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HNK - TIR - 5 - Stelle Piangenti


Stelle Piangenti


Quella notte, Morfeo, non riusciva in alcun modo ad accogliere nel suo caldo e rassicurante abbraccio il giovane corpo di Kyle.
Impaziente, il ragazzo, continuava a camminare avanti e indietro per la stanza, il pavimento in legno inviava segni di cedimento in continuazione, tanto che Kyle ebbe paura di svegliare Daisy, che dormiva nella stanza affianco. Dal giorno della ribellione lei si prendeva cura di lui, diventando a tutti gli effetti la sua vera madre. E ora vivevano assieme, sotto lo stesso tetto, all’interno del rifugio nascosto all’interno delle gallerie scavate grazie all’aiuto dei loro Pokémon, in modo da non essere scovati dai Sacerdoti.
Kyle si avvicinò alla finestra, pensieroso. Il davanzale in mattoni e pietre non lavorate era piuttosto scomodo per appoggiarvisi, come distendersi su di un manto di puntine da disegno.
Le braccia inviarono l’impulso del dolore persistente al cervello del ragazzo che, incurante, rimase immobile nella sua posizione. Da lì aveva la vista completamente libera di tutto il rifugio: la sua vista poteva spaziare dall’altare eretto in onore di Arceus, ai vari tunnel che collegavano la caverna con l’esterno, sorvegliati ventiquattrore su ventiquattro da uomini armati e Pokémon ben addestrati.
In quel preciso momento un Primeape stava facendo cambio turno con un enorme Machamp, i due si scambiarono un cenno di assenso e si divisero. Primeape fece ritorno al suo alloggio, mentre Machamp prese due torce e si inoltrò all’interno di un cunicolo, seguito a ruota da un uomo armato con una grossa mazza.
- Così tanta gente qui sotto, ognuno collabora con tutti, ci si protegge le spalle, ci si aiuta, tutto per sopravvivere, perché qui non si vive, si fa il minimo indispensabile per restare in vita, giorno dopo giorno - Kyle guardò il suo piccolo Riolu, avvolto nelle coperte fino a sembrare una versione tarocca di un Cascoon - Non è giusto, né per me, né per te o chiunque qui sotto. Che vita è, se non è possibile neanche vedere il cielo stellato senza la paura che qualcuno ti fucili sul posto perché hai il colore della pelle diverso?
Alzò lo sguardo, scrutando nell’oscurità della caverna. Non vide nulla, il soffitto era buio, e inquietante. Si ricordò quando, molti anni prima, era solito sgattaiolare dal dormitorio dei ragazzi, accompagnato come sempre da Riolu, per addentrarsi nella boscaglia che si trovava vicino il limitare a est del loro Quartiere, cercando la quiete necessaria a osservare le stelle.
Non sapeva spiegarsi il perché, era un impulso che sentiva provenire dall’interno, lui non faceva altro che assecondarlo. Infondo, le stelle, erano sempre belle. In qualsiasi situazione sembravano capirlo, risplendevano sempre per lui quando ne aveva bisogno, lasciando il posto di protagonista celeste alla Luna. Tanta gente, quando scruta il cielo notturno, la cerca, tralasciando gli astri minori. Kyle invece non riusciva mai a giungere alla tanto ambita torta al formaggio che si stagliava, immobile, nel mare dell’immenso. Quando i suoi occhi avevano la fortuna di incrociare i meravigliosi spettri luminosi emessi dai lontanissimi corpi celesti, ci si perdevano completamente: la sua mente saltava di stella in stella, creando infiniti segmenti che le collegavano le une alle altre. Era come se, in automatico, il suo cervello creasse una fitta ragnatela nell’immensità che lo circondava, catturando infinite fotografie di quella bellezza. Kyle ci si immergeva completamente, sia col corpo che con lo spirito. Per lui era come il suo passaporto per fuggire dalla reclusione forzata applicata da quei pazzi costantemente vestiti di bianco. Si ricordò la prima volta che venne scoperto lì fuori, molte ore dopo l’attivazione del coprifuoco. Quella notte si era perso talmente tanto fra le stelle da perdere la cognizione di tempo e spazio, finendo con il non accorgersi dell’uomo che sopraggiungeva dalle sue spalle.
Non appena fu afferrato cercò di urlare, ma subito un’enorme mano gli bloccò le labbra, ammutolendolo all’istante. Lui cercò di dimenarsi, invano; la forza del suo aggressore era troppa per il suo debole corpo.
- Calma, piccolo. Sono io, Cole, non lo sai che è pericoloso qui fuori a quest’ora?
- Cole… io… beh… volevo solo… - Kyle cercò di giustificarsi, per evitare l’imminente punizione.
- La prossima volta non devi assolutamente uscire da solo a quest’ora. Sveglia me, così ti accompagno, ok?
- Va bene, Cole, scusami.
- Non ti posso perdere, per nessuna ragione. E poi Daisy mi ammazzerebbe - ammiccò al giovane ragazzo.
Dagli occhi di Kyle iniziarono a scorrere lacrime sempre più numerose, finché il ragazzo non si ritrovò a piangere come non faceva da moltissimo tempo. Come lava che scorre scavando solchi incandescenti dalla bocca alle pendici del vulcano, le lacrime del ragazzo iniziarono la loro lunga e tormentata discesa. La prima ad aver raggiunto il mento restò in equilibrio precario per qualche istante, ondeggiando nell’assecondare i movimenti del corpo di Kyle, dopodiché si lasciò cadere nel vuoto, infrangendosi sul davanzale. La prima fu seguita quasi, nella sua corsa, quasi immediatamente dalle sue sorelle, dirette verso la pietra scabra su di cui Kyle poggiava dolorosamente.
Guardò verso il basso, immaginando i giochi di riflessi che si verrebbero a creare fra le gocce ormai morte sul davanzale, se quel posto fosse illuminato. Fu in quel momento che una sensazione conosciuta gli si radicò nel cervello

