintivamente cercò di colpirla col piccone, ma si fermò non appena riconobbe il verso di Magby.
“Piccolo sei tu… evita di afferrarmi così in situazioni simili, avrei potuto farti male. Ma non preoccuparti, ci sono io ora qui, va tutto bene” Disse il ragazzo prendendosi fra le braccia Magby, iniziando a cullarlo. Poi lo sentì.
Tum.
In lontananza, soffocato dalla densità del buio, provenne un forte tonfo, come se qualcosa di pesante fosse stato scaraventato a terra.
Zeno si girò verso la zona di provenienza del rumore, concentrando tutti i suoi sensi in un ipotetico punto nel buio dove dovrebbe trovarsi la causa di quel frastuono.
Tum.
Il suono si ripetette. Questa volta sembrava più vicino, diverse raffiche di vento si indirizzarono verso i due, portando con loro un fastidioso odore di zolfo.
Passarono una decina di secondi, quando Zeno udì un terzo tonfo, ancor più vicino del precedente, accompagnato da uno strano stridio, come di acciaio sulle rocce.
L’intervallo fra i vari tonfi si ridusse improvvisamente, ora ne giungeva uno ogni due secondi.
Zeno rimase immobile al suo posto, ormai il corpo non gli rispondeva più, gli sembrava quasi di essere legato da catene invisibili.
Passò dal sudare freddo al sudare per l’eccessivo caldo, la temperatura si era alzata vertiginosamente.
“Cosa diavolo… Qui fa troppo caldo, non dovrebbe essere così. Che sta…” Le parole del ragazzo gli morirono in gola, quando lo udì.
Un ruggito, talmente potente da superare il muro di silenzio creato dall’oscurità e distruggere i timpani del ragazzo che, a causa del dolore, dovette portarsi le mani alle orecchie per proteggersele.
Zeno riaprì gli occhi, vide una strana creatura che si stava materializzando al suo cospetto.
Era gigantesco, la figura occupava tutto il campo visivo del ragazzo.
Zeno dovette alzare la testa per poter vedere la faccia di quell’essere.
Scorse due occhi infiammati incastonati in un teschio animale, nero come la pece, che era una fusione fra capra e leone. Due enormi corna di ariete ricurve, che puntavano dritte verso i due bersagli, coronavano il capo. Subito il breve collo scaglioso si interrompeva per far spazio a due immense spalle ricoperte di aculei. Al di sotto di esse si intravedeva un corpo umanoide, oscuro, che andava fondendosi con le tenebre, restando visibile soltanto per le venature rosse fra le varie placche che componevano la corazza dell’essere. Le possenti mani impugnavano un martello abnorme, che sprizzava fiammate dalla testa, mentre dalla parte opposta il manico terminava in un’affilatissima lama rossa composta da pietre vulcaniche.
Ma ciò che più colpì Zeno fu il torace del demone: era aperto in due, al suo interno si intravedeva un fuoco che pareva colare dalla gola, per poi finire nello stomaco e ricominciare il percorso. Era in continuo movimento, come se il fuoco stesso fosse il cuore del suo padrone.
“Oh… merda. E tu cosa diamine sei?” Esclamò Zeno.
In risposta l’abominio emise un nuovo ruggito, mentre si mostrava in tutta la sua stazza, drizzando la schiena e sputando fiamme.
Dopodiché ritornò alla sua posizione iniziale e innalzò l’enorme martello sulla testa, per poi calarlo velocemente verso il suo bersaglio.
Per fortuna Zeno riuscì a scartare di lato giusto in tempo, prima che l’enorme arma riuscisse a polverizzarlo.
All’impatto, il martello, sprigionò diverse vampate di fuoco nero, che si diressero verso i due. Magby si intrapose fra le fiamme ed il suo allenatore, dopodiché iniziò ad assorbire tutta l’aria nelle sue vicinanze, inglobando in sé ogni singola fiamma.
“Merda, come diavolo uccidiamo questo coso? Magby prova a rispedirgli indietro le sue stesse fiamme, punta al torace” Disse Zeno rimettendosi in piedi.
Il Pokémon fece come ordinato, sprigionando tutta la forza delle fiamme nere contro il loro stesso proprietario. Il solo risultato fu quello di farlo arrabbiare di più.
