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Komadori - Speciale per Halloween - Sinking Madness (by Xavier)

 
Sinking madness



By Xavier


gogo



Nella mia città, dunque, non molto distante dalla mia abitazione, in una modesta casetta su un promontorio a strapiombo sul mare, viveva una donna di nome Giulietta; se sia ancora viva non lo so, dopo tutto questo tempo passato lontano da Arenipoli. Apparentemente era una normale signora sulla trentina, alta, dal bel fisico armonioso e snello, un viso solare con capelli dorati e pelle ambrata sotto i caldi raggi solari, sempre sorridente e disponibile con tutti. Ma se descriverla fisicamente può risultare banale, parlare del suo carattere risulta un'impresa.
Certamente posso affermare che era una donna molto socievole e sempre pronta a scambiare quattro chiacchiere con chiunque: la solitudine gioca brutti scherzi d'altronde. Aveva sposato un marinaio della sua stessa età quando entrambi erano molto giovani ed innamorati, e poi si erano trasferiti insieme in quella casa dove avevano iniziato una serena convivenza. Li si vedeva scendere, ad ogni tramonto, giù per le basse spiagge del borgo, tenuti per mano e felici mentre si concedevano lunghe passeggiate fino a notte, scherzando spensierati sul bagnasciuga. Una scena patetica, per i miei occhi. Ad ogni modo, una di quelle sere l'uomo corse dalla sua amata in lacrime, miste tra gioia e tristezza, poiché finalmente era stato assunto come timoniere su un piccolo veliero e questo avrebbe portato a due conseguenze: da un lato, un lavoro sicuro e un salario decente, dall'altro l'allontanamento da Giulietta per lunghi periodi. Prima della sua partenza, l'indomani mattina, i due si appostarono ad attendere l'arrivo dell'imbarcazione sul molo, mentre l'alba iniziava a colorare l'atmosfera coi suoi dolci colori, scambiandosi nel frattempo tra pianti e sorrisi le ultime effusioni amorose, quasi avessero temuto che sarebbero state le ultime. Il mezzo non tardò ad arrivare, il marinaio saltò sopra, salutò la ragazza agitando freneticamente il cappellino stretto in mano e ben presto sparì all'orizzonte, creando commozione in tutti i presenti che conoscevano e adoravano la coppia.
Arenipoli, come si sa, è una meta fondamentale per tutti gli allenatori decisi ad affrontare la Lega Pokémon, poiché ospita l'ottava ed ultima palestra, quella di tipo Elettro, ma generalmente questi giovani intraprendenti si fermano a trascorrere anche qualche giorno in più in giro per la città, dal momento che sa offrire un piacevole paesaggio marino e varie attrazioni, come lo storico mercato o il grande faro e, sorprendentemente, anche la casa di Giulietta. Casa sua, dunque, era quasi sempre aperta, sia nelle ore diurne che in quelle notturne, aperta proprio a tutti, tuttavia a farle visita erano perlopiù i turisti, per pura curiosità o per gustare una fresca bevanda e scambiare qualche ciancia; gli abitanti del posto invece tendevano a tenersene alla larga, per un'assurda scaramanzia. Curiosamente, se qualcuno chiedesse a quegli allenatori di parlargli di Giulietta, ognuno di loro con tutta probabilità ne darebbe una descrizione totalmente diversa, solo alcune coinciderebbero.
Chi aveva avuto occasione di incontrarla il Lunedì, aveva il ricordo di una donna abbacchiata e mogia che chiedeva di esser tirata su con una storiella frizzante per poter cominciare con più brio la nuova settimana pronta a venire, e chi riusciva a soddisfare la sua richiesta, otteneva un Fiocco Allarme da applicare ad uno dei propri Pokémon, "per ricordare un evento corroborante che ha creato energia vitale". Chi, invece, era andato a trovarla di Martedì, ne forniva una versione pressoché diversa: Giulietta come una donna alquanto agitata che raccontava del primo appuntamento avuto col marito, avvenuto appunto un Martedì, e di come l'evento le avesse incusso timore, e a tal proposito pregava il visitatore di raccontarle qualcosa che potesse stupirla, e chi la sorprendeva vinceva un Fiocco Stupore per il proprio Pokémon, "per ricordare un evento elettrizzante che ha reso la vita più emozionante". 
Durante il Mercoledì, poi, era solita lamentarsi per qualche chilo di troppo che le impediva di indossare un abito regalatole dal marito e così l'ospite, attirato da quelle lagne, si ritrovava costretto a narrarle una storia commovente per farla piangere, e se le lacrime sgorgavano dai suoi occhi, ricompensava l'oratore con un Fiocco Sconforto, "per ricordare tristi sentimenti che hanno aggiunto sale alla vita".