Se fossi all’aperto avrei potuto vedere il riflesso delle stelle nelle mie lacrime, e avrei potuto guardarle così come usavo fare con Cole…

Kyle si asciugò il viso utilizzando il suo pigiama, consistente in una semplice t-shirt bianca con pantaloncino a quadri blu, e si avvicinò al letto.
- Scusa Riolu, ma non posso portarti con me ora, è una cosa che devo fare da solo, torno presto. Tu dormi - sussurrò al Pokémon con un tono di voce abbastanza basso da essere sicuro di non svegliarlo.
Infilò le scarpe, diede un ultimo sguardo al suo amico che dormiva tranquillo nel letto che condividevano, e si avvicinò nuovamente alla finestra. Uscì fuori, stando ben attento a non fare rumori camminando sul terreno pietroso della caverna. L’uscita fu molto facile, in quanto la sua finestra si trovasse a pochi metri dal suolo, la distanza minima per evitare compagnie di esseri sotterranei indesiderate.
Kyle camminò facendo ben attenzione a dove mettesse i piedi, abbassandosi quando passò vicino la stanza di Daisy. Si affacciò alla finestra, per assicurarsi che la donna non si fosse accorta dei suoi movimenti; lei dormiva placidamente su di un fianco, dando le spalle al ragazzo, mentre la sua Glaceon riposava serenamente ai suoi piedi. L’elegante Pokémon emetteva una leggera condensa a ogni suo respiro, Kyle poteva sentire il potere rinfrescante del suo corpo, tanto che ebbe l’impulso di mettersi la felpa che si trovava sul davanzale della finestra.
Glaceon si stiracchiò sbadigliando, Kyle vide i suoi artigli scintillanti nel buio fendere l’aria, mentre i suoi occhi blu cobalto si posarono sul ragazzo.
Lui si irrigidì, avendo paura di venire scoperto.
- Glaceon sono io, Kyle, non far rumore, altrimenti Daisy mi uccide - sussurrò il ragazzo, mimando una zip in chiusura con l’uso delle dita sulle labbra.
Il Pokémon inclinò su di un lato la testa, continuando a fissare il ragazzo. Rimase per qualche secondo in quella posizione, dopodiché si acciambellò nuovamente ai piedi del letto e tornò a dormire.
Kyle non perse tempo, si avviò immediatamente verso il cunicolo che sicuramente non era controllato da nessuno. Di tutti i punti di uscita, il solo da cui si poteva passare inosservati, con una buona dose di fortuna, era quello situato vicino il deposito degli attrezzi.
Era quello l’obbiettivo del ragazzo, intento a uscire dal sottosuolo a ogni costo.

