CAPITOLO 4
Unbated and Envenomed
Unbated and Envenomed
And it's my whole heart
weighed and measured inside
And it's an old scar
trying to bleach it out
And it's my whole heart
deemed and delivered a crime
I'm on trial, waiting 'til the beat comes out
I'm on trial, waiting 'til the beat comes out
(Florence + The Machine; Which Witcht)
weighed and measured inside
And it's an old scar
trying to bleach it out
And it's my whole heart
deemed and delivered a crime
I'm on trial, waiting 'til the beat comes out
I'm on trial, waiting 'til the beat comes out
(Florence + The Machine; Which Witcht)
presente – Anville Town – 14/02/13 [2:21 AM]
« Lou? ».
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flashback – Anville Town – 15/12/12
« Sa perché è stata chiamata qua, signorina Joy? ».
Erika sorrise all’uomo di fronte a lei.
Le sue mani correvano veloci lungo i lembi della sua gonna, verde smeraldo, stropicciandola e arrotolandola su sé stessa. Indossava una camicietta bianca, sbottonata verso la fine, ed un fermaglio verde teneva i suoi capelli a posto. Il suo viso, contratto in un’espressione di imbarazzo, tradiva la sua posizione composta e rilassata. Era incredibilmente sotto pressione.
Davanti a lei, sopra la scrivania che la separava dall’uomo, una risma di fogli era rilegata spartanamente con due fili di spago ed una stampa a caratteri cubitali su foglio bianco, “CARDS”. Più sotto, recitava “ERIKA JOY”.
« Sì » mormorò, il suo sguardo chino verso il pavimento.
Le sue mani correvano veloci lungo i lembi della sua gonna, verde smeraldo, stropicciandola e arrotolandola su sé stessa. Indossava una camicietta bianca, sbottonata verso la fine, ed un fermaglio verde teneva i suoi capelli a posto. Il suo viso, contratto in un’espressione di imbarazzo, tradiva la sua posizione composta e rilassata. Era incredibilmente sotto pressione.
Davanti a lei, sopra la scrivania che la separava dall’uomo, una risma di fogli era rilegata spartanamente con due fili di spago ed una stampa a caratteri cubitali su foglio bianco, “CARDS”. Più sotto, recitava “ERIKA JOY”.
« Sì » mormorò, il suo sguardo chino verso il pavimento.
« Ho visto del potenziale nel suo romanzo, Erika. Posso chiamarla Erika, vero? ».
L’uomo indossava un giacca grigia argento, che lo fasciava stretto e si mescolava ad i pantaloni, del medesimo colore, come un bozzolo su un bruco. Sul petto risaltava una cravatta nera, in parte alla quale scintillava la scritta “Henry Philips”. L’aspetto formale e, per certi versi, noioso era riflesso nel suo viso, coperto da una rada barba e rotondo, sopra il quale anche due occhi verde smeraldo come i suoi scomparivano, come sfocati. L’unica cosa che tratteneva Erika dal dormire, oltre all’euforia, era la sua voce calda e potente.
Tacque, in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.
« Il motivo per cui l’ho chiamata ora è per discutere di alcuni dettagli tecnici riguardanti il romanzo, prima di procedere a qualcosa di più formale ».
« Un contratto? ».
Henry inarcò le labbra in quello che fallì a sembrare un sorriso. « È esatto ».
« Di cosa voleva parlarmi? ».
« Be’, vede… » prese a sfogliare il manoscritto « manca il finale a questa storia ».
« Il finale? ».
« La protagonista! Non si sa che fine faccia, dopo che decide di allearsi con il ragazzo. Porta avanti il piano o scappa? ».
« Non avevo— non avevo pensato ad un finale, in realtà ».
« E come farlo finire? ».
Erika rimase in silenzio.
« Chiederò a Mike di pensarci ».
« Mike? Chi è Mike? ».
« L’editor che si occupa del suo libro, Erika ».
« Ho un editor? ».
Questa volta, Henry allungò talmente le sue labbra in un innaturale espressione di condiscendenza che il suo sorriso arrivò a sembrare raccapricciante, addirittura.
« Certo, Erika. Ogni autore ce l’ha ».
Non seppe se sentirsi lusingata per come era stata apostrofata o per aver appena scoperto che qualcun altro avrebbe messo mano al suo lavoro.
« È necessario? ».
« È molto meno… tutto, ecco, di quanto pensa. Si limiterà solo a correggere eventuali errori. E, ovviamente, scrivere il finale ».
Erika sgranò gli occhi. « Come, scusi? Il finale? ».
« Certamente. Come facciamo a pubblicare un libro senza finale? ».
Non rispose.
