Capitolo 1 - Cenere e lapilli
Il silenzio della Torre Bruciata era innaturale e soffocante.
Xavier, immobile, scrutava il cratere formatosi al centro del piano terra ad occhi socchiusi. Respirava a pieni polmoni. L’aria nella torre era leggermente pesante, ma la particolare corrente che c’era contribuiva a renderla più fresca. Ciò che restava della pavimentazione in legno del primo piano era coperto da macerie e altri detriti.
Finalmente il ragazzo uscì dalla sua catalessi e mosse un passo rasente la circonferenza del foro che permetteva la vista del pianterreno dal balcone circolare che era il primo piano.
Le pareti scurite dal fuoco, le assi rovinate e traballanti. Ogni elemento sembrava dover cadere da un momento all’altro. Eppure quella costruzione restava in piedi. Come un guerriero, il guerriero di Amarantopoli. Bruciato, abbattuto, tagliato, affiancato da uno più in forma di lui, comunque rimaneva in piedi.
Xavier prese le scale e scese al piano terra, in quella grigia fossa rocciosa in cui si diceva che tempo prima fossero apparsi tre Pokémon Leggendari potentissimi. Agilmente si destreggiò tra i massi che affioravano dal terreno. Giunse al punto più basso con alcuni balzi.
Poteva quasi sentire il potere di quei tre Pokémon che avevano la fama di essere stati la causa dell’incendio che aveva distrutto la torre.
Silenzioso, si sedette su uno dei gradoni e, affondando la testa nelle mani, prese a rimuginare.
Anneke muoveva i suoi passi delicatamente sul parquet bruciato e scuro.
Non aveva mai visitato la Torre Bruciata e quella era per lei un’esperienza nuova. C’era un’atmosfera particolare e una strana inquietudine si faceva posto nel suo animo. Diede un rapido sguardo a quello che aveva attorno, quindi mosse alcuni passi lungo la cornice del primo piano. Un ragazzo dai capelli biondi arruffati sedeva su una delle dune del piano terra, ma lei non ci fece subito caso.
Era occupata ad osservare il luogo che aveva attorno. Si stupiva sempre quando visitava posti simili, ogni volta si poneva la stessa domanda: come era possibile che gli antichi abitanti di Johto, senza l’ausilio di macchine e supporti tecnologici, avessero costruito non una ma ben due torri di tale magnificenza? In più, come avevano fatto dei Pokémon a distruggere così in fretta il frutto del loro lavoro?
Misteri che probabilmente non avrebbe mai risolto, che sarebbero rimasti celati dalla nebbia di Amarantopoli. Misteri che, nella loro vaghezza e oscurità, rendevano così belli i posti che si divertiva a visitare e così interessanti i miti spesso legati ad essi.
Prese appunti, aprì un taccuino che aveva e vi disegnò a matita uno dei suoi schemi in una grafia solo a lei leggibile, quindi lo ripose nella tasca posteriore.
Non sapeva cosa ne avrebbe fatto, se qualcosa ne avesse mai fatto, di quegli scritti, ma si divertiva mettendoseli da parte. Non aveva bisogno di foto, depliant, tour organizzati per entrare nell’anima di un luogo. Le bastavano quelle poche parole che si appuntava con la sua e solo la sua testa. Si sentiva realizzata e indipendente, provava l’ebbrezza di scavare nel passato solo con la sua matita e il suo taccuino a quadretti.
“Che ci sarà mai qui sotto?” si domandò tra sé e sé affacciandosi da una rientranza del piano di sopra e scrutando gli interni bruciacchiati della torre.
Adocchiò una statua rimasta intatta e nascosta quasi interamente dalle rocce. “Quella sembra...”
Con un suono secco il legno si spezzò sotto le sue gambe, il materiale scuro e fragile del pavimento cedette e Anneke accompagnò lo spavento e la caduta con un grido acuto. Chiuse gli occhi.
Si rese conto di essere ancora viva. L’istinto di sopravvivenza aveva avuto il sopravvento e lei si era quasi involontariamente artigliata ad un’asse ancora integra, evitando di cadere sulle macerie appuntite e ruvide del pianterreno, cosa che sicuramente l’avrebbe fatta secca.
“Aiuto!” rantolò tentando un grido ma ottenendo solo un aspro sussurro. Riprese controllo dei suoi muscoli, fece forza per tenersi appesa alla trave di legno che era la sua ultima ancora di salvezza, ma la posizione in cui si trovava era parecchio precaria.
