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Blue Eich - Remembers

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Ciao! Il mio nome è Anita e provengo da Soffiolieve. Probabilmente saranno in pochi a conoscerlo, ma ciò non mi sorprende: è il classico villaggio campagnolo composto da pochi abitanti.
Dopo aver lavorato con impegno insieme alla mia squadra, due anni fa sono riuscita a sconfiggere Nardo, il Campione della Lega di Unima. Inoltre ho dato del filo da torcere al Team Plasma, l'organizzazione criminale che mirava a liberare i Pokémon dalla presunta schiavitù degli esseri umani. In pratica, ormai il mio nome è sulla bocca di tutti. Quando passo per le strade sento mormorii meravigliati e su di me si puntano sguardi increduli, come se fossi una celebrità. Però io non mi sento affatto così speciale. Soprattutto adesso, perché mi sono resa conto che è ora di lasciare il mio posto a qualcun altro…
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Quel pomeriggio avevo deciso di far visita a una delle mie parenti più care – o meglio, l'unica alla quale tenessi davvero. Perciò, con una leggera impazienza nell'animo, bussai alla porta di una casetta che risiedeva nel centro di Alisopoli.
«Chi è?» chiese un'argentina voce dall'interno, mentre un piccolo occhio color caramello spiava dal buco della serratura.
«Ciao, zia!»
Appena mi riconobbe, la donna aprì, fiondandosi a baciarmi affettuosamente le guance. «Oh, Anita, che sorpresa! Entra pure, cara!» m'invitò calorosamente, lasciandomi passare. «Era da così tanto che non venivi a trovarci… Perché non ti fermi a cena da noi, stasera?»
Sorrisi, intenerita dalla sua gentilezza. «Grazie, magari un'altra volta: sono un po' di fretta, oggi. C'è Rina?»
«Certo, te la chiamo subito» rispose l'adulta, annuendo. Si sporse verso le scale lignee che conducevano al piano superiore, per gridare: «Tesoro, scendi, c'è tua cugina!»
Si sentì un tonfo – che Rina fosse cascata giù dalla sedia? – e poi lo sbattere tempestivo di un uscio. La mia cuginetta scese a razzo al pian terreno e mi si parò davanti, tutta trafelata. Dalla sua espressione, sembrava che al mio posto ci fosse un Pokémon shiny.
«Anita?!» esclamò, con il fiatone e le guance purpuree per via della corsa da record. Mi squadrò velocemente dall'alto al basso, per accertarsi che fossi reale.
Feci una risatina sommessa e mostrai una finta riverenza, tenendomi l'orlo dei pantaloncini di jeans come una sfarzosa veste. «L'eccezionale Campionessa, in persona!»
Senza più esitare oltre, la giovane mi abbracciò di slancio, un abbraccio candido in cui erano racchiusi tutto l'affetto e la gioia di rivedermi.
Rispetto all'ultima volta, camera sua non era cambiata di una virgola. Il poster di Velia con il basso in mano – preso da una rivista – troneggiava ancora sul muro. La scrivania era impeccabilmente in ordine, come sempre, senza nemmeno una matita o un foglio fuori posto. Anche la cornice con una sua foto d'infanzia insieme a Toni non si era mossa di un millimetro dal comò, accanto all'adorabile peluche di un Oshawott che le avevo regalato io stessa il giorno della mia partenza. Era triste di non poter venire assieme a me, ma d'altronde aveva solo otto anni all'epoca. Così l'unica soluzione che avevo trovato era stata regalarle un pupazzetto identico al mio starter e dirle di allenarsi duramente con lui, come se fosse un Pokémon vero. Beh, inutile dire che se n'era andata via saltellando tutta contenta.
Mi persi a osservarla, pensando a quanto fosse cresciuta, mentre pettinava con cura le punte di quei lunghi codini color cioccolato al latte. I miei capelli, al contrario mossi e scuri come il cioccolato fondente, li pettinavo di rado per ottenere un effetto un po' sbarazzino – ma non troppo, grazie alla coda alta che li racchiudeva lasciandoli ricadere come una cascata.