« Posso organizzare un incontro tra lei e Mike, per discutere di questi dettagli, se la fa sentire meglio ».
L’uomo indossava un giacca grigia argento, che lo fasciava stretto e si mescolava ad i pantaloni, del medesimo colore, come un bozzolo su un bruco. Sul petto risaltava una cravatta nera, in parte alla quale scintillava la scritta “Henry Philips”. L’aspetto formale e, per certi versi, noioso era riflesso nel suo viso, coperto da una rada barba e rotondo, sopra il quale anche due occhi verde smeraldo come i suoi scomparivano, come sfocati. L’unica cosa che tratteneva Erika dal dormire, oltre all’euforia, era la sua voce calda e potente.
Tacque, in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.
« Il motivo per cui l’ho chiamata ora è per discutere di alcuni dettagli tecnici riguardanti il romanzo, prima di procedere a qualcosa di più formale ».
« Un contratto? ».
Henry inarcò le labbra in quello che fallì a sembrare un sorriso. « È esatto ».
« Di cosa voleva parlarmi? ».
« Be’, vede… » prese a sfogliare il manoscritto « manca il finale a questa storia ».
« Il finale? ».
« La protagonista! Non si sa che fine faccia, dopo che decide di allearsi con il ragazzo. Porta avanti il piano o scappa? ».
« Non avevo— non avevo pensato ad un finale, in realtà ».
« E come farlo finire? ».
Erika rimase in silenzio.
« Chiederò a Mike di pensarci ».
« Mike? Chi è Mike? ».
« L’editor che si occupa del suo libro, Erika ».
« Ho un editor? ».
Questa volta, Henry allungò talmente le sue labbra in un innaturale espressione di condiscendenza che il suo sorriso arrivò a sembrare raccapricciante, addirittura.
« Certo, Erika. Ogni autore ce l’ha ».
Non seppe se sentirsi lusingata per come era stata apostrofata o per aver appena scoperto che qualcun altro avrebbe messo mano al suo lavoro.
« È necessario? ».
« È molto meno… tutto, ecco, di quanto pensa. Si limiterà solo a correggere eventuali errori. E, ovviamente, scrivere il finale ».
Erika sgranò gli occhi. « Come, scusi? Il finale? ».
« Certamente. Come facciamo a pubblicare un libro senza finale? ».
Non rispose.
« Posso organizzare un incontro tra lei e Mike, per discutere di questi dettagli, se la fa sentire meglio ».
𐌳
« Vogliono riscrivere il mio libro, ti rendi conto? ».
« Sono sicuro che hai capito male, Key ».
« Non ho capito male! ». Erika sbattè la lattina di coca sul tavolo. « Ha detto chiaramente che hanno chiamato un editor a riscrivere il mio libro ».
« Beh, puoi biasimarli? ». Si spinse indietro con la sedia, dondolando sulle gambe posteriori. « Manc… il fi—mpf—finale! ». Mandò già un boccone di pizza.
Il manoscritto giaceva sul tavolo, sulla prima di copertina una macchia rossa che partiva dal titolo, stampato a 3/4 sulla pagina, e scendeva fino al lato opposto, gocciolando sulla tavola. Due cartoni di pizza, vuoti, giacevano anch’essi in parte, di fronte ai corrispettivi proprietari, Erika e Louis.
Si trovavano a casa della prima, in salotto, le persiane semichiuse che permeavano l’atmosfera con una confortante penombra.
« È così è basta, Lou » si alzò, raccogliendo i cartoni « è una cosa privata, il mio romanzo ».
« Ancora con questa storia, Key? Della vita passata? ».
« Non è una storia! Ok? ». Gettò i cartoni nel cestino con disprezzo, come se stesse gettando il corpo del suo peggior nemico giù per un fosso. « È una sensazione che non mi scrollo di dosso ».
« Ok, ok » alzò le mani a segno di resa « va bene, ti credo. Erika Joy, avevi una vita passata da spia del governo, sei morta ed è per questo che ora sei così sfigata ».
Erika non trattenne una risata. « Dai! Smettila! ».
« È così! » sorrise Louis « tutto torna, non vedi? Il karma colpisce ancora ».
Gneek. Gneek.
Era il rumore della sedia che, sotto il peso di Louis, lentamente cominciava a piegarsi.
« Perché mi fissi così? ».
« Mf » sogghignò Erika « sono indecisa se baciarti o farti cadere dalla sedia ».
« Sedia—» fece per dire lui, ma la ragazza gli si avventò sopra e gli strappò un bacio. Come fece ciò, afferrò il manoscritto del tavolo e ritornò al cestino.
« Cosa fai? ».