Che sarà mai, devo soltanto andare dall’altra parte dell’accampamento ed evitare i Pokémon e gli adulti di controllo, facile. Tanto a quest’ora si troveranno tutti quanti all’interno dei cunicoli, avrò via libera.

Sicuro di ciò, il ragazzo si incamminò per il campo base, prediligendo i percorsi più nascosti fra le case. Tutto filò liscio, a parte un infarto che lo colpì mentre si nascondeva dietro una pila di vecchie coperte consumate. Il ragazzo era circa a metà percorso, quando il passaggio inatteso del fabbro lo colse di sorpresa. Il grosso e sudato uomo si stava dirigendo verso la sua abitazione dopo una lunga giornata di lavoro, durata più del dovuto in quanto Sur necessitava con urgenza di nuovi picconi e trivelle manuali, per poter portare a termine i lavori di scavo.
Kyle si accorse in tempo del suo arrivo grazie alla canzone che il fabbro canticchiava durante la sua ultima camminata della giornata.
- God bless us everyone, We’re a broken people living under loaded gun….
Il ragazzo si girò alla ricerca di un riparo, cadendo nel panico.

Maledizione che cosa faccio adesso? Non posso mica infilarmi in quella finestra... aspetta, e quello cos’è?

Kyle notò un vecchio e polveroso cumulo di vari stracci, coperte e indumenti vari, lasciati lì vicino l’ingresso di una piccola vena laterale della strada principale, da chissà quanto tempo.
- Questo è perfetto! - si posizionò in modo da avere le spalle coperte dal cumulo di vecchi, rannicchiandosi il più possibile.
Il fabbro continuava ad avvicinarsi, Kyle poteva sentire il suo canticchiare farsi sempre più vicino.
Si avvicinò ancora, e ancora, e ancora.
Il ragazzo riusciva a sentire il suo respirare pesante, causato dalla troppa stanchezza, ricompensa della giornata lavorativa. Gli sembrò quasi di sentirlo esattamente dietro la nuca, alla base del cervelletto; poteva percepire l’odore acre e pungente dell’uomo che si trovava a pochi passi da lui, pensieroso e dell’umore giusto da intonare un canto alle tre di mattina.
Però lui non canticchiava più.
Improvvisamente Kyle si ritrovò circondato dal più totale silenzio, eppure era convinto che il fabbro si trovasse dal lato opposto del suo rifugio improvvisato. Come se fosse sparito nel nulla, senza lasciarsi dietro neanche il rumore dei suoi passi lontani.
Kyle si sporse leggermente sul lato del cumulo di coperte, curioso di conoscere la fine del suo compagno.
Non lo vide.
In quel momento lo immaginò eretto dietro di lui, pronto a riportarlo da Daisy, che lo avrebbe conciato per le feste. Nella sua testa lo vide portarselo dietro, usando il suo lobo come un guinzaglio. Chiunque lì sotto lo conosceva, non avrebbe neanche potuto mentire sulla sua identità e sul perché si trovasse fuori di casa a quell’ora.
Dei passi risuonarono in lontananza, provenienti dai viali più interni. Kyle si rassicurò, convinto che il pericolo fosse ormai passato.
Il cuore finalmente decelerò, raggiungendo pochi attimi dopo un nuovo picco: qualcuno gli aveva toccato una spalla, e non era un semplice tocco, lo aveva afferrato.
Il ragazzo rabbrividì, convinto di essere nei guai fino al collo. Si girò il più lentamente possibile, per cercare di guadagnare qualche altro istante; il cuore aveva traslocato nella sua mente, poteva sentire ogni battito rimbombare senza fine al suo interno, come una granata a grappolo lasciata lì, in attesa di essere attivata. La presa venne stretta ancora di più sulla spalla del ragazzo, iniziando a strattonarlo.
- Ti prego lasciami stare, non volevo fare niente di male! - urlò girandosi.
Si ritrovò con un piccolo Meowth scodinzolante fra le gambe, intento a afferrargli i vestiti e tirarli, giocando con essi.
- Mi hai fatto prendere un colpo piccoletto, sai? - accarezzò il Pokémon al di sotto del collo, ricevendo in cambio un magnitudo 8.5 di fusa. Kyle sorrise, notando con quanto poco un Pokémon possa essere felice; bastava un semplice gesto, anche solo una carezza, affinché la sua giornata possa essere considerata valida da vivere. Anche se per un breve lasso di tempo, era riuscito a rendere felice qualcuno, e questo lo ripagò dell’infarto preso poco prima.
- Chi ha parlato? C’è qualcuno lì fuori? - chiamò una voce dalla casa alla destra di Kyle.
Il ragazzo solo allora si accorse di essersi nascosto nella veranda del vicino del fabbro. I passi si avvicinarono alla porta, Kyle venne preso alla sprovvista.
Si alzò e iniziò a correre, mentre una voce lo chiamava, sempre più lontana - Ehi ragazzo torna qui! Cosa è successo?
Kyle continuò a correre a perdifiato, noncurante dei polmoni che iniziavano a chiedere pietà dopo lo sforzo sempre crescente a cui erano sottoposti. Smise di correre soltanto quando si trovò all’ingresso della galleria che avrebbe dovuto usare, era piccola, e non completa. In effetti era proprio per questo che era perfetta: le dimensioni lasciavano a desiderare, obbligando Kyle a camminare in ginocchio per tutto il tragitto, ma questo si tramutava in vantaggio in quanto il solo che potesse passare di lì, era l’Excadrill che l’aveva scavata. Quindi era praticamente privo di vigilanza, dato anche che nei pressi dell’ingresso si trovavano i dormitori delle sentinelle, costantemente sorvegliati.
L’unica cosa da fare adesso era trovare un diversivo. Kyle iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di una qualsiasi cosa che possa essergli d’aiuto. Una delle guardie si voltò dalla parte opposta della galleria, pronta ad accogliere l’uomo che stava arrivando.
- Salve ragazzi, ho visto un ragazzo correre dalle mie parti, non sarà mica un infiltrato, vero? Avete visto qualcuno? - chiese il fabbro.
Kyle non perse l’opportunità, si incamminò verso la fessura e vi si immerse completamente, percorrendo in una sottospecie di corsa a quattro zampe il primo tratto di corridoio, in modo da mettere strada e oscurità fra di lui e le altre persone. Kyle conosceva a memoria quel cunicolo, lo aveva usato già diverse volte per le sue fughe rapide, e proprio per questo non si sentiva affatto afflitto dal buio che lo circondava. Parve dimenticarsi delle sue disavventure precedenti, compreso l’attacco della Banshee.