Xavier udì l’urlo e alzò gli occhi. Ci mise un po’ per mettere a fuoco la scena, come succede dopo essersi tappati gli occhi per un po’. Quando la sua mente definì il corpo esile di Anneke, ogni suo muscolo ebbe un sussulto. Fu mosso da quella forza che pervade ognuno, ma che solo in pochi sono capaci di assecondare.
“Tieniti forte!” esclamò scattando in piedi e correndo verso il punto in cui era la ragazza. “Non mollare la presa!”
“Ci provo…” sussurrò quella sotto la pressione dello sforzo.
Xavier era quasi sotto di lei, corse alzando le ginocchia e tenendo lo sguardo fisso sulla ragazza, in modo da non correre il rischio di inciampare. Giunto al punto in cui il terreno era pieno di rocce e pezzi legnosi distrutti, abbassò la testa e fece più attenzione a dove metteva i piedi: “Sto arrivando!” la avvisò per rassicurarla.
Anneke cercò di emettere un rantolo, ma in quel momento la sua presa si fece molle, le sue braccia esili non ressero più il peso del resto del corpo. Essendo una viaggiatrice, la sua forza stava negli arti inferiori, non in quelli superiori.
Impallidendo cadde giù quasi socchiudendo gli occhi e preparandosi all’impatto. Non emise suono.
“Uff!”
La sua caduta si era interrotta.
Riaprendo gli occhi si ritrovò tra le braccia muscolose del ragazzo dalla chioma bionda che per prenderla al volo si era lanciato sulle ginocchia. Si accorse di star trattenendo il respiro e provvide subito a riempire i suoi polmoni di aria.
Xavier, senza pronunciare parola, la pose a terra delicatamente, quindi si trasse indietro sedendosi. Alzò le sopracciglia sospirando e accennando un sorriso.
Anneke tenne lo sguardo a terra per un attimo, quindi riprese vita. “Immagino che in queste occasioni un grazie ci stia più che bene, giusto?” chiese guardando Xavier negli occhi.
Entrambi sorrisero.
Il biondo si rialzò in piedi e tese una mano verso Anneke. “Xavier Solomon, a chi ho avuto il piacere di salvare lo scalpo?”
La corvina afferrò la mano che poco prima l’aveva soccorsa con provvidenziale tempismo e tornò a stare in piedi anche lei. “Anneke Raven, grata per l’intervento.”
“Davvero sei stato rapito dal Team Rocket?” domandò incredula la ragazza dai capelli corvini.
Il bar Harold’s, in cui avevano deciso di prendersi qualcosa da bere, era pregno dell’odore dei dolciumi e dei pasticcini che invitanti li pregavano di venir mangiati da dietro le vetrine in cui erano nascosti. Ma l’appetito non si era fatto sentire, se non per qualche bevanda calda, quindi entrambi resistettero all’impulso di accontentare la loro pura e mera golosità.
Il teporino che pervadeva l’ambiente era davvero confortevole, un toccasana in quella giornata di inizio gennaio, quando il vento sembrava non volersi placare e non dava tregua a chi voleva farsi una passeggiata in santa pace.
Xavier annuì, sorseggiando il suo cappuccino. “Sì, quand’ero bambino” rispose semplicemente.
Anneke interpretò il suo tono capendo che più di tanto non voleva parlarne. E lei, che ben si guardava dal volersi impicciare dei fatti altrui, lasciò che la conversazione su quell’argomento cadesse nel silenzio e si dedicò alla sua cioccolata calda. Quella situazione tranquilla non parve disturbarli.
Dopo un po’, però, lui riprese a parlare: “E tu? Da dov’è che vieni?”
“Sono originaria di Frescovilla, a Kalos. Però prima di arrivare qua a Johto ho visitato Sinnoh. Davvero una bellissima regione, mi piacerebbe tornarci…” fece pensierosa, staccandosi a malincuore dalla sua bevanda.
Entrambi i ragazzi non erano due caratteri propensi a parlare molto a lungo, ma Anneke sentiva di doversi sdebitare in qualche modo. Lui l’aveva salvata.
“Quindi sei una viaggatrice… un’esploratrice?” domandò con vago interesse Xavier. Anneke annuì quindi lui proseguì, scherzoso: “E che te ne è parso della Torre Bruciata, cara turista?”