Lo gettò dentro.
« Ehi! Key, possiamo pensarci—».
« Tanto si era sporcato comunque ».
Allungò la mano alla scatola di fiammiferi, ne estrasse uno dalla custodia e lo strofinò sulla striscia nera, liberando una fiamma dalla punta. Al nascere della scintilla, una piacevole vampata di calore raggiunse il viso di Erika, alla quale sorrise.
Lasciò cadere il fiammifero acceso dentro il cestino, che prese ulterioremente fuoco in un’ulteriore vampata.
« Cosa cazzo—».
« Rilassati, Lou, sarà la decima copia che ho fatto ».
Un inquietante sorriso le illuminò il volto.
𐌳 𐌳 𐌳
« Cosa ci fai qua? ».
« La—» balbettò. « Megan… mi ha chiamato ».
« Mi hai fatto spiare dalla signora Pratt? ».
« No » erano le parole che voleva dire, ma dalle sue labbra uscì un più sincero « Sì », quasi involontario, come un riflesso. « Era… era da giorni che non ti facevi sentire, Key. Non eri a casa, tutta la tua roba era qua… ho pensato—».
« Cos’avevi pensato? ».
« Sono solo contento di vederti, ecco. Tutto qui ».
Erika lo guardò, esitante di rispondere. Indossava i pantaloni del pigiama, a righe bianche e blu, ed una giacca di pelle sopra una maglietta sulla quale recitava la scritta “Dreams, sweet dreams”. Le sue scarpe non erano allacciate.
« Ti sei fiondato qua, vedo… ».
Un sorriso inarcò lievemente le labbra di Louis.
« Sì ».
« Io…—».
« Riguardo a quello che è successo, Key—».
« Non importa. Non mi interessa più, del libro ». Erika rimase in silenzio, in attesa che qualcosa succedesse e la rapisse da quell’imbarazzante momento. Louis si stagliava, immobile e muto, sulla soglia della porta, e sul pavimento gettava un’ombra della forma del suo corpo che raggiungeva i piedi della ragazza. « Sono successe delle cose, Lou. Non sono più quella di prima ».
« Quali— quali cose? ». La sua voce era più grave, seria.
« Non importa. Riguarda la mia vita ».
« E io non riguardo la tua vita? ».
Erika sogghignò. Era più un riflesso, uno sfogo nervoso, che un movimento dovuto ad una reale felicità o contentezza. Voleva potersi dire sì, lo sei o no, non lo sei, ma la verità è che non sapeva la risposta. Ogni punto della sua vita, ogni sua certezza era stata spazzata via, li era stata stampata un’etichetta, “Forse”, corrotta dal dubbio. Era nel buio, metaforicamente e materialmente.
« È diverso ».
« È sempre diverso con te, vero? Niente ha mai senso nella tua cazzo di vita, Erika ».
« Basta, Lou… » sussurrò, quasi una supplica. « Non voglio litigare ».
« Io sì, invece! Scompari per giorni, lasci tutta la tua roba qua, e dopo riappari dal vuoto. Pensi sia normale? ».
« Lou… ».
« Niente “Lou”! Sono stuf—».
« BASTA! ». La sua voce tremò attraverso le pareti, un rumore sordo che colpì Louis come il boato di uno sparo diretto a lui stesso.
Delle lacrime scesero lungo la gota di Erika.
« Key… ».
Per la prima volta si mosse dalla posizione che aveva assunto, avvicinandosi al divano in parte ad Erika. La ragazza era sul procinto di un pianto, le mani raccolte sul viso ed il corpo piegato in avanti, sulle ginocchia. Le si sedette accanto, e portò le braccia attorno a lei.
« Shhh… shhh… andrà tutto bene, Key. Qualsiasi cosa sia, ce ne occuperemo ».
Rimaserò così, in silenzio, finché la luce del corridoio non si spense autonomamente facendo cadere il buio sopra di loro.
« Erika? Erika, che fine hai fatto? ».
La voce di Ethan rimbombò per il corridoio.
« Uh? ».
Entrambi alzarono la testa, il loro sguardo schizzato verso il corridoio. Qualcuno era appena uscito dall’ascensore, e la luce della cabina illuminava i suoi tratti appena. Era un uomo, a giudicare dall’altezza e dalla corporatura, e portava i capelli corti e castani. Ethan.
« Erika? È da un’ora che ti sto aspettando ».
« Chi è? » mormorò Louis.
Erika abbassò lo sguardo.
« Erik—».
Come fece scivolare il suo dito sull’interruttore della luce, illuminando il corridoio e rischiarando il salotto, la faccia di entrambi i ragazzi era scioccato.
