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Capitolo Ventiseiesimo - 26 pt.3

Previously, on Hoenn's Crysis

Doveva ragionare, adesso doveva farlo davvero.
Senza il plic era più semplice. Era il fuoco, effettivamente, a complicare un po’ la situazione.
Quel fuoco, sinuoso nei suoi movimenti, lenti, quasi stanchi, proiettava la sua luce sulle mura. Ebbe persino il pensiero di vedere dove Vulpix si fosse cacciato, concludendo con la cocente delusione sul fatto che, a differenza sua, il volpino avrebbe vissuto in un ambiente così caldo.
Così tanto caldo.
Tuttavia non lo vedeva più, mentre il fuoco si muoveva verso di lei.
Sentì il suo guaito lontano, poi lo sentì sempre più vicino, sempre più vicino. Sempre più vicino, fino a che non vide la sua ombra distorta proiettata su quelle mura da imbiancare.
“Vulpix!” urlò lei, tossendo poco dopo per via del forte odore.
Il Pokémon guaì di nuovo ed intanto la testolina bionda di Sofia si mosse.
“No! No! Non avere paura, sono venuta a portarti dalla tua mamma!” esclamò Marina, allarmandosi quasi più per la bambina che per l’incendio.
“Chi sei tu? E perché c’è il fuoco?”. La voce della bimba era delicata, piccola. Tanto piccola.
“Stai tranquilla e non ci faremo male”.
E Vulpix continuava a guaire.

Fiammetta strinse lo sguardo, focalizzando, mettendo a fuoco.
“Quello è il Team Magma!”.
“Dannazione...” sospirò Pat. Si sentiva sull’orlo del baratro. Le pareva di camminare su di un sottile filo di nylon, in un giorno di tempesta.
Stava per cadere.
“Non demordere! Dobbiamo fronteggiarli!”.
“Sono troppi per noi”.
Fiammetta scosse Pat con determinazione, quindi prese ad urlare. “Reagisci, cazzo! La tua gente è sotto attacco!”.
“Ma cosa vuoi che faccia?!” rispose a tono la più giovane. “Che dovrei fare?!”.
“Senti, finisci di essere così disfattista!”
“Da sole non riusciremo mai a fermare quest’attacco!”.
Fiammetta annuì velocemente, con quegli occhi vispi che si ritrovava, quindi sorrise. “Ecco perché abbiamo bisogno di Rocco Petri”.

 


Attica pt. 3


“Vulpix! Dove sei?!” tossì Marina.
La sua voce si perdeva fumosa nella bruciante e divampante situazione in cui si trovava; sentiva il suo Pokémon guaire. Non era assai rumoroso, quasi temeva di dar fastidio al fuoco, Vulpix, con la sua voce.
“Marina!” udì poi. Era la voce di suo fratello.
Il cuore della ragazza batteva, pompava sangue nelle vene veloce come le ruote di una locomotiva. I polmoni le facevano male e tuttavia continuava a stringere Sofia al petto.
“Martino! Siamo qui!”.
“Siamo?!” urlò stupito lui.
“C’è una bimba con me!”.
“Oh porco... Aspetta lì!”.
“Fai presto!” esclamò disperata la ragazza. “Non si respira più!” fece, tossendo.
Il fuoco continuava a divampare; Marina si perse per un attimo all’interno delle trame incandescenti delle fiamme, rivivendo un momento della sua vita: era bambina ed era inverno. Oblivia era un’isola molto calda quindi non aveva mai visto la neve. Tuttavia in inverno faceva molto freddo.
E suo padre aveva costruito un grande camino angolare; era nel salotto, lo ricordava, proprio davanti ai divani. Lei e Martino si sedevano davanti ad esso, ricordava ancora il sorriso di beatitudine che avevano sui volti mentre, cullati dalle fiamme, un po’ di Jazz usciva dallo stereo. Giocavano, quei due.
Giocavano sempre.
Ed era strano, perché entrambi non si erano mai sopportati granché. Martino era così prepotente, e lei da piccola era saccente e perfettina.
Crescendo, davanti a quel camino, tutti gli inverni, avevano stretto il loro rapporto.
Ma anche se non l’avessero fatto un granché bene, Martino sarebbe lo stesso corso in soccorso di sua sorella.
Sollevava una grossa porta di legno, che prima era appoggiata ad un muro, staccata dai cardini.
“Attenta, sorella!”.
“Presto!”.
E nel sibilare del fuoco la porta crollò dritta, verticale, sovrastando una porzione di quel grande rogo, creando un breve passaggio, solo per poco.
“Forza!”
La porta era distesa sulle fiamme e con ogni probabilità la faccia di sotto bruciava. Le fiamme salivano da destra e da sinistra; una piccola vampa usciva anche dal buco della serratura.
“Marina! La porta non durerà per sempre!”.
Vulpix guaì, come per ridestarla; il pianto di Sofia non faceva altro che caricarle pressione addosso.
Alla fine si risvegliò da quello stato di trance e mosse passi lenti ma decisi. Il fuoco accompagnava il Ranger e la bimba verso la luce che arrivava dalla tromba delle scale.
“Sì. Devo fare piano”.
“No! Devi fare presto!” urlava Martino. Era a metà della porta, e si bloccò.