La ragazza sbuffò con uno strano sorriso a incurvarle le labbra. “È una costruzione assai particolare, così come lo è la sua storia… a mio parere è più interessante della Torre Campana, nonostante sia oggettivamente più… brutta, diciamo.”
“Anche secondo me” borbottò Xavier. Lui ovviamente aveva motivi alquanto strani e precisi per cui ritenere così bella e intrigante la Torre Bruciata, più dell’altra, magnifica e meravigliosa…
Raikou, dove sei?! si domandava spesso, quasi con rabbia. Dedicava la sua vita, il suo tempo alle ricerche sul Pokémon Leggendario che aveva promesso di catturare sia a sé stesso che alla bella Yuki… e quello lo ripagava con niente. Giusto con la vista di un mucchietto di macerie e polvere, travi spezzate che quasi avevano ucciso - o ferito gravemente nel migliore dei casi - Anneke.
Perché non vuoi mostrarti a me? Ho qualcosa che non va?
Aveva iniziato a formulare questi tristi pensieri dopo anni e anni di fallimenti. Non ce la faceva più a sopportare e non sapeva come o con chi sfogare tutto ciò.
“E tu come mai eri là alla Torre?” Anneke interruppe i suoi viaggi mentali con questa semplice domanda, alla quale lui non se la sentiva di rispondere con la verità.
“Oh, non c’è un motivo particolare… sono nato e cresciuto qui ad Amarantopoli ma, a causa degli studi impegnativi che ho sempre condotto, non è mai stato molto il tempo da dedicare alla mia città… ora voglio conoscerla meglio” sorrise bugiardo. Ma come dargli torto? Anneke sicuramente si aspettava una risposta di quel genere, non di certo un ‘Oh, be’, ho promesso a una bellissima Kimono Girl che è stata assassinata di catturare Raikou, ti va di aiutarmi?’.
Quindi andava bene così. Alla ragazza andava bene così. Domandò ancora: “Cosa hai studiato?”
“Fisica. È sempre stata la mia passione e mi sono laureato da poco.”
Anneke spalancò gli occhi. “Wow! Che forza…! E che lavoro fai?”
“Diciamo che sono un inventore” sorrise Xavier.
La ragazza era molto curiosa ma temette di essere invadente. Perciò non continuò a chiedere cosa avesse ‘inventato’ quel ragazzo appena conosciuto, ancora un po’ insicura su come relazionarsi con lui. Lo stesso pensava l’altro, che riuscì a chiederle solo per impedire che tornasse il silenzio: “Quindi esploratrice e viaggiatrice, eh? Quanti anni hai?”
“Diciassette, quasi diciotto. Sono via da casa da parecchi anni ormai…”
“E i tuoi genitori?”
Anneke si mordicchiò il labbro, elaborando una risposta fasulla abbastanza convincente. Parlando lentamente per prendersi del tempo necessario a crearla, disse: “Oh, ehm… loro sono rimasti a casa… sono contenti delle belle esperienze che sto facendo, mando cartoline ogni tanto… e ho visto papà l’altro giorno, è venuto a ‘trovarmi’.”
Decise di infilare un poco di verità nella sua storia. Effettivamente aveva incontrato il padre pochi giorni prima e non c’era niente di male nel raccontarlo a Xavier.
“Ma hai viaggiato tutto il tempo da sola?” chiese ancora lui, stupito.
“Oh, no no! Ho i miei Pokémon con me. L’altro giorno papà mi ha portato un Noibat, poi ho Trevenant. E ovviamente il mio primo Pokémon, una Umbreon che si chiama Eclissi” Anneke non riusciva a non sorridere quando pensava alla sua cucciola, a cui voleva un bene dell’anima. Quindi anche quella volta gli angoli delle sue labbra s’incurvarono.
Lo stesso accadde all’espressione di Xavier, che fu contagiato da quella spontanea dolcezza e allegria.
Continuarono a parlare per un po’, lei gli raccontò di una ragazza che aveva conosciuto poco tempo prima: aveva i capelli azzurri, un marchio di fabbrica e segno distintivo che la faceva notare ovunque andasse.
Non si accorsero dell’uomo seduto al tavolo alle loro spalle che scacciava via in malo modo la cameriera.
Quello era Zeno. Nonostante l’apparente maschera di impassibilità, dentro di sé continuava a divampare l’incendio rabbioso.