- Finalmente fuori - Kyle inspirò a fondo l’aria fresca e pulita.
Mai come in quel momento aveva apprezzato la delicatezza della leggera brezza che, silenziosa e timida, gli carezzava il viso.
La prima cosa che fece, senza alzare lo sguardo, fu dirigersi verso il piccolo albero che si alzava dal terreno, poco distante dalla galleria dalla quale aveva avuto luogo la fuga del ragazzo. Non sapeva che tipo di albero fosse, né il colore delle sue foglie; circondato dall’oscurità, desiderava soltanto avvicinarsi alla sola cosa visibile alla debole luce della Luna.
Chiuse gli occhi non appena la sua schiena incontrò la dura corteccia dell’albero. Era molto scomodo restare in quella posizione, ma a lui non importava: la luce lunare donava un debole chiarore pallido al suo viso, sfumando i suoi lineamenti poco marcati.
Kyle si esternò dall’intero universo. Poté vedere il suo corpo allontanarsi nel mentre il suo spirito si innalzava verso il cielo; gli parve di volare, e di poter vedere tutto dal suo piccolo posto nell’universo.
Per un solo attimo, riaprì gli occhi, lasciando che la luce delle tante stelle si immergesse nei suoi doloranti specchi dell’anima. Essa venne lasciata vagare in quella notte buia e insonne, sperando che il vento la portasse in un luogo migliore.
Kyle iniziò a fare riflessioni su riflessioni, la cosa che più lo attanagliava era il dubbio sulla giustizia della sua esistenza, non poteva riuscire a credere che per colpa di un gruppo di esseri viventi, lui e la sua gente, così come il resto del mondo, erano obbligati a vivere nel terrore e nella miseria, privi di libertà. Piegò in avanti il collo, lasciando che la sua testa sprofondasse nelle ginocchia portate al petto.
I ricordi della sua infanzia iniziarono a tornargli in mente, partendo dal momento in cui era nata la cicatrice che aveva sul volto, non era mai riuscito a ricordare prima dell’incidente. Neanche voleva saperlo, in quel momento. La sola cosa che riuscì a fare fu piangere. Le lacrime caddero sulla sua maglietta, lasciarono al loro passaggio tutto il dolore che il ragazzo provava, intrappolandolo sul cotone che lo vestiva.
Il suo pianto divenne sempre più forte, a stento riusciva a trattenere i singhiozzi. Pensava alla sua defunta madre, il suo padre scomparso, a tutte le persone che ogni giorno soffrivano all’interno della sua grotta. Piangeva perché sapeva che, a pochi chilometri di distanza, c’erano altri gruppi di rifugiati che vigevano nelle stesse condizioni, mentre una misera fetta di una sottospecie di umanità, si accaparrava tutti i beni, ovviamente senza omettere lo sfruttamento dei Pokémon, diventato normale routine negli ultimi anni.
Ma la cosa che più fece male, come una pugnalata al cuore, fu il ricordo di Cole. Le immagini di lui che faceva ritorno al Quartiere, con tutte le provviste necessarie a sfamare la sua gente, sorridendo mentre cavalcava il suo Rypherior, si fusero con quelle della sua scomparsa, dovuta all’improvviso attacco dei Sacerdoti. Quel giorno morirono centinaia di persone, prima che il resto riuscisse a scappare. La notizia divenne virale, e in pochi mesi la Resistenza era già nata in tutto il globo, erano iniziati gli anni del sangue. Era tutto diventato ancor più orrendo, e Cole non c’era più. Il solo a cui teneva come un vero padre, era morto. Kyle si sentì solo, davvero solo.