Quel fuoco non le ricordava solo il camino.

La cicatrice che aveva sotto al seno, sul costato, bruciava.
Bruciava tanto. Terribilmente.
Era poco più che un’adolescente quando successe ma ricordava tutto alla perfezione. Uno dei primi appuntamenti galanti, la rapina, l’esplosione, rumore del cristallo che s’infrangeva.
La fuga, e poi il sangue che sporcava il suo abito bianco.
Per una quattordicenne il primo appuntamento con un ragazzo era un’altra cosa.
Ma le fiamme c’erano, dopo quell’esplosione, erano alte ed erano uguali a quelle che in quel momento bruciavano il già esiguo ossigeno della cantina.
“Marina!” fece Martino; il ragazzo ritirò ogni riserbo e prese Sofia in braccio, strappandola dalle braccia della sorella. Le afferrò quindi la mano e la tirò a sé, pochi attimi prima che il fuoco inghiottisse la porta, quell’improvvisato ponte che li divideva.

Pat e Fiammetta corsero velocemente verso la parte est del promontorio. La casa di Rocco era un’elegante villetta su due piani. Una grande cancellata divideva un perimetro rettangolare fatto di siepi. Tuttavia Rocco era il Campione e quel cancello non veniva mai chiuso, tanto che non era strano vedere bambini che giocavano con la palla e si rincorrevano lungo i grossi prati.
Di tanto in tanto c’erano anche coppiette che passeggiavano.
Quel giorno era, logicamente vuoto.
Fiammetta entrò seguendo Pat che, essendo della zona, aveva percorso quel viottolo fatto di breccia tantissime volte.
Allontanò i pensieri del passato quando, vicino alla grande fontana sulla destra, lei e Pat giocavano; anzi, mosse dei passi ancora più veloci per ritrovarsi proprio davanti l’enorme casa del Campione.
La Capopalestra di Verdeazzupoli si fermò sullo zerbino, facendo bloccare anche Fiammetta.
“Che succede?”.
“Rocco è dentro”.
“Che ne sai? Bussa, no?”.
Pat guardò Fiammetta con sufficienza, alzando un sopracciglio.
“Ah, vero, scusa” rettificò la rossa. “Beh, se è dentro entriamo, no?”.
“No. Non è solo. C’è qualcuno con una grande disparità tra yin e yang”.
Fiammetta non era stupida ma non capiva. “Spiegati meglio”.
“Questa persona... è una donna... sembra totalmente amorale. È...”.
“Malvagia” chiosò quella di Cuordilava.
“Esattamente”.
Fiammetta però era spinta dalla curiosità e appoggiò l’orecchio alla porta, nel segreto tentativo di sentire qualcosa; non appena toccò la porta, essa si aprì silenziosamente.
Pat la guardò entrare immediatamente, circospetta, e decise di seguirla.
Se c’era un aggettivo con cui avrebbero potuto definire l’arredamento della casa di Rocco Petri, quello era sicuramente minimalista. Tutto aveva un ordine particolare lì, oggetti dal dubbio gusto artistico erano disposti soli e nudi su piedistalli dai colori freddi, fatti per lo più di plastiche dure o di ferro.
Fiammetta sentì la voce di Rocco, con quella strana nota preoccupata. Pat le fece segno di seguirla e di non fare rumore; s’appostarono dietro l’uscio dell’enorme salone.
Vedevano tutto da lì.
Il grande ambiente era piuttosto freddo e nonostante la luce del vespro fosse di quell’arancione caldo che spesso scalda il cuore gli spessi vetri la limitavano, costringendo il proprietario ad accendere lampade e piantane.
Rocco era spalle al muro; una donna dal lungo abito rosso, invece, gli puntava un grosso coltello alla gola. Il volto di Rocco era granitico, i suoi occhi argentei fissavano quelli della donna.