«A cosa devo l'onore di ricevere una vostra visita, illustrissima?» chiese Rina, con ironia, mettendo fine al silenzio. Ripose la spazzola a bordo della scrivania e si sedette sul letto a due piazze, a gambe incrociate.
Assunsi la sua stessa posizione, ma dalla parte opposta. «Beh, sono venuta perché ci tenevo a stare un po' con te…» La mia espressione, d'un tratto, s'indurì. «Ma soprattutto perché voglio raccontarti una storia.»
Mi schiarii la voce con teatralità, mentre la bruna sbatteva innocentemente le ciglia. Un po' come quando eravamo piccole e alla sera inventavo per lei i racconti più assurdi e avventurosi. Era allora che mi guardava in quel modo, curioso e attento, come se pendesse dalle mie labbra.
«Che genere di storia?»
«Lo scoprirai» dissi, con una scrollatina di spalle, infilando la mano nella borsa. «Ma… Non ce la faccio a raccontartela qui. Sai che i luoghi chiusi non mi piacciono.»
«Oh, no… Non dirmi che…» Rina deglutì, avendo intuito le mie folli intenzioni.
Sorrisi con un lampo di furbizia, lanciando una Ultra Ball. Da un fascio di luce si liberò una sagoma che fece un ruggito combattivo, ancor prima di materializzarsi per intero. In tutta la sua imponenza, il mio Reshiram poggiò le zampe sul pavimento legnoso. Piegando le ali, occupava gran parte dello spazio della camera. Scrollò il muso, siccome lo tenevo rinchiuso da troppo tempo, per via del livello e la mole elevati a dispetto del normale.
«F-Fallo uscire!» strillò la bruna, indietreggiando e appiattendosi contro la spalliera del letto per lo sgomento.
«Perché?» domandai, tranquilla, mentre davo una carezza sul muso del leggendario; chiuse i suoi occhi limpidi e trasparenti come un ruscello e si lasciò coccolare. Dall'aspetto sembrava indomabile, invece era il Pokémon di tipo Drago più fedele che avessi mai allenato.
Quando sentii uno scricchiolio proveniente dal basso, mi bloccai. Ecco perché. La creatura alzò la zampa, ma fu troppo tardi: una trave non aveva retto il suo peso, spezzandosi in due come un banale stuzzicadenti.
Deglutii e porsi in avanti la Ultra Ball, per risucchiare di nuovo il bestione all'interno. Rina non fiatò: stava impiegando tutto il suo autocontrollo per non strozzarmi.
«Cos'è stato quel rumore?» gridò la zia, che per fortuna era occupata a riempire la lavatrice in bagno e non si era accorta del disastro.
«Niente!» ci affrettammo a urlare in simultanea, sperando di non destare sospetti.
Subito dopo, mi beccai un'occhiataccia malevola da parte della ragazza. Come darle torto?
«Prometto che ti pagherò i danni…» le assicurai, con un sorrisetto di scuse.
Lei sospirò. «Tranquilla, mi aggiusterò da sola…»
«Beh, vogliamo andare?» chiesi, arrampicandomi sull'ampio davanzale della finestra, rapida come un Aipom selvatico. Girai la maniglia, spingendo con energia entrambe le ante per far entrare i raggi del sole, che andarono a battere sulla visiera del mio berretto bicolore.
La giovane stette a fissarmi, mentre mi preparavo a balzare agilmente giù. Gettai la Sfera di Reshiram, che ricomparve e si librò verso l'alto, ruggendo maestoso. Scese all'altezza giusta affinché potessi prendere posto in mezzo alle sue vaporose ali, emananti un piacevole tepore, come una borsa dell'acqua calda.
«Sali!»
La bruna alzò un sopracciglio con scetticismo e incrociò le braccia al petto. «Dubiti forse del mio Braviary?» domandò, mostrandomi la Mega Ball che già stringeva tra le dita.
«Oh, non mi permetterei mai» risposi, scherzosamente. «Dai, salta su, niente storie!»
Sbuffò, forse perché voleva dimostrarmi che la sua aquila reale era affidabile quanto il mio drago leggendario. Dopo un altro po' d'esitazione, si convinse a salire.