Il suo tè incredibilmente bollente non era nulla in confronto a quello che stava provando, che provava da tantissimo tempo, da quando il fratello aveva osato non perdonarlo per i suoi errori e quasi era riuscito ad ammanettarlo e sbatterlo in prigione, o peggio ancora nel suo manicomio in cui sarebbe stato vulnerabile, soggetto alla sua volontà alimentata dall’odio che provava per lui.
So che sei qui, fratello. Aspettami, si ripromise stringendo con forza il manico della tazza. Il calore che essa emanava non lo toccava minimamente.
Lo spaventò invece un altro urlo della sirena del porto che lo riportò violentemente alla realtà. Non tanto perché ne fu sorpreso o perché non si aspettava un suono allucinante del genere; ma perché in quel momento fecero irruzione nel bar alcuni marinai nerboruti e ben piazzati, molto ben piazzati, larghi e possenti più o meno quanto un armadio. Ai suoi occhi erano dei mostri che gli davano la caccia, tra loro c’era anche il tizio che lo aveva scorto.
Hulrog… chiamò allarmato, nascondendosi dietro al quotidiano di qualche giorno prima.
Ti aiuto io se servirà, ma non credo. Mi sembrano abbastanza idioti.
Zeno sbuffò momentaneamente esasperato. Non dire stupidaggini ed elabora un piano, dannazione.
Ti ho detto che non serv…
Hulrog ebbe ragione: i marinai spalancarono gli occhi alla vista di tutti quei pasticcini e bevande calde che aspettavano solo di finire negli stomaci di qualcuno. Si scambiarono svariati sguardi a vicenda con i loro ottusi occhi porcini e ridacchiarono stupidamente. Quello che pareva il capo, lo stesso che aveva notato Zeno e il suo strano comportamento, si avvicinò al bancone e fece per chiedere qualcosa con serietà alla commessa.
Ma i suoi ‘scagnozzi’ lo precedettero e, ammiccando alla sfortunata commessa con l’intenzione di risultare attraenti, svuotarono quasi letteralmente le vetrine del negozio che esponevano i pasticcini. La cameriera, sconvolta dal loro inumano appetito, li servì in silenzio senza avere il coraggio di chiedere se volessero qualcos’altro, ritenendoli giustamente capaci di poter svaligiare l’intero negozio se ne avessero avuto la possibilità.
“Le persone così mi fanno un po’ pena” ridacchiò Anneke osservando divertita la scena.
“Oh, a me fanno ridere! Sono proprio da film comico, ne trovi pochi così!” ribatté Xavier soffocando una risata.
Il capo dei marinai sospirò affranto, rendendosi conto di come la sua missione stesse andando in fumo a causa della gola dei suoi compagni. Scrutò attentamente le persone sedute ai tavoli cercando l’uomo che, ormai ne era sicuro, si era infiltrato nell’equipaggio per motivi sconosciuti.
Non lo trovò.
Questo perché Zeno se l’era data a gambe senza farsi notare, silenzioso, lasciando degli spiccioli sul tavolo e perciò senza passare guai legati a un possibile furto.
Anneke scosse ancora la testa, per poi svuotare la tazza e pulirsi con movimenti leggeri gli angoli della bocca dai residui della bevanda con un tovagliolo.
“Ecco... è stato un piacere e ti ringrazio ancora per l’aiuto. Ma io adesso devo andare” disse semplicemente a Xavier, per poi fare un cenno a una cameriera a cui consegnò alcune monete.
“Oh, capisco...” rispose il ragazzo, saldando anche lui il conto. Si alzò assieme alla corvina, che lo guardò con aria interrogativa con i suoi occhi dal doppio colore.
“Beh, che stai facendo?” gli chiese, la voce che nascondeva una risata.
“Ti accompagno” replicò l’altro con lo stesso tono.
Insieme lasciarono il locale, percorrendo gli stessi passi di Zeno, ignari del fatto che fosse lui, l’uomo seduto al tavolo di fianco al loro, colui che i marinai stavano cercando.
I due ragazzi camminavano in silenzio mentre si dirigevano in direzione del percorso che portava verso Olivinopoli.
Si poteva tranquillamente intuire che Anneke era una camminatrice solitaria. Si trovava bene con il silenzio, sembrava quasi farne parte, pareva scivolare tra i rumori più o meno allegri e piacevoli della cittadina.
“Dimmi... dove vorresti andare adesso?” le chiese Xavier dopo un po’. Lei voltò appena la testa, quel tanto che bastava per guardarlo.