Di Giovedì invece Giulietta risultava piuttosto energica, tant'è che, dopo la visita di un allenatore, al quale chiedeva se avesse mai vissuto un'esperienza di sbadataggine, come ad esempio calzare un paio di scarpe coi piedi opposti, divertita dalla disavventura appena udita, correva giù al mercato per comprare la sua rivista settimanale che usciva proprio quel giorno, e faceva la stessa cosa ad ogni singola visita, per poi donare al visitatore un Fiocco Indolenza, "per ricordare un errore che però ha fatto prendere decisioni importanti".
Gli allenatori poi che erano andati a trovarla nel Venerdì, ricevevano una richiesta alquanto bizzarra: poiché Giulietta si disperava non riuscendo a trovare una nuova ricetta nel suo scarno repertorio culinario, li pregava di parlarle di qualcosa che avesse a che fare con dei numeri ordinati in modo "perfetto", come un acquisto dal costo di 777 Pokédollari e così la donna, rincuorata, offriva loro un Fiocco Relax, "per ricordare un evento piacevole che ha dato vivacità alla vita".
Infine, i giovani che si erano accomodati nella sua dimora nel weekend, ricordavano atteggiamenti della donna ancora una volta differenti: quelli del sesto giorno della settimana, rimembravano una Giulietta particolarmente impigrita e assonnata, desiderosa di stringere un morbido cuscino tra le braccia, che chiedeva consigli su cosa avrebbe potuto usare come guanciale e dove comprarlo, e se la proposta soddisfaceva la sua richiesta, prontamente donava al consigliere un Fiocco Pisolino, "per ricordare una grossa dormita che ha reso la vita più rassicurante". Chi era riuscito a fare un salto da lei nell'ultimo giorno della settimana, ne rievocava una memoria particolare: Giulietta preda della nostalgia, che si metteva a raccontare le sue avventure vissute in gioventù quando, a detta sua, era felice. Ne seguiva un lungo sospiro e poi, concludeva, che era felice anche in quel momento, con la sua nuova vita accanto al suo amato marinaio, ma che era un tipo di felicità diversa e, come suo solito, poneva una domanda all'interlocutore: chiedeva cosa significasse per lui la felicità. Ognuno certamente dava risposte personali e soggettive, ma ad ogni modo lei ricompensava tutti con un Fiocco Sorriso, "per ricordare che sorridere arricchisce la qualità della vita". Comunque sia, non mancava giorno che non parlasse di quel marinaio, di quanto soffrisse per la sua assenza, e a chi le chiedeva dove si trovasse, lei scrollava le spalle e rispondeva sbuffando che non ne aveva idea, "da qualche parte in mezzo al mare", e l'ingenuità con cui dava quelle risposte inteneriva i cuori di tutti. Ah, che stolti! Se solo avessero conosciuto la verità dei fatti non si sarebbero fatti smuovere così, e il bello della storia giunge proprio qui.

Un pomeriggio di fine ottobre, dopo aver finito i miei compiti, decisi di scendere giù in spiaggia per respirare un po' di brezza e per far sgranchire il mio Magikarp ormai prossimo all'evoluzione. Erano giorni che non ne voleva sapere di rimanere nella sua sfera, mangiava tantissimo e non faceva altro che saltellare freneticamente in tutta la camera. Un po' controvoglia, dunque, risalii una piccola falesia a picco sul mare e mi sistemai a sedere sulla nuda roccia, poi tirai fuori Magikarp che con un gran balzo si tuffò dalla sporgenza gettandosi nell'acqua, che in quel posto era già abbastanza alta, e lo lasciai libero di nuotare lontano da occhi indiscreti. Quell'angolino di baia già non era molto frequentato per la difficoltà di scalata, in più la fredda aria autunnale scoraggiava la maggior parte della gente a rimanere oltre una certa ora, cosa alquanto propizia per uno che come me voleva starsene da solo, e tantomeno volevo che qualcuno mi notasse insieme a quel Pokémon così impacciato, non vedevo l'ora che diventasse un rispettabilissimo Gyarados.