“Non possiamo resistere cosi… Magby scappa!” Zeno sollevò Magby, caricandoselo in braccio, per poi intraprendere una corsa verso l’ignoto
L’abominio si diede immediatamente all’inseguimento, creando scintille ad ogni suo passo. In pochi istanti raggiunse i due, che correvano alla cieca nel dominio del demone.
Gli tagliò la strada, catapultando l’enorme arma a pochi centimetri dai due, eliminandogli ogni possibilità di fuggire in avanti. Dalle due estremità iniziò a fuoriuscire un nuovo fuoco che eliminò anche le due possibili vie di fuga laterali.
Erano in trappola, completamente circondati dalle fiamme.
Il demone si avvicinò sogghignando con quella sua voce profonda e cupa allo stesso tempo, mentre gli occhi erano fissi sulle sue prede.
La mente di Zeno ragionava velocemente, mentre cercava un qualsiasi modo per salvarsi la pelle. Ad ogni passo in meno che divideva il demone da loro, il cuore del ragazzo batteva sempre più velocemente, finché nulla più li divideva.
Immobile, il signore del fuoco oscuro li osservava.
Zeno allora colse l’occasione per salvare il suo compagno.
“Vai, Magby, scappa! Corri via e salvati!” Esclamò lanciando il suo amato Pokémon fuori dal cerchio di fuoco.
Il demone li osservava.
Magby atterrò dall’altra parte, incolume. Si girò stupito verso il suo amico, cercando di superare il fuoco per ricongiungersi a Zeno.
“Non ci provare! Vai via! Non devi morire, scappa!” Urlò il ragazzo con le lacrime che sgorgavano prepotentemente dai suoi occhi.
Il Pokémon Carbonvivo sembrò capire le intenzioni del suo allenatore, quindi a malincuore si girò ed iniziò a correre via. Zeno lo seguì con lo sguardo finché non scomparve nell’oscurità, per non fare più ritorno.
Ora erano soli.
Ora il demone lo fissava con una specie di sorriso che spuntava fra le sue fauci.
Ora le fiamme erano diventate più calde.
Ora la paura era improvvisamente ritornata.
Ora era solo, di fronte aveva fiamme ed oscurità.
“Allora è me che vuoi? Che ironia, un incendio mi ha reso ciò che sono, ed ora un incendio mi ucciderà, a meno che tu non abbia altro in mente”
Il demone continuava a sorridere, mentre emetteva il suo cupo ruggito.
Alzò il braccio sinistro e schioccò le dita, le fiamme si spensero all’istante.
Si avvicinò a Zeno, per poi superarlo, e recuperare la sua arma infernale.
“Quindi è così che morirò, per mano del tuo martello…” Il ragazzo stava rabbrividendo alla sola idea. La sua mente non ragionava più, stava fissando con occhi vuoti il suo futuro mietitore, mentre le parole fuoriuscivano dalle labbra senza essere controllate.
Il cervello aveva deciso di spegnersi, in modo da rimuovere quelle orrende immagini ed aspettare la morte evitando di pensarci troppo.
Però si rivelò più complicato del previsto. Il mondo, o meglio, quello che ne restava, si muoveva a rallentatore. Zeno non ebbe un flashback di tutta la sua vita in brevi istanti, anzi quel breve tempo che gli restava lo sfrutto immaginando.
Era in una radura, tutt’intorno c’erano abeti e pini. Il terreno era spoglio, colmo di fiori bianchi. In cielo non c’era una nuvola, ed il Sole colpiva violentemente con i suoi raggi il corpo di Zeno, inondandolo di calore. In lontananza, proveniente dal bosco, proveniva la sua canzone preferita. Folk, perfetto per quell’ambiente, se non fosse che un demone fatto di oscurità e fiamme si dirigeva verso di lui. In una mano stringeva i corpi dei suoi genitori, mentre nell’altra c’era il corpo senza vita di Astolfo, che bruciava intensamente.
L’abominio lasciò cadere le sue prede, che imbrattarono quello scenario paradisiaco con il loro sangue. Ogni istante la pozza rossa si allargava sempre di più ricoprendo in pochi minuti tutta la radura. Zeno restò immobile per tutto il tempo, fissando il sangue che lentamente saliva di livello, arrivandogli sino alle caviglie.