La brezza mi sfiorava delicatamente la pelle e anche le nuvole che attraversavamo, da lontano somiglianti a batuffoli di zucchero filato. Avevo le palpebre chiuse e le braccia tese, per sentirmi ancora più libera, come se possedessi anch'io un paio d'ali dietro la schiena: una sensazione fantastica, impagabile.
Rina non era della mia stessa opinione: tremava e batteva i denti dal freddo, senza guardare il vuoto sottostante.
Reshiram si fermò e fece uno sbuffo sonoro, come ad attirare la nostra attenzione. Riaprii gli occhi e guardai giù, vedendo un'interminabile moltitudine di conifere.
«Che dici se andiamo al Bosco Girandola?» domandai, mentre il dragone sbatteva placidamente le ali per farci restare nello stesso punto.
«B-Basta che scendiamo!» rispose la castana, senza staccarsi dal manto soffice del Pokémon.
Stavamo camminando in silenzio, così da ascoltare i suoni della natura intorno a noi, oltre al rumore dei nostri passi sul terreno coperto da un folto tappeto di aghi che nascondevano qualche pigna.
«Allora, mi racconti la storia?» mi sollecitò mia cugina, dopo un po'. «Siamo venute qui per questo, no?»
Prima di risponderle andai a sedermi su un tronco, probabilmente crollato chissà quanto tempo addietro durante un impetuoso e devastante acquazzone. Abbassai il capo, perché non ero più sicura di volerle svelare quel segreto che portavo dentro di me con grande desolazione. Però ormai era troppo tardi per tornare indietro. Presi un profondo respiro e mi feci coraggio. «Hai mai sentito parlare di… N
Rina mi fissò innocentemente, mentre mi si sedeva accanto. «Il re del Team Plasma di cui parlavano i giornali?»
Annuii. «Ecco, volevo raccontarti del mio primo incontro con lui…» La mia voce si abbassò, divenendo più soffocata. «E l'ultimo.»
Chiusi gli occhi, lasciando che fossero i ricordi a guidare la mia voce.
Oshawott innalzò la conchiglia che teneva sul pancino, mettendosi a saltellare e battere allegramente le corte zampe.
«Bravissimo!» lo elogiai, con un sorriso luminoso. Era una delle nostre prime vittorie contro una recluta del Team Plasma, ormai già sparita in uno dei vicoli di Quattroventi.
In quel momento vidi spuntare dal denso polverone di nebbia una figura indistinta e fu allora che la mia vitalità – così come quella della lontra – si spense.
Un giovane, con una chioma lunga e ribelle del colore della menta, iniziò a camminare lentamente verso di noi.
Lo osservai, curiosa. Lasciava penzolare le braccia come pesi morti, un cappello sportivo gli ombrava il volto impedendomi di vederlo con chiarezza e l'eco dei suoi passi risuonava sul cemento. Portava tre tintinnanti bracciali d'oro a entrambi i polsi e al collo un ciondolo con un pianeta.
Quando si fu dissolta quell'avvolgente foschia, potei cogliere della dolcezza, in quei due occhi grigi come la caligine cinerea dispersa nell'aria, che dopo qualche istante chiuse. Sorrideva di sbieco.
«Pensa a te e alla tua squadra di Pokémon…» iniziò, rivelandomi la sua voce cristallina e stentorea, soave come il suono di un'arpa. «Che futuro credi vi attenda?» concluse, allungando platealmente le braccia.
Le mie sopracciglia s'inarcarono e poggiai una mano sul fianco, mentre lui emetteva un riso sommesso, per via della mia reazione. Ancora non sapevo che quel ragazzo bizzarro avrebbe cambiato la mia vita.
«E fu così che lo conobbi…»
Quando riaprii gli occhi, vidi quelli di mia cugina che mi fissavano ammaliati, come se avessi appena finito di leggere un coinvolgente romanzo.