Il tempo trascorreva placido e tranquillo, di tanto in tanto gettavo qualche occhiata a Magikarp, almeno lui sembrava euforico, poi ritornavo sui miei appunti circa la relazione che avrei dovuto consegnare il giorno dopo, senza mai perdere di vista l'orario. Quando scoccarono le sei in punto, notai qualcosa di strano: il cielo, all'inizio appena solcato da qualche velatura plumbea, aveva cominciato a rabbuiarsi con nere nubi gonfie di pioggia che man mano si addensavano sull'insenaturacostiera, privandola degli ultimi raggi di sole del tramonto. Il vento, poi, era cessato del tutto, così all'improvviso, e l'aria venne colmata da un'opprimente foschia carica di umidità. Mi alzai in piedi e mi accorsi che anche Magikarp si stava comportando in modo anomalo, cercava di risalire lo scoglio con degli spasmodici guizzi, quasi fosse inseguito da uno Sharpedo, senza però riuscirci, procurandosi anzi delle escoriazioni superficiali laddove la sua pelle aveva cozzato con la pietra, per cui lo feci tornare nella sua Poké Ball e lui non oppose alcuna resistenza. Raccolsi le mie carte e discesi rapidamente la falesia, attraversai la battigia e trovai riparo in un piccolo chiosco lì vicino, insieme ad altre persone che come me erano state colte alla sprovvista dal maltempo. Anche i pescatori in procinto di avventurarsi in alto mare ritirarono i loro pescherecci nella darsena e vennero a ripararsi con noi, blaterando i loro timori circa l'imminente tempesta: i più giovani dicevano di non aver mai visto nulla di simile, i più anziani nonché più spaventati invece si misero a parlare di un'esperienza simile vissuta dai loro nonni, incerti però sulla sua veridicità; a quelle chiacchiere di intrattenimento non prestai il minimo ascolto, intento com'ero a scrutare l'atmosfera. Ad essere sincero, non comprendevo il motivo di tutta quella preoccupazione, era solo una normale burrasca, niente di eccezionale per gente di mare come noi, sarebbe stata violenta, questo era certo, ma sarebbe durata molto poco, eravamo abituati a quel genere di clima; poteva risultare giusto inusuale per quel periodo dell'anno, dal momento che tempeste simili sono solite scatenarsi in estate, mentre in autunno si hanno piogge più leggere ma frequenti, o forse quei marinai volevano semplicemente terrorizzare quei poveri turisti ignari che si erano rifugiati insieme a noi, dato che, ora ricordo, quel giorno era proprio Halloween!
Il diluvio non tardò ad arrivare, seguirono lampi, fulmini e folate di vento capaci di smuovere uno Snorlax, e poi al richiamo del cielo rispose anche il mare, le onde si alzarono repentinamente di parecchi metri e si scagliarono con ferocia contro la costa, i cavalloni parevano dei veri e propri Rapidash che, imbizzarriti, galoppavano a briglia sciolta con le loro criniere di spuma frizzante scintillanti nel tetro crepuscolo, e poi anche loro terminavano la sfrenata corsa contro la roccia, infrangendosi in mille fragori. Tutti stavamo fissando estasiati quello spettacolo che ci stava offrendo la natura, quando uno dei lavoratori gridò con una voce così forte da sovrastare il muggito della bufera: "guardate lì!" e puntò col dito una sagoma appena appena visibile in lontananza. Tutti i nostri occhi seguirono il suo indice, e ben presto all'orizzonte si materializzò la silhouette di un veliero.
Quale sciocco mai si sarebbe messo in viaggio con quel tempaccio?
Gli stranieri che erano con noi si misero ad intonare incitamenti verso quell'imbarcazione in balia del caos, come se l'equipaggio avrebbe potuto udirli, e più essa veniva travolta dalla marea, più i loro incoraggiamenti si facevano forti. Li trovavo insopportabili! Era più che evidente l'incoscienza del timoniere, non sapeva mantenere la rotta, si faceva sbattere da una parte all'altra dalle correnti, proprio come un Wingull, in cuor mio speravo affondasse, così avremmo avuto un imbecille in meno in città; e invece ad uno dei pescatori venne la brillante idea di correre al faro per avvertire gli addetti della presenza di un vascello in difficoltà nella mareggiata, ed essi prontamente accesero i fanali e li puntarono proprio sul natante, per fargli da guida; la cosa entusiasmò i presenti, che incalzarono quell'odiosa tifoseria, e alla loro cantilena, come se non bastasse, si aggiunsero anche gli ululati di Houndour che per qualche motivo era uscito dalla sua sfera e si era messo a latrare ben nascosto dietro le mie gambe. Lo presi in braccio per tranquillizzarlo, pensavo fosse spaventato da tutta quella pioggia, certe notti piovose infatti si metteva ad abbaiare alla finestra grattando sul vetro e mi costringeva a metterlo sulle mie ginocchia e accarezzarlo, fino a farlo addormentare quieto. Mai avrei potuto immaginare il reale motivo del suo sconforto.