Ora si ritrovava in un lago rosso, lui ne era il centro, e il demone si stava avvicinando sempre di più. Arrivato da lui si piegò, avvicinando il suo imponente cranio alla testa di Zeno.
Ruggì, rivelando una gola simile ad un vulcano in eruzione, con lava fusa che sgorgava dalle labbra, mentre con i suoi occhi di fuoco fissava Zeno nel centro del volto. Poi il ragazzo non avvertì improvvisamente più nulla, il demone lo aveva colpito con un montante in pieno petto, distruggendogli il torace.
Tutto divenne buio e silenzioso, Zeno si sentì vuoto.
Poi, la luce. Era calda, gradevole, sembrava quasi rinvigorire la pelle.
Improvvisamente tutto si trasformò, il calore divenne eccessivamente alto, mentre gli occhi iniziarono a riaprirsi, mettendo a fuoco la sagoma del demone.
Era stato tutto una visione. Ma non quello, il mostro era ancora lì che aspettava il miglior momento per eliminare la sua preda.
“Allora che aspetti? Finiscimi, non ho nulla da dirti. Fammi fuori” Disse Zeno, in tono di sfida.
L’abominio sembrò quasi risvegliarsi da un sonno criogenico.
Avanzò verso il suo bersaglio, brandendo il martello. Arrivato a poco più di mezzo metro da Zeno dispiegò due enormi ali da pipistrello, formate da oscurità pura e venature rosse, simili alle crepe fra le placche del suo corpo.
“Beh, almeno c’è voluto Lucifero in persona per uccidermi, cazzo sono popolare!” Esclamo Zeno, e questa fu la sua ultima frase.
L’abominio che il ragazzo aveva associato a Lucifero ruggì un’ultima volta, drizzando le ali ed emettendo una notevole vampata dalle fauci.
Lasciò cadere l’abnorme arma, e prese Zeno fra le sue grinfie.
Il contatto con le mani della creatura fu orrendo, tutto il suo corpo arrivava ad altissime temperature. Il ragazzo urlò di dolore, mentre il demone rideva a più non posso.
Quest’ultimo decise di mettere fine all’agonia della sua preda, e l’inghiottì per intero, facendo scivolare Zeno nel suo stomaco, cullato dalla lava.
Tutto il mondo e il dolore scomparve, lasciando spazio soltanto al buio. C’era pace e quiete, c’era tranquillità.
C’era il segnale d’avviso di sospensione del computer.
Fu quello a svegliare Zeno.
“Maledizione, mi sono riaddormentato a lavoro. Devo smettere di fare gli straordinari fino a tardi. Ma quel sogno… era davvero strano…”
Stava guardando il suo portatile, lo schermo era spento, ma era in standby.
“Devo vedere a che punto sono arrivato col videogioco…” Disse a se stesso, mentre premeva il pulsante d’accensione.
Passarono pochi secondi, ed eccolo lì, l’abominio si ripresentò ai suoi occhi.
Era sul suo monitor, in 3D, lo aveva creato stesso lui.
“Assurdo, la mia stessa creatura mi stava perseguitando… Devo darle un nome però… Dopo quello che ho sognato, ho in mente solo un nome: Hulrog, la Fiamma Oscura. Bel nome per un boss”
Zeno si catapultò nell’universo del suo progetto, tralasciando tutto ciò che lo circondava.
Nascosto nell’oscurità, un Pokémon continuava a nutrirsi dell’incubo avuto dalla sua preda, rinvigorendosi attimo dopo attimo. La paura scaturita dall’attacco Vuototetro era talmente grande che si saziò ancor prima di finire la scorta.
Quindi, senza più nulla da fare in quel luogo, il Pokémon si smaterializzò all’istante, lasciando Zeno solo, nell’oscurità.
Angolo dello scrittore da uova strapazzate
Eccomi qui, è finalmente arrivata l’ora del fratello pazzo, forse un po’ troppo ma vabbé. Magari ho esagerato, magari no. Sinceramente è venuto tutto spontaneo, quindi credo sia una di quelle idee che ti prendono all’improvviso e che devi obbligatoriamente scrivere altrimenti ti senti male.