Sorrisi lievemente. «Continuo» annunciai, prendendo un lungo respiro. Si sentivano i cinguettii dei Pidove e lo scrosciare del fiume in lontananza, che rendeva gli odori del bosco più intensi e l'aria più pulita. Mi concentrai, animando nella mente quel ricordo doloroso, una spina che si era conficcata nel mio cuore facendolo sanguinare copiosamente.
N si voltò. Contrariamente alle mie aspettative, non sembrava tormentato dalla solita tristezza interiore, come se avesse il cuore circondato da un groviglio di rovi. Il suo sorriso mi ispirava solo serenità. «Ho deciso di partire.»
«Ma… Perché?» sussurrai, incredula, fermandomi a qualche centimetro di distanza dal suo corpo slanciato.
«Voglio viaggiare, Anita. È il mio sogno» annunciò, schietto. Lui era sempre schietto, una schiettezza che lasciava trasparire quanto fosse puro il suo animo. «Se resto qui, continuerò a non capire i sentimenti degli uomini.»
Tirò fuori una Sfera Poké dalla tasca dai pantaloni, per lanciarla verso l'apertura che irradiava quello spazio tetro e principesco di un'intensa luce. Zekrom si materializzò già sospeso nel cielo, attendendo pazientemente ordini.
Senza che lo volessi, il mio volto si bagnò di lacrime e cominciai a singhiozzare flebilmente. Non volevo che andasse via così, dopo tutto ciò che avevamo passato insieme…
Il ragazzo alzò lo sguardo con stupore. Con un dito raccolse una delle stille amare che mi stavano rigando le guance. Come se non avesse mai visto piangere una persona, come se fosse stupito che qualcuno potesse piangere per lui. Si portò una mano tra i folti capelli, non sapendo come reagire. Poi si avvicinò al mio viso, per posarmi d'istinto le labbra sulla fronte. Gelide, ma morbide come una fetta di pandispagna.
Dopo aver spezzato il contatto magico tra di noi, curvò le labbra in un mezzo sorriso, per nascondere la malinconia. «Hai detto di avere un sogno anche tu… Se è vero, realizzalo!»
Annuii, stregata dalla sua voce. Mi distruggeva il pensiero che presto sarebbe diventata solo un frammento distorto e intangibile della mia memoria.
«Sono i sogni e gli ideali a darci la forza di cambiare il mondo… Sono certo che tu ce la farai. Era tutto ciò che volevo dirti.» Mi lanciò un'ultima occhiata, con le sue penetranti pupille che ho sempre associato a nugoli di pioggia. «Addio.»
Si girò e montò sul dorso di Zekrom. Il ruggito del Pokémon risuonò potente tra le mura diroccate, prima che partisse come un siluro. Puntava verso l'orizzonte, che stava assumendo le sfumature accese dell'imbrunire. Li vidi divenire sempre più piccoli e più lontani, finché non sparirono totalmente.
Ecco, se n'era andato. E io non avevo fatto nulla per fermarlo, perché era giusto così. Non ero nessuno per chiedergli di rimanere. Potevo solo cullarmi nei ricordi del suo aspro profumo di bacche, del bacio d'addio, i sorrisi soavi, la delicatezza del suo tocco di ghiaccio… Singhiozzai e mi gettai in ginocchio sul drappo che copriva il pavimento di quel regale palazzo ormai in rovina.
«N…» mimai, distanziando di pochi millimetri le labbra. Stetti lì per un po', perché avevo bisogno di silenzio, di pensare, di metabolizzare ciò che era successo.
Poi mi rialzai, passandomi un braccio sul viso per asciugare le lacrime.
“Un giorno ti troverò…” pensai, rialzando con determinazione il capo.
«E quella fu l'ultima volta che lo vidi…»
«Ah…» commentò l'Allenatrice, come se ci fosse rimasta male. Ma in fondo non avevo mai detto che quella fosse una storia a lieto fine.
«Ci tenevo a raccontartelo» mi giustificai, improvvisamente un po' a disagio. Sforzandomi di cacciare via la tristezza, presi l'ennesimo respiro profondo. «Ascolta, Rina… Il mio momento di gloria è finito, ora tocca a te riportare la pace a Unima.»