La tramontana cambiò rotta in modo repentino, iniziando a soffiare verso sud-ovest, proprio in direzione delle falesie rocciose e il veliero, dalle vele mezze strappate, venne sospinto a gran velocità dal vento in poppa in una densissima nebula di foschia che si era depositata sulla superficie del mare, la quale lo inghiottì per intero e lo rapì per diversi minuti dai nostri occhi, e tanto era compatta che neppure la luce del faro riusciva a penetrarla, i marosi poi parvero approfittarne della situazione e si avventarono con ancora più impeto su quel disgraziato, e a quel punto si temette il peggio e tutti tacquero. 

Io tirai un sospiro di sollievo e posai per terra il Pokémon Buio, non vedevo l'ora di tornarmene a casa, ma ecco che di nuovo dalla folla si tirò un grido di eccitazione: la barca, seppur quasi completamente distrutta, era sbucata fuori da quella nuvola torbida ed era stata nuovamente intercettata dai fanali, ma non riusciva ancora a destreggiarsi nella burrasca e presto si sarebbe scontrata contro gli scogli. Non feci neppure in tempo ad alzare lo sguardo sull'orizzonte che quelle urla si troncarono di botto e vennero sostituite o da cupi silenzi o da strida di orrore, e credetti che finalmente la goletta fosse stata inabissata. Intanto, altra gente era scesa in porto, incuriosita dall'allarme lanciato da quel pescatore e mi risultò quasi impossibile sgomitare tra la calca per andarmene, in più Houndour era rimasto a tremare inquietato e non ne voleva sapere di scollarsi dall'angolo del chiosco, e inutilmente strattonavo il guinzaglio; mi arresi alla sua ostinazione e strabuzzai le pupille nella direzione mirata da tutti e finalmente mi resi conto che, a pilotare il relitto, vi era un cadavere, legato dai polsi alla ruota del timone, e nessun'altra anima viva a bordo. In quell'attimo di stupore e distrazione mi sfuggì di mano la corda di Houndour e il canide scappò via, in preda al panico, verso il basso lido e io lo seguii a mia volta, chiamandolo a gran voce; la fitta nebbia che impregnava tutto e mi limitava la visuale improvvisamente venne come riassorbita dal cielo con una fresca ventata, la tempesta cessò in un baleno così come era iniziata e, con essa, anche le onde chinarono le proprie creste, tornando miti e lente. Mi fermai per stropicciarmi  le palpebre punzecchiate dalla rena sollevatasi prima e, quando spostai dal viso l'avambraccio che mi aveva riparato, mi accorsi che il natante si era incagliato nella sabbia proprio davanti a me e il violento urto aveva tanto squassato il cadavere  da fargli ributtare dalla bocca acqua e alghe. Il miasma di  morte si fece intenso, indice che il decesso doveva essere avvenuto almeno tre giorni prima, infatti al malcapitato mancavano i bulbi oculari, probabilmente beccati via da qualche Murkrow, e dalle sue orbite uscivano ancora alghe, e così anche dalle narici e, sempre alghe verdi tenevano le sue mani legate al timone. Il resto della carcassa era ridotto a brandelli, era come se fosse stato squarciato a pezzi da una pesante scure, ma date le circostanze io penso che avesse semplicemente sbattuto con forza contro i parapetti in metallo e si fosse procurato così tutte quelle scissure, e forse era stato proprio un cozzo alla testa ad ucciderlo. Mentre ero intento ad osservare il naufrago, le guardie costiere e gli altri presenti giunsero sul posto e qualcuno debole di stomaco si sentì male e svenne, ma altri meno schizzinosi si avvicinarono e qualcuno mi porse anche delle domande. Risposi che l'unica cosa che mi turbava erano proprio quelle erbe che lo tenevano annodato poiché, mentre lui doveva esser vecchio di qualche giorno, esse erano invece freschissime, come se fossero state messe poche ore prima del ritrovamento, chi mai avrebbe fatto una cosa simile, e a quale scopo? E se così fosse stato, cosa aveva ucciso il marinaio?