Inoltre ringrazio la mia fidanzata, che mi ha aiutato a decidere il nome da dare al demone, sarà importante nel resto della storia.
Come sempre manca ancora qualcuno alla pubblicazione:
Levyan pubblicherà il 21 di questo mese, è Martedì non interessa a nessuno.
Infine AuraNera_ pubblicherà il 26, sempre se non scompare prima.
Io ho finito, grazie a tutti per aver letto e alla prossima!
Vespus
“Frammenti. Le nostre anime non sono altro che frammenti del grande Fuoco Primordiale. Nasciamo come scintille, viviamo come incendi, moriamo come cenere. La nostra vita è una breve fiamma destinata a spegnersi, lasciando distruzione dietro di sé.”
“Perché abbiamo paura del buio? Ve lo siete mai chiesto? È una delle tante paure incondizionate che si hanno fin dalla nascita e, spesso, ci accompagna per molti anni, se non per tutta la vita. Può sembrare ridicolo correre per le scale dopo aver spento la luce, o coprirsi fin sopra la testa con le coperte e non mettere un solo dito fuori dal letto per essere immuni ai mostri della nostra mente. Ma in realtà non si parla di mostri immaginari, altrimenti crescendo questa paura verrebbe meno. Invece nella maggior parte dei casi essa si ripresenta più e più volte, anche quando si è adulti, riuscendo a tormentarci in alcune situazioni.
Questo perché l’essere umano ha paura di qualsiasi cosa impossibile da conoscere ed analizzare attraverso i sensi, ed il buio fa parte di questa categoria.
Ciò perché la nostra vista non riesce a penetrare a fondo nell’oscurità, eliminando la nostra parte razionale, e liberando la fantasia, che ci si rivolta contro, provocandoci questa paura incontrollabile.
Tutto questo avviene per il semplice motivo che l’uomo ha paura della morte, la sola cosa certa della nostra vita, ed ha quindi paura di ciò che si ricollega ad essa.
Il buio, l’oblio, le tenebre, ne fanno parte. Per questo l’uomo ne ha paura, perché il buio fa inevitabilmente pensare all’oscurità e alla morte, creando in noi l’amaro disagio che sentiamo restando al buio da soli per troppo tempo, mentre la mente ci gioca brutti scherzi. L’unico modo per sopravvivere a questa paura è avere un compagno al proprio fianco che ravvivi continuamente la fiamma della speranza, creando un falò nell’oscurità”
C’era troppo silenzio. Nonostante fosse un tipo amante della calma e tranquillità, quello era troppo anche per lui.
Si era trattenuto in ufficio più del previsto ed ora se ne pentiva.
Aveva perso troppo tempo, ed anche l’ultimo autobus era passato, ora le uniche due scelte erano farsi venti chilometri a piedi oppure venti minuti di metro. A malincuore scelse la seconda.
Zeno attraversò la strada lasciandosi il Centro Globale alle spalle, si stava dirigendo verso l’entrata della metropolitana. Raggiunse il binario che l’avrebbe riportato al suo appartamento, guardò la tabella con i vari orari e vide che il prossimo treno sarebbe passato fra non più di cinque minuti.
Era il solo lì sotto, la sua unica compagnia era un senzatetto che dormiva su di una panca con addosso un paio di cartoni per emulare una coperta. Zeno si avvicinò attirato dal barile che si trovava vicino il suo proprietario.
Al suo interno si trovavano i resti di un fuoco che doveva essersi spento da mezz’ora al massimo, ma lì sotto si gelava dal freddo.
“Magby vieni qui, diamo una mano a questo signore ti va?”
Magby annuì sorridendo, come sempre.
“Usa Fuocofatuo nel bidone, senza farlo colpire, così avrà un fuoco perpetuo per tutta la notte. Ma fai silenzio, non svegliarlo”
Il Pokémon Carbonvivo sprigionò una debole fiamma violastra che poco a poco si ingrandì e prese il solito colore blu acceso.
Il Fuocofatuo si trasferì lentamente nel barile, posizionandosi esattamente al centro di esso, riscaldando Zeno e il senzatetto.
“Bravo piccolo, ottimo lavoro, adesso non ci resta che aspettare il treno”
Passarono i minuti e la metro non arrivava ancora.
Zeno guardò l’orario sui tabelloni, notando che segnavano le undici e ventidue.