Le lacrime iniziarono a fermarsi, mentre il ragazzo cercava di distrarsi dai fantasmi del suo passato.
Si asciugò gli occhi, passandosi le mani sul viso. Era molto più leggero ora, come se avesse perso una parte ormai vecchia e inutile di se stesso, lasciando lo spazio per il futuro. Sapeva però che a breve sarebbe ritornato tutto come prima, ma non importava, adesso stava bene.
Iniziò a giocherellare con un ramo secco caduto per terra, disegnando cerchi e figure geometriche senza un senso preciso nell’argilloso terreno in cui l’albero nascondeva la sua parte più intima, quando udì un nuovo pianto di dolore levarsi nelle vicinanze.
- E questo cos’è? - Kyle si allarmò.
Il pianto, straziante, proveniva dalla parte opposta del grosso tronco. Kyle si alzò, titubante, quando la sua curiosità visse sul suo buon senso che gli urlava di scappare nel buco da dove era uscito e tornare a tutta corsa nella sicurezza del suo rifugio.
Fece mezzo giro, e allungò il collo, sporgendo solo per metà con la testa dall’altra parte dell’albero.
Steso su di un piccolo letto di foglie, c’era un Cubone che piangeva tenendo stretto il cranio di colei che probabilmente era stata la sua madre, di fianco era posizionato un osso, con un’estremità fissa nel terreno, mentre sull’altra era stata appoggiata una grossa foglia, in modo da creare un piccolo riparo dal vento. Il Pokémon si era unito al suo canto di dolore, avvolto dal mantello della fredda e dolorosa oscurità.
- Ehi… piccolo… - Kyle fece per avvicinarsi, suscitando il terrore negli occhi dell’altro.
- Nono fermo! Non voglio farti del male, vieni qui, prendi - si sfilò la maglietta, offrendola al Cubone.
Questi la annusò, senza mai lasciare la presa dal cranio che stringeva fra le mani.
- Prendilo, così ti scaldi un poco, piccolo.
Cubone allungò una mano, afferrando un piccolo lembo della maglietta che Kyle lasciò cadere fra le sue piccole mani. Lui la sistemò nel terreno, per poi sedersi sopra.
Kyle guardò il piccolo Pokémon, il cui cranio marrone chiaro risplendeva alla luce della Luna.
- Ti fa male, vero? So cosa si prova, mi dispiace… - il ragazzo gli si sedette di fianco.
Cubone continuava a tenere gli occhi fissi sul cranio di sua madre, con gli occhi pieni di lacrime.
Lacrime in cui, le stelle, si specchiavano.
- Sono stati degli uomini in bianco, vero?
Il Pokémon annui.
- Sai vero che lei non è morta triste? Perché sa che tu stai bene. Guarda lì su - indicò il cielo - Lei è uno di quei piccoli puntini bianchi, e veglia ancora su di te, solo che non la puoi sentire. Ma lei c’è, è sempre con te, e non ti abbandonerà mai.
Cubone non smise neanche per un istante di fissare il teschio che aveva fra le mani. Kyle pensò quasi di rinunciare a tirar su di morale il suo nuovo amico, quando questi si alzò e, senza esprimere il minimo sentimento, si distese sulle gambe del ragazzo, stringendo in una mano il teschio, e nell’altra la maglietta bagnata delle lacrime di Kyle. In breve tempo il Pokémon si assopì, rasserenato dalla presenza del ragazzo.
Kyle si appoggiò al tronco e strinse il suo abbraccio sul suo protetto, chiudendo per un lungo istante le sue palpebre rese ormai pesanti dalla fatica del giorno.