Ad ogni modo, espresso il mio parere, mi feci da parte per recuperare il mio Pokémon e lasciar proseguire le indagini, e a quel punto un pescatore disse di aver riconosciuto la vittima grazie ad un tatuaggio che rappresentava un'ancora disegnato sul collo, lo stesso che aveva anche il marito di Giulietta. Tutti quanti ammutolirono e, ironia della sorte, proprio in quel momento arrivò la donna che si fece largo tra la folla e uno dei detective, ascoltate le deduzioni del pescatore, propose a Giulietta di identificare il morto, senza mezze parole, richiesta alla quale i cittadini risposero con rabbia per la mancanza di tatto dell'agente nei confronti della poveretta. Che squallore! Lei parve ignorare l'appoggio del popolo e con stoicismo avanzò e si chinò sul cadavere, bisbigliando poi un nome, credo quello del consorte. L'investigatore dunque annuì soddisfatto all'affermazione della signora, la fece spostare ed ordinò ai suoi di recidere le piante che tenevano vincolato lo sposo, ma più essi tagliavano, più loro stringevano la morsa attorno ai suoi polsi, avviluppandovisi più e più volte; provarono persino a bruciarle con un acciarino, ma anche quello si rivelò un tentativo inutile che rischiava anzi di compromettere lo stato della carcassa. Giulietta allora, approfittando della pausa di riflessione dei ricercatori, si accostò nuovamente alla salma e bastò un solo tocco delle sue mani su quelle dell'altro a far sciogliere come d'incanto i nodi e, quelle alghe, scivolarono via ricadendo in mare e disperdendosi per sempre. Tutti quanti erano troppo presi da quella visione mistica per potersi accorgere che Giulietta aveva afferrato il corpo da sotto le braccia e stava cercando di portarselo via, blaterando frasi come "finalmente sei tornato, adesso possiamo andare a casa, lontano da tutti, e vivere felici insieme"; ma quando il caporale se ne rese conto, le intimò di lasciarlo stare immediatamente altrimenti si sarebbe presa una denuncia per intralcio alla giustizia, lei tuttavia non diede il minimo ascolto alle sue parole e anzi continuò a trascinare il cadavere tenendolo abbracciato, e se le orbite di quest'ultimo erano cave ed inespressive, gli occhi di Giulietta non erano da meno, completamente vuoti e persi, era irriconoscibile.
Poiché l'ultimatum non era stato accolto, il detective stesso si precipitò a recuperare il marinaio deceduto, provò prima a separare le braccia della donna da lui ma non ci riuscì, poiché la presa di Giulietta era diventata dura come l'acciaio e neppure l'aiuto dei suoi colleghi poté dividerli, e così con gli altri due uomini afferrò il morto per le gambe e iniziò a tirare via, e più tiravano, più la tenacia della moglie si faceva intensa. Nessuno osava muovere un dito, era una scena al limite tra il macabro e il commovente, l'orrido e il dolce, sentimenti che perforavano le anime dei più portandoli a piangere e gridare come fossero a teatro, spettatori di una vera  e propria tragedia, ma io non li capirò mai e rimanevo impassibile.
Ad un certo punto, dopo pochi minuti di resistenza, la carogna si spezzò in due parti all'altezza della cintola, segno che evidentemente la sua spina dorsale era stata già rotta quando ancora era in mare, e da entrambe le parti mozzate del suo corpo fuoriuscirono ancora… alghe, alghe verdissime e fresche. Le guardie mollarono inorridite  la loro parte, mai si era visto nulla di simile, le sue interiora erano state completamente sostituite dalle alghe!
Giulietta, nel vedere suo marito tranciato in due, cadde sulle ginocchia, serrandosi al petto ciò che ne rimaneva come il più prezioso dei tesori e lanciò urla indecifrabili, forse mere maledizioni, verso il mare, verso il cielo e contro tutti. Terminato il fiato che aveva nei polmoni, si accasciò sulla sabbia, inerme, e a poco a poco, la pelle  della carogna iniziò a staccarsi dai tessuti e cadere via come foglie e appena toccava il suolo anche essa si trasformava in alghe; fissavamo tutti quel corpo scorticato quand'ecco che anche gli altri tessuti molli decaddero ed ebbero la stessa sorte della cotenna, e del marinaio rimasero soltanto le ossa spolpate e le vesti. Infine, tutto il mucchio di erbe, come fosse dotato di vita propria, strisciò timidamente via verso l'acqua e si disperse per sempre.
La donna era svenuta, motivo per cui venne portata via da dei cittadini, e così l'investigatore, seppur profondamente scosso, poté continuare in santa pace le indagini e fece allontanare tutti, me compreso ovviamente. Ricordo però che a bordo del relitto venne rinvenuto un diario, scritto forse dalla stessa vittima, che venne poi consegnato alla scientifica insieme ad un forziere, anch'esso ritrovato a bordo, dall'aspetto antico ed esotico. Ancora oggi non so cosa abbiano scoperto a riguardo, la polizia preferì chiudere il caso e dopo nemmeno  un mese si perse interesse per la questione e nessuno osò più riaprire il dibattito e, ora che ci penso, quel giorno era un Martedì, proprio come oggi!

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