“Strano, sono qui da parecchio tempo e sono passati solo due minuti…”
Controllò il suo orologio e vide che la lancetta era ferma sui trentatré secondi.
Improvvisamente iniziò a sudare freddo, il sangue gli si congelò nelle vene, mentre con gli occhi passava freneticamente fra gli ingressi delle due gallerie ai margini del binario, da cui sembrava che l’ombra si allargasse sempre di più.
Zeno non credeva a ciò che stava vedendo, l’oscurità sembrava quasi camminare sui binari, inghiottendo qualsiasi fonte di luce che raggiungeva. Sembrava quasi trasmettere un’aura oscura che faceva cadere nell’oblio tutto ciò che arrivasse alla sua portata.
Il ragazzo si girò cercando le scale, ma erano del tutto oscurate. Ombra anche lì.
I neon si stavano spegnendo uno dopo l’altro, mentre il buio avanzava lentamente ed inesorabilmente verso i due.
Magby provò a sputare diverse fiammate verso l’ombra, senza alcun successo, esse scomparivano una volta cadute nell’oblio, senza produrre alcun suono.
Un altro neon si spense, ne restavano quattro…
Zeno cercava velocemente una via di fuga, il suo sguardo scrutava ogni singola crepa nei muri, sperando di trovare un punto abbastanza debole da poter essere sfondato.
Tre…
L’ennesima lampadina esplose, lasciando ancor più spazio alle tenebre.
Il suo sguardo si poggiò su degli attrezzi da lavoro riposti in un angolo del binario vicino le scale, si avvicinò e prese un piccone come arma, mentre nella mano sinistra stringeva uno scudo primitivo composto da una lastra di acciaio a cui era saldata una sbarra provvisoria, in modo da poterla spostare.
Due…
Magby decise di utilizzare Fuocofatuo per generare diverse lanterne volatili, provando a tenere a bada le tenebre. Sembrò funzionare, il buio arretrava di fronte il cerchio di fiamme blu creato dal Pokémon.
Uno…
Solo un neon, solo uno divideva Zeno e Magby dal buio, e la luce tremolava. Il tubo biancastro iniziò a sibilare, per poi spegnersi lentamente.
In quegli stessi istanti dei deboli aliti di vento si diressero verso i due, ormai accerchiati dal buio.
Lo scudo blu roteava sempre più velocemente, cercando di non essere bloccato dalle tenebre, ma inutilmente.
Secondo dopo secondo, le fiamme rallentavano sempre di più, spegnendosi una dopo l’altra.
“Magby crea altri Fuocofatui, presto!” Esclamò Zeno.
Per quanto il Pokémon si sforzasse, non riusciva a creare neanche una piccola nube di fumo, qualche strana forza gli stava bloccando la bocca.
Zeno imprecò, mentre anche l’ultimo Fuocofatuo veniva inghiottito dall’oscurità. Restava solo il fuoco nel barile.
I due si avvicinarono, mentre gli restava sempre meno campo visivo e il freddo diventava sempre più intenso.
Solo allora Zeno si accorse che il senzatetto non si trovava più lì, era scomparso.
Poi, successe.
Le fiamme vitali del barile si esaurirono.
Fu un solo istante.
Buio.
Zeno venne inghiottito dall’oscurità, perdendo immediatamente il contatto col mondo esterno: non era in grado né di vedere né di sentire nulla.
Il cuore gli si fermò nel petto, mentre il respiro si faceva sempre più pesante e una strana paura lo stava trascinando nelle tenebre.
Non vedeva nulla, ovunque si girasse c’era soltanto buio, buio e nient’altro.
Cercò di avvicinare una mano al viso, ma non riuscì a intravederla nemmeno quando era a pochi centimetri dai suoi occhi.
Improvvisamente qualcosa gli afferrò una caviglia e Zeno istintivamente cercò di colpirla col piccone, ma si fermò non appena riconobbe il verso di Magby.
“Piccolo sei tu… evita di afferrarmi così in situazioni simili, avrei potuto farti male. Ma non preoccuparti, ci sono io ora qui, va tutto bene” Disse il ragazzo prendendosi fra le braccia Magby, iniziando a cullarlo. Poi lo sentì.
Tum.