Le prime luci del giorno nascente investirono il viso del ragazzo. Lui si svegliò, con la schiena a pezzi a causa della posizione in cui era rimasto per tutto quel tempo.
- Mi ero addormentato… - Kyle sbadigliò, aprendo a poco a poco gli occhi non più abituati alla anche più minima luce.
Guardò il piccolo Cubone che dormiva ancora sulle sue gambe, respirava serenamente. Il teschio che stringeva fra le mani riflesse una parte dei raggi solari ancora tiepidi, indice che il Sole stava iniziando la sua corsa verso il suo punto di zenit.
- Oh merda è tardissimo, se Daisy non mi trova a casa sono morto - il ragazzo spostò delicatamente Cubone, sistemandolo sotto le fresche chiome dell’albero. Gli lasciò la sua maglietta, utilizzata come coperta. Lui si svegliò, anche se rimase quasi completamente stordito dall’improvviso cambiamento di prospettiva.
- Scusa amico, devo correre a casa, mi ha fatto molto piacere stare qui con te - gli accarezzò il morbido e caldo capo, soffermandosi per più tempo dietro le orecchie. Cubone parve accettare di buon gusto le carezze del ragazzo.
- Adesso devo andare però, tu resta nelle vicinanze, magari qualche giorno di questo ci rivedremo! - Kyle scattò in piedi, diretto verso il cunicolo che lo avrebbe riportato indietro.
Il Pokémon realizzò, qualche istante dopo la sua scomparsa fra l’oscurità della terra, che era nuovamente solo. Il senso di tristezza e solitudine che poche ore prima gli attanagliava il cuore, tornò a colpirlo nel profondo. Cubone si sentì maledettamente male, raccolse il teschio di sua madre, lo avvolse nella maglietta ormai sporca di terreno del ragazzo, e se lo caricò sul petto, intonando il suo perenne lamento di dolore.
 
- Hancock

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