« Chi cazzo sei tu? ». Ethan varcò lo soglia della casa. « Cosa sta succedendo? ».
« Chi sei tu, piuttosto. Cosa ci fai qua? ».
« Non hai ancora risposto alla mia domanda ».
« Il fidanzato di Erika ».
Ethan rise. « Oh, davvero? È per questo che non ti ha mai menzionato. O mi sbaglio, Erika? ».
Louis tentò di rispondere, ma fu colto di sorpresa dalla risposta di Erika.
« Ethan… ».
« “Ethan…”? Cosa significa “Ethan…”? ».
« Significa, caro Louis, che Eri—».
« BASTA! ENTRAMBI! ». Erika si era alzata, seznza che entrambi la vedessero, intenti com’erano a discutere e si trovava alle loro spalle. In quel momento, il suo cuore batteva a mille ed era quasi incapace di respirare, tanto quella situazione l’aveva messa in difficoltà. La sua vista era annebbiata, i suoi pensieri confusi. « State zitti, ora faremo come dico io. Vi voglio tutti e due in quella stanza » dicendo ciò indicò una porta dietro di sé, che conduceva alla camera da letto « ad aspettarmi, ok? ».
« Cosa stai facendo? ».
« Fai come ti dico, Lou. Anche tu, Ethan ».
Ethan alzò gli occhi al soffitto. « È uno scherzo? Non farò niente di tutto ci—».
« Non hai scelta, o sbaglio? ».
« Potrei andarmene ».
« Allora fallo » sorrise Erika.
L’espressione che aveva in volto cambiò radicalmente. « Ok, va bene. Quello che vuoi, mon amour ».
Sotto lo sguardo obnubilato di Erika, i due la superarono e andarono in camera da letto.
Funzionava.
Si avventò sullo svuotatasche di feltro sul comò, dal quale prese un mazzo di chiavi, per poi raggiungere i due. La sua mano, con le chiavi strette nel palmo, tremava ancora. Alzò il braccio in direzione della porta e con un colpo secco la chiuse, a tal punto da far tremare gli infissi. Infilò le chiavi all’interno e le ruotò tre volte, sotto gli schiamazzi di Louis e Ethan.
« Erika, cosa cazzo stai facendo? ».
« Erika? ».
« Erika dove cazzo vai? ».
« Erika? Erika! Erika! ».
Con tutta la forza che aveva in corpo strinse tra le braccia il comò il tavolo e lo trascinò davanti alla porta, ostruendone così il passaggio. Louis e Ethan continuavano a chiamarla, ma le loro urla non raggiungevano le sue orecchie. La sua mente, in quel momento, era in preda ad una tempesta emotiva come pochi giorni prima. Tutto ciò che vedeva erano flash, confusi e brevi lampi che le sforavano il cervello.
Raccolse la giacca dal divano, mise le chiavi in tasca e raggiunse la soglia della porta.
Non si guardò indietro, nel momento in cui corse in direzione dell’ascensore.
𐌳 𐌳 𐌳
Mike Tinsdale, l’editor assegnato ad Erika dalla casa editrice, arrivò al luogo dell’appuntamento indossando degli occhiali da sole ed una giacca di pelle nera da guidatore di moto. Era alto, robusto, ed indossava una camicia hawaiiana azzurra abbinata a dei pantaloni beige.
I suoi occhi castani, come i suoi capelli, erano intenti ad osservare la bottiglia di vino che aveva appena ordinato e stringeva tra le mani.
« Vedi, Erika, il business dell’editoria è molto più complesso di quello che credi ». Lasciò la bottiglia ed estrasse un manoscritto dalla ventiquattrore « È per questo hanno chiamato uno come me, modestamente, il migliore a quello che faccio ».
Erika sorrise. Il migliore, pensò, e come mai ti hanno assegnato a me?
« Il signor Philips mi ha dato delle linee generali, sulle quali mi sono permesso di fare delle modifiche ». Come pronunciò quelle parole, uno strano sorriso corse sul suo viso: lo avrebbe apostrofato come inquietante.
Estrasse un foglio di carta dalla giacca e lo dispiegò davanti a lei, rivelando delle righe incise a penna sulla superficie.
« Punto uno » lesse « il titolo. Oh ». Sogghignò.
« Cosa c’è che non va col titolo? ».
« Non è abbastanza… impressionante. Non lascia un segno indelebile nella mente, ed è per questo che sono uscito con un nuovo, sfavillante, titolo: Casteliagate: the Affair behind the Scenes! ».
Erika corrugò la fronte in un’espressione di disgusto. « Cosa? ».
« Bello, vero? Non ringraziarmi, è il mio lavoro. Punto