In lontananza, soffocato dalla densità del buio, provenne un forte tonfo, come se qualcosa di pesante fosse stato scaraventato a terra.
Zeno si girò verso la zona di provenienza del rumore, concentrando tutti i suoi sensi in un ipotetico punto nel buio dove dovrebbe trovarsi la causa di quel frastuono.
Tum.
Il suono si ripetette. Questa volta sembrava più vicino, diverse raffiche di vento si indirizzarono verso i due, portando con loro un fastidioso odore di zolfo.
Passarono una decina di secondi, quando Zeno udì un terzo tonfo, ancor più vicino del precedente, accompagnato da uno strano stridio, come di acciaio sulle rocce.
L’intervallo fra i vari tonfi si ridusse improvvisamente, ora ne giungeva uno ogni due secondi.
Zeno rimase immobile al suo posto, ormai il corpo non gli rispondeva più, gli sembrava quasi di essere legato da catene invisibili.
Passò dal sudare freddo al sudare per l’eccessivo caldo, la temperatura si era alzata vertiginosamente.
“Cosa diavolo… Qui fa troppo caldo, non dovrebbe essere così. Che sta…” Le parole del ragazzo gli morirono in gola, quando lo udì.
Un ruggito, talmente potente da superare il muro di silenzio creato dall’oscurità e distruggere i timpani del ragazzo che, a causa del dolore, dovette portarsi le mani alle orecchie per proteggersele.
Zeno riaprì gli occhi, vide una strana creatura che si stava materializzando al suo cospetto.
Era gigantesco, la figura occupava tutto il campo visivo del ragazzo.
Zeno dovette alzare la testa per poter vedere la faccia di quell’essere.
Scorse due occhi infiammati incastonati in un teschio animale, nero come la pece, che era una fusione fra capra e leone. Due enormi corna di ariete ricurve, che puntavano dritte verso i due bersagli, coronavano il capo. Subito il breve collo scaglioso si interrompeva per far spazio a due immense spalle ricoperte di aculei. Al di sotto di esse si intravedeva un corpo umanoide, oscuro, che andava fondendosi con le tenebre, restando visibile soltanto per le venature rosse fra le varie placche che componevano la corazza dell’essere. Le possenti mani impugnavano un martello abnorme, che sprizzava fiammate dalla testa, mentre dalla parte opposta il manico terminava in un’affilatissima lama rossa composta da pietre vulcaniche.
Ma ciò che più colpì Zeno fu il torace del demone: era aperto in due, al suo interno si intravedeva un fuoco che pareva colare dalla gola, per poi finire nello stomaco e ricominciare il percorso. Era in continuo movimento, come se il fuoco stesso fosse il cuore del suo padrone.
“Oh… merda. E tu cosa diamine sei?” Esclamò Zeno.
In risposta l’abominio emise un nuovo ruggito, mentre si mostrava in tutta la sua stazza, drizzando la schiena e sputando fiamme.
Dopodiché ritornò alla sua posizione iniziale e innalzò l’enorme martello sulla testa, per poi calarlo velocemente verso il suo bersaglio.
Per fortuna Zeno riuscì a scartare di lato giusto in tempo, prima che l’enorme arma riuscisse a polverizzarlo.
All’impatto, il martello, sprigionò diverse vampate di fuoco nero, che si diressero verso i due. Magby si intrapose fra le fiamme ed il suo allenatore, dopodiché iniziò ad assorbire tutta l’aria nelle sue vicinanze, inglobando in sé ogni singola fiamma.
“Merda, come diavolo uccidiamo questo coso? Magby prova a rispedirgli indietro le sue stesse fiamme, punta al torace” Disse Zeno rimettendosi in piedi.
Il Pokémon fece come ordinato, sprigionando tutta la forza delle fiamme nere contro il loro stesso proprietario. Il solo risultato fu quello di farlo arrabbiare di più.
“Non possiamo resistere cosi… Magby scappa!” Zeno sollevò Magby, caricandoselo in braccio, per poi intraprendere una corsa verso l’ignoto
L’abominio si diede immediatamente all’inseguimento, creando scintille ad ogni suo passo. In pochi istanti raggiunse i due, che correvano alla cieca nel dominio del demone.