“Non lo so di preciso... di solito non mi muovo con una vera e propria meta, più che altro con una direzione. Potrei provare a vedere le Isole Vorticose, per poi spingermi più in là... ho sentito di una specie di strana torre antica nascosta tra le scogliere a Ovest della regione, poco più a sud rispetto alla rinomata zona safari di Jotho” borbottò , incrociando le braccia dietro la nuca corvina.
Il ragazzo annuì, ne aveva sentito parlare, ma non aveva nulla da aggiungere a riguardo.
Lasciò che di nuovo il silenzio prendesse la supremazia, evitando i discorsi più banali, magari noiosi.
Di nuovo la mente di Xavier naufragò tra i suoi pensieri che possedevano sfumature di sconforto, forse quasi di rabbia.
Raikou... perché ti ostini a scappare? Che devo dimostrarti?
Quei pensieri non gli lasciavano tregua da tempo ormai quasi incalcolabile. Quando era bambino ancora riusciva a sopprimerli, rimpiazzati da altri più futili e leggeri. Ma, mano a mano che gli anni passavano, quel chiodo fisso nella sua mente diventava sempre più fastidioso, come fosse un’ossessione.
Forse lo era. Forse era davvero ossessionato da quella promessa.
Immerso com’era in quei pensieri, non si accorse di essere andato a sbattere contro Anneke, che si era fermata improvvisamente.
“Oh, scusa” mormorò lui, ancora un po’ perso.
La ragazza non diede segno di averlo sentito, troppo impegnata nello scrutare un qualcosa che si erigeva oltre il lato della strada, nascosto dalle vegetazione che aveva ormai invaso ciò che un tempo le era stato negato, come a sbeffeggiare il fallimento della cura dell’ambiente.
Xavier seguì lo sguardo dai due colori di lei, captando cosa l’aveva distratta.
“Non vorrai entrare là dentro” le disse, sconcertato.
“No, infatti. Quel posto... è sbagliato” mormorò lei in risposta. Il ragazzo si girò a guardarla.
“In che senso?” domandò, corrugando leggermente le sopracciglia.
“Non so bene come dirlo... ma mi trasmette una sensazione strana, come di freddo... non ha l’aura mistica caratteristica dei luoghi che sono solita a visitare. Ecco cosa intendo...” spiegò lei, un po’ titubante.
Il ragazzo annuì, comprendendo ciò che Anneke voleva dire. In effetti la vista non era delle migliori.
“Quello era un vecchio manicomio” borbottò una voce alle loro spalle, che li fece voltare di scatto.
Una ragazza stava sulla strada, dalla direzione da cui anche gli altri due provenivano. Aveva la carnagione pallida, i capelli un po’ in disordine celesti e due occhi indaco incredibilmente calmi, quasi vuoti.
“Oh, Nives!” esclamò la corvina con un piccolo sorriso. “Come mai da queste parti?”
“Stavo facendo una passeggiata... tu, piuttosto? E chi è lui?” domandò a sua volta la nuova arrivata dopo aver scrollato le spalle.
Xavier si presentò tendendole la mano, che lei afferrò con tranquillità, rispondendo all’approccio del ragazzo.
“Oh... sono contenta che ci siamo incrociate, così posso salutarti” riprese Anneke una volta finiti i convenevoli.
“Salutarmi? Stai partendo?” chiese innocentemente Nives, vedendosi rispondere con un cenno affermativo da parte dell’altra.
"Sì... a parer mio sono rimasta fin troppo tempo ferma ad Amarantopoli. Ora voglio ripartire per continuare il mio viaggio" spiegò Anneke calma. L'altra annuì.
"Posso farvi solo una domanda? Voi quando vi siete conosciute?" chiese Xavier, un po' incuriosito dallo strano tono della conversazione. Effettivamente le due si parlavano con tono leggero, ma ancora un po' freddo. Non sembravano conoscersi da molto.
"Mmm... non mi ricordo esattamente quando. Mi ricordo come però. Ci siamo incontrate nei pressi del Teatro di Amarantopoli, lei stava uscendo da lì. Anche io stavo tornando al Centro Pokémon, dove alloggio di solito. Ci siamo fermate a chiacchierare per un motivo o per l'altro... ed eccoci quì" tagliò corto la corvina.
"Oh" fu il solo commento del ragazzo, che veniva studiato attentamente dagli occhi un po' freddi di Nives.
AuraNera_.
Ink Voice.
Levyan.
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