Pat e Fiammetta riuscivano solo a vedere le spalle e la lunga e fluente chioma rossa della donna, con quei capelli mossi; grappoli di boccoli le si poggiavano sulle spalle.
“Rocco... Non voglio più ripetertelo. Devi starne fuori...” disse. La voce di quella era maliziosa, liscia come il marmo e calda come una folata di caldo scirocco.
Il Campione, che la guardava dritta negli occhi purpurei, sorrise leggermente.
“Sai che cosa stai facendo, vero?”.
La donna sorrise a sua volta. “Certo che lo so... Altrimenti ora non sarei qui a puntare una lama affilata come un rasoio al collo del mio adorato Campione di Hoenn”.
“Dimmi solo perché”.
Poi ci fu una breve pausa. Rocco guardò vacillare il suo sguardo amarantino.
“Miriam, abbassa questo coltello, prima che uno di noi due si faccia male”.
“Non trattarmi come se ti sentissi superiore a me. Tu in fondo che cosa sei?”.
“Sono il Campione di una dannatissima regione. Regione che tu ed Igor state bersagliando. Perché qui? Perché alla mia gente?”.
Miriam sorrise ed abbassò il coltello, allungando la mano verso il petto tonico dell’uomo. Rocco sentiva la sua mano calda sui pettorali. Seguì con lo sguardo il suo braccio, con quella pelle diafana e quei tre nei vicino la spalla. Il vestito rosso, lungo e fluente, risaltava i fianchi morbidi ed il decolleté ampio.
Quella donna non era magra, ma nemmeno sovrappeso. Era giusta, alta, prorompente. E con una luce strana negli occhi.
“Che stai guardando?” chiese, quasi sorridente, Miriam.
“Non hai freddo così?”.
La donna lasciò libero il suo sorriso e fissò dritto negli occhi l’uomo, tornando a puntare la fredda lama sul suo collo.
“No, Rocco. Non ho freddo. Il mio sangue è bollente”.
“Come quello di tuo padre del resto...”.
“Mio padre...” dovette abortire un sorriso triste, quella. Abbassò il volto, premendo la lama affilatissima contro il collo dell’uomo. “Dare più opportunità agli umani e ad i Pokémon della terraferma. Questo era il sogno di mio padre. Ed Ivan, quel vigliacco menefreghista, quel traditore... Beh... Ivan l’ha ammazzato. Io ero poco più che una bambina quando mia madre mi disse che mio padre era morto”.
“Non è questo il modo per ricordare tuo padre... Stanno morendo milioni di persone”.
“Non abbiamo ancora fatto niente, è tutto merito di Groudon. Noi non lo stiamo controllando, noi non stiamo facendo niente. È stato Arceus ad averlo svegliato. Il resto è nato dalla coscienza del Pokémon in questione”.
“E allora perché mi chiedi di stare fuori dalla faccenda? Perché, dopo tutto quello che abbiamo passato assieme, mi stai puntando un coltello alla gola?”.
“Stai zitto. Non sei nella condizione di fare domande”.
Rocco sorrise, continuando a fissarla dritta negli occhi, di quel rosso rubino che aveva visto solo nelle iridi di Fiammetta.
“È inutile continuare a minacciarmi... So che non mi farai del male...”.
Miriam sorrise ed inarcò un sopracciglio. Spostò i capelli dalla faccia e premette il coltello con discreta forza, lasciando una sottile linea di sangue sul collo del Campione.
“Brucia?” chiese poi, con quella strana suadenza, unita agli occhi maliziosi che aveva.
“Tu sei pazza...”.
“Non appena Groudon e Kyogre cominceranno il proprio scontro, e vincerà, beh... È semplice poi, anche per uno un po’ tonto come te... Purtroppo hai dei Pokémon troppo potenti e delle capacità ottimali... peccato che sei dalla parte sbagliata. In ogni caso il sogno di mio padre si avvererà, e decine di reclute del Team Magma stanno invadendo l’isola, tenendo la popolazione sotto scacco, almeno fino a quando la situazione non si sarà stabilizzata. Tu non potrai fare nulla”.