Gli tagliò la strada, catapultando l’enorme arma a pochi centimetri dai due, eliminandogli ogni possibilità di fuggire in avanti. Dalle due estremità iniziò a fuoriuscire un nuovo fuoco che eliminò anche le due possibili vie di fuga laterali.
Erano in trappola, completamente circondati dalle fiamme.
Il demone si avvicinò sogghignando con quella sua voce profonda e cupa allo stesso tempo, mentre gli occhi erano fissi sulle sue prede.
La mente di Zeno ragionava velocemente, mentre cercava un qualsiasi modo per salvarsi la pelle. Ad ogni passo in meno che divideva il demone da loro, il cuore del ragazzo batteva sempre più velocemente, finché nulla più li divideva.
Immobile, il signore del fuoco oscuro li osservava.
Zeno allora colse l’occasione per salvare il suo compagno.
“Vai, Magby, scappa! Corri via e salvati!” Esclamò lanciando il suo amato Pokémon fuori dal cerchio di fuoco.
Il demone li osservava.
Magby atterrò dall’altra parte, incolume. Si girò stupito verso il suo amico, cercando di superare il fuoco per ricongiungersi a Zeno.
“Non ci provare! Vai via! Non devi morire, scappa!” Urlò il ragazzo con le lacrime che sgorgavano prepotentemente dai suoi occhi.
Il Pokémon Carbonvivo sembrò capire le intenzioni del suo allenatore, quindi a malincuore si girò ed iniziò a correre via. Zeno lo seguì con lo sguardo finché non scomparve nell’oscurità, per non fare più ritorno.
Ora erano soli.
Ora il demone lo fissava con una specie di sorriso che spuntava fra le sue fauci.
Ora le fiamme erano diventate più calde.
Ora la paura era improvvisamente ritornata.
Ora era solo, di fronte aveva fiamme ed oscurità.
“Allora è me che vuoi? Che ironia, un incendio mi ha reso ciò che sono, ed ora un incendio mi ucciderà, a meno che tu non abbia altro in mente”
Il demone continuava a sorridere, mentre emetteva il suo cupo ruggito.
Alzò il braccio sinistro e schioccò le dita, le fiamme si spensero all’istante.
Si avvicinò a Zeno, per poi superarlo, e recuperare la sua arma infernale.
“Quindi è così che morirò, per mano del tuo martello…” Il ragazzo stava rabbrividendo alla sola idea. La sua mente non ragionava più, stava fissando con occhi vuoti il suo futuro mietitore, mentre le parole fuoriuscivano dalle labbra senza essere controllate.
Il cervello aveva deciso di spegnersi, in modo da rimuovere quelle orrende immagini ed aspettare la morte evitando di pensarci troppo.
Però si rivelò più complicato del previsto. Il mondo, o meglio, quello che ne restava, si muoveva a rallentatore. Zeno non ebbe un flashback di tutta la sua vita in brevi istanti, anzi quel breve tempo che gli restava lo sfrutto immaginando.
Era in una radura, tutt’intorno c’erano abeti e pini. Il terreno era spoglio, colmo di fiori bianchi. In cielo non c’era una nuvola, ed il Sole colpiva violentemente con i suoi raggi il corpo di Zeno, inondandolo di calore. In lontananza, proveniente dal bosco, proveniva la sua canzone preferita. Folk, perfetto per quell’ambiente, se non fosse che un demone fatto di oscurità e fiamme si dirigeva verso di lui. In una mano stringeva i corpi dei suoi genitori, mentre nell’altra c’era il corpo senza vita di Astolfo, che bruciava intensamente.
L’abominio lasciò cadere le sue prede, che imbrattarono quello scenario paradisiaco con il loro sangue. Ogni istante la pozza rossa si allargava sempre di più ricoprendo in pochi minuti tutta la radura. Zeno restò immobile per tutto il tempo, fissando il sangue che lentamente saliva di livello, arrivandogli sino alle caviglie.
Ora si ritrovava in un lago rosso, lui ne era il centro, e il demone si stava avvicinando sempre di più. Arrivato da lui si piegò, avvicinando il suo imponente cranio alla testa di Zeno.