La bruna mi guardò, smarrita. Leggevo chiaramente la paura nelle sue iridi espressive, come le mie di un nitido azzurro. «Ma Anita, cosa dici…»
«Spetta a te finire ciò che ho cominciato. Unima è cambiata in questi due anni… Io sono il passato, ormai. Tu sei il futuro.»
La vidi sussultare all'udire quelle parole. Abbassò lo sguardo, mordendosi un labbro per l'agitazione. Era evidente che non si sentisse pronta ad affrontare una responsabilità di tale portata.
«Ti aiuterò» promisi a bruciapelo.
«Sul serio…?» chiese, sorpresa e leggermente più sollevata.
«Certo!» esclamai, con un sorriso affabile. «Tutti ti aiuteremo: io, la professoressa Aralia, il tuo amico Toni… Tutti ti daremo una mano, ma tu dovrai impegnarti al massimo!»
«Lo farò» annunciò la ragazza, con un sorriso, lieve ma sicuro.
Le sorrisi di rimando, perché ero fiera di lei. «Brava, questo è lo spirito giusto!»
Proprio in quel momento, un ringhio stridulo e allo stesso tempo grave squarciò il cielo.
Mi mancò il fiato. Avrei riconosciuto tra mille quel verso e quel fragore d'ali che emettevano scintille dalla coda a cono. Tra le nubi piovane, per un istante, scorsi un profilo possente. Interamente nero, come la pece e l'oscurità più buia. Sbattei le palpebre, attonita, ma subito mi riscossi.
«N…» sussurrai, meravigliata. Mi ci volle qualche secondo per riprendermi, dopodiché afferrai velocemente una Ultra Ball.
Bianco, bianco come la pura verità. Nero, nero come il vero ideale.
Reshiram e Zekrom, chiaro e scuro.
Lo yin e yang, due contrari che si completano a vicenda.
Bianco e nero vanno uniti, come vanno uniti umani e Pokémon.
«Ti saluto, Rina, devo proprio scappare.»
«Dove vai?» chiese la bruna, un po' delusa che avessimo passato così poco tempo insieme.
Sorrisi, innalzando il capo. «Dicono che bisogna inseguire i propri sogni. Beh, io ho trovato il mio… Perciò è meglio che mi sbrighi a raggiungerlo, prima che ne perda le tracce un'altra volta!» Le feci l'occhiolino con una risata leggera, mentre liberavo il mio drago.
Mi accomodai sul suo soffice dorso. Pochi secondi dopo, ruggì al pieno delle forze e scrollò il muso per emettere a vuoto una vampata di fuoco, in segno ch'era pronto alla partenza. Puntai un braccio verso l'etere celeste che si stagliava sopra di noi e con un rombo ci alzammo in volo, diretti verso l'ignoto, ma con una nuova speranza per il futuro, una fiamma che ora ardeva come non mai dentro di me.



Angolo Autrice
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Salve!
Mi è venuta voglia di scrivere questa storia quando, in Pokémon Bianco 2, ho attivato l'Asse dei Ricordi collegata al mio vecchio Pokémon Nero (prima che sparisse, siccome ho perso la cartuccia sul pullman della scuola… Rip Samurott, mi manchi tantissimo piccolo mio). Non appena ho rivisto N, un mare di ricordi e il desiderio di rivederlo mi hanno invasa, così ho deciso di provare a scrivere qualcosa…
I personaggi sarebbero nell'universo del videogioco e li ho manovrati a mio piacimento, dando loro una caratterizzazione più specifica :) l'unica differenza è che qui Anita e Rina sono cugine, perché mi sembrava carino così. A proposito, ci tengo a precisare che il nome Anita non mi piace per niente, preferisco Bianca o Touko, ma per stavolta ho voluto restare fedele alla traduzione italiana.
Il primo incontro con N non è fedele all'originale dei videogiochi, bensì si ispira al trailer di BW2 presente su Youtube. L'ultimo invece è stato tratto dal videogioco, con qualche piccola modifica per rendere il tutto più fluff/angst.
Se mi lasciaste una recensione mi farebbe molto piacere!
Alla prossima!
-H.H.-

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