“Hai invaso Verdeazzupoli?! Sei matta?!” s’alterò lui.
“Non posso permettere che qualcuno ti consenta di uscire da qui. Sei un pericolo per la nostra organizzazione”.
“Hai invaso Verdeazzupoli!” urlò lui, prendendo il braccio della donna, che però abilmente passò il coltello all’alta mano, poggiandolo sulla guancia.
“Vuoi che la lama entri anche nel tuo volto?”.
Rocco si sentiva impotente. Poi vide Pat e Fiammetta, proprio dietro la testa di Miriam ed ammutolì.
Miriam le avrebbe sicuramente sovrastate: aveva un coltello e grandi conoscenze di krav maga, oltre a potentissimi Pokémon.
“Mi serve soltanto per preservare la buona riuscita del piano: non ho nulla da guadagnare con questa sporca isola ma ho bisogno che tu sia sotto controllo. E non voglio farti male. Almeno non troppo”.
“Le tue reclute...”.
Miriam lo interruppe subito. “Le mie reclute sono già disposte ad ogni angolo, adesso. Fuori casa tua ce ne sono trenta; appena uscirò io entreranno loro. Volevo un po’...” piccola pausa. “Un po’ di privacy, ecco” sorrise allegramente.
“Tu sei pazza...” la voce di Rocco scappò tra i denti che digrignava con forza.
“Forse lo sono. Ma non appena conquisteremo la Sfera Rossa niente ci fermerà! Ed il sogno di mio padre verrà realizzato!”.
La mano libera della donna danzò sul basso ventre dell’uomo; non toccava nulla oltre la cintura in quanto era interessata proprio a quella. La staccò, vedendo cadere le Pokéball e la cinghia sul duro pavimento di marmo.
“Senza di queste sarai innocuo...”.
Pat guardò repentinamente Fiammetta, tirandola poi per mano e correndo a nascondersi dietro un grande pilastro, proprio davanti alla porta d’ingresso.
I corpi delle due aderivano così tanto che quasi potevano sentire il battito del cuore dell’altro.
“Che succede?” chiese a voce bassissima la rossa.
Pat aveva gli occhi pieni di paura ed il respiro gravoso. Mise un dito sulle labbra di Fiammetta.
La porta d’ingresso si aprì ed una grossa recluta, alta quasi due metri e piena di muscoli, entrò nell’atrio.
“Chi è lì?!” chiese Miriam, mentre teneva sempre d’occhio Rocco, totalmente immobile.
“Lady Magma Miriam, mi scusi, ma c’è stato qualcosa che deve vedere assolutamente”.
La voce di quell’omone era piuttosto cavernosa e fece venire i brividi a Fiammetta, che poi capì tutto: Pat aveva avuto una visione dove aveva visto l’ingresso di quel gigante.
Non si spiegava però perché in quel momento stesse piangendo, la Capopalestra dell’isola.
“Non vedi che sono impegnata?!” chiese Miriam, alterata. Il coltello rimaneva sempre premuto contro la sua guancia e quasi bruciava sulla pelle candida del Campione.
“È davvero importante, Lady Magma Miriam”.
Lo sguardo della donna s’incrinò quindi sbuffò. Tirò Rocco a sé e lo baciò velocemente, poi buttò il coltello per terra e levò i tacchi altissimi.
La recluta la guardò stranito. La vide poi spingere Rocco al muro con forza e colpirlo con un calcio violento al volto, facendogli perdere conoscenza.
Il respiro diventò più marcato quando si girò a vedere la recluta stupita.
“Che hai da guardare? Legalo con le corde delle tende ed assicurati che non faccia nulla di male, altrimenti ti spezzo la colonna vertebrale”.
Si avvicinò al volto di Rocco, fissandolo per qualche secondo. Sbuffò e diede un calcio alla cintola con le Pokéball, allontanandole da lui, poi si sedette e, dopo le infinite raccomandazioni alla recluta, uscì fuori.