Ruggì, rivelando una gola simile ad un vulcano in eruzione, con lava fusa che sgorgava dalle labbra, mentre con i suoi occhi di fuoco fissava Zeno nel centro del volto. Poi il ragazzo non avvertì improvvisamente più nulla, il demone lo aveva colpito con un montante in pieno petto, distruggendogli il torace.
Tutto divenne buio e silenzioso, Zeno si sentì vuoto.
Poi, la luce. Era calda, gradevole, sembrava quasi rinvigorire la pelle.
Improvvisamente tutto si trasformò, il calore divenne eccessivamente alto, mentre gli occhi iniziarono a riaprirsi, mettendo a fuoco la sagoma del demone.
Era stato tutto una visione. Ma non quello, il mostro era ancora lì che aspettava il miglior momento per eliminare la sua preda.
“Allora che aspetti? Finiscimi, non ho nulla da dirti. Fammi fuori” Disse Zeno, in tono di sfida.
L’abominio sembrò quasi risvegliarsi da un sonno criogenico.
Avanzò verso il suo bersaglio, brandendo il martello. Arrivato a poco più di mezzo metro da Zeno dispiegò due enormi ali da pipistrello, formate da oscurità pura e venature rosse, simili alle crepe fra le placche del suo corpo.
“Beh, almeno c’è voluto Lucifero in persona per uccidermi, cazzo sono popolare!” Esclamo Zeno, e questa fu la sua ultima frase.
L’abominio che il ragazzo aveva associato a Lucifero ruggì un’ultima volta, drizzando le ali ed emettendo una notevole vampata dalle fauci.
Lasciò cadere l’abnorme arma, e prese Zeno fra le sue grinfie.
Il contatto con le mani della creatura fu orrendo, tutto il suo corpo arrivava ad altissime temperature. Il ragazzo urlò di dolore, mentre il demone rideva a più non posso.
Quest’ultimo decise di mettere fine all’agonia della sua preda, e l’inghiottì per intero, facendo scivolare Zeno nel suo stomaco, cullato dalla lava.
Tutto il mondo e il dolore scomparve, lasciando spazio soltanto al buio. C’era pace e quiete, c’era tranquillità.
C’era il segnale d’avviso di sospensione del computer.
Fu quello a svegliare Zeno.
“Maledizione, mi sono riaddormentato a lavoro. Devo smettere di fare gli straordinari fino a tardi. Ma quel sogno… era davvero strano…”
Stava guardando il suo portatile, lo schermo era spento, ma era in standby.
“Devo vedere a che punto sono arrivato col videogioco…” Disse a se stesso, mentre premeva il pulsante d’accensione.
Passarono pochi secondi, ed eccolo lì, l’abominio si ripresentò ai suoi occhi.
Era sul suo monitor, in 3D, lo aveva creato stesso lui.
“Assurdo, la mia stessa creatura mi stava perseguitando… Devo darle un nome però… Dopo quello che ho sognato, ho in mente solo un nome: Hulrog, la Fiamma Oscura. Bel nome per un boss”
Zeno si catapultò nell’universo del suo progetto, tralasciando tutto ciò che lo circondava.
Nascosto nell’oscurità, un Pokémon continuava a nutrirsi dell’incubo avuto dalla sua preda, rinvigorendosi attimo dopo attimo. La paura scaturita dall’attacco Vuototetro era talmente grande che si saziò ancor prima di finire la scorta.
Quindi, senza più nulla da fare in quel luogo, il Pokémon si smaterializzò all’istante, lasciando Zeno solo, nell’oscurità.
Angolo dello scrittore da uova strapazzate
Eccomi qui, è finalmente arrivata l’ora del fratello pazzo, forse un po’ troppo ma vabbé. Magari ho esagerato, magari no. Sinceramente è venuto tutto spontaneo, quindi credo sia una di quelle idee che ti prendono all’improvviso e che devi obbligatoriamente scrivere altrimenti ti senti male.
Inoltre ringrazio la mia fidanzata, che mi ha aiutato a decidere il nome da dare al demone, sarà importante nel resto della storia.
Come sempre manca ancora qualcuno alla pubblicazione:
Levyan pubblicherà il 21 di questo mese, è Martedì non interessa a nessuno.
Infine AuraNera_ pubblicherà il 26, sempre se non scompare prima.
Io ho finito, grazie a tutti per aver letto e alla prossima!
Vespus
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