Pat e Fiammetta si guardarono vari secondi negli occhi.
Dovevano salvare Rocco e portare a casa la pelle. La cosa più strana era che fossero, stranamente, più intimorita da quella che veniva chiamata Lady Magma Miriam piuttosto che dalla recluta gigantiforme che in quel momento scrutava Rocco con una Pokéball tra le mani.
L’ansia ormai scorreva nel loro sangue e si era impossessata dei muscoli e dei nervi; Pat vedeva Fiammetta tremare.
Lentamente l’adrenalina sarebbe scorsa nelle loro arterie raggiungendo anche i capillari più piccoli, rendendole più coraggiose.
E con il cuore più grande.
Uscirono dal proprio nascondiglio in silenzio e Pat fermò Fiammetta con la mano; chiuse gli occhi e visualizzò.

È di spalle.

Fiammetta sentì la voce di Pat, ma non la vide parlare. Per un attimo si spaventò, previa comprendere che Pat fosse speciale. Annuì, sensibilmente scossa, quindi entrarono nella stanza.
Rocco giaceva esanime a terra mentre una linea di sangue, sottile ma ben visibile sulla pelle pallida dell’uomo, catturava l’attenzione delle due, seppur per poco.
L’uomo grande era di spalle, proprio davanti a loro.

Miriam non era il tipo di donna che quando camminava per strada passava inosservata.
Aveva la malizia radicata fin nell’animo.
Un grosso nugolo di persone (che poi chiamarlo ancora nugolo era riduttivo in quanto si avvicinava ad essere più una folla che un nugolo) si era riunita attorno a qualcosa.
“Sta arrivando Miriam” sussurrò qualcuno; tutti la guardarono, quindi la folta schiera si aprì, lasciandola entrare.
Raggiunse il centro nevralgico, la donna, quindi vide ciò che tutti erano intenti ad osservare: Fosco, uno dei membri dei Superquattro, era per terra; aveva il volto emaciato e graffi sulle braccia, probabilmente era stato pestato.
“È entrato qui con la pretesa di volerci rompere il culo, come ha detto lui” disse un altro.
“Insomma” sorrise Miriam. “Vi siete soltanto difesi”.
“Già”.
“Il problema grosso è che se Fosco è qui vuol dire che l’organizzazione ci ha localizzati già... Rocco l’ho messo io fuori gioco, dentro; Fosco è qui per terra... Mancano Terrie, Frida e Drake. State attenti, soprattutto a quest’ultimo: possiede potenti Pokémon di tipo Drago”.
“Ok. Come dobbiamo agire, adesso?”.
“Beh, legate per bene Fosco e portiamolo con noi alla base assieme agli altri. Poi vedremo come agire”.
“Ok, Miriam”.

Martina e Marino salirono dal sottoscala, dove c’era la cantina, ed affannavano; i loro visi venivano gradualmente illuminati dalla luce naturale del sole che stava abbandonando quella giornata così pesante.
Già vedevano il portoncino del palazzo, poi sentirono un forte sibilo. Si fermarono e si guardarono.
“Un fulmine?!” domandò quella, sgomenta.
Martino fece spallucce e salì gli ultimi gradini, arrivando sul pianerottolo; sua sorella ancora tossiva.
Poi lo sguardo del ragazzo si focalizzò sulle esplosioni che stavano avvenendo oltre il doppio portoncino blindato.
Si fermò.
“Che diamine succede la fuori?” chiese poi, parlando più con se stesso che con Marina.
Un ultima, forte esplosione riverberò tutt’attorno; l’onda d’urto colpì così forte i loro petti da costringerli ad abbassarsi, per paura che quell’ormai disastrato palazzo venisse giù.
La porta d’improvviso si spalancò, facendoli sobbalzare nuovamente, e videro entrare un uomo insanguinato e tremante.
Indietreggiava velocemente, terrorizzato e, dopo aver sbattuto la porta, si lasciò cadere per terra. I polmoni inspiravano grandi quantità d’aria che non sembrava mai bastevole per farlo calmare. Gli occhi erano spiritati di sangue; si soffermarono sui due Ranger.
“E voi due chi siete?!” esclamò quello, impaurito. “Non vorrete mettermi le catene come stanno facendo quelli lì fuori?!”.
L’uomo prese a piangere e intanto i due fratelli si scambiarono uno sguardo.
“Che diamine sta succedendo?”.
Martino alzò gli occhi in alto, vedendo lo Spinarak che aveva catturato circa un’ora prima attaccato al soffitto. Si avvicinarono alla porta, lei la aprì leggermente: qualcosa stava andando in fiamme.
Qualcosa di molto grosso.
Centinaia di persone vestite in nero urlavano parole incomprensibili per via del sibilo del fuoco.
“Ancora fiamme...” Marina inghiottì le sue parole in maniera dolorosa, come se contenessero tante puntine.
Martino guardava ciò che accadeva: quelli vestiti in nero, quelli con la M rossa sul petto ed il cappuccio alzato, il Team Magma, come si facevano chiamare, loro stavano dilaniando quel posto. Distruggevano tutto, ammanettavano donne e uomini con violenza, li percuotevano.
“Diamoci da fare...” sospirò poi.
Quella giornata non sarebbe finita molto presto.

 
Anche se con ritardo, ciao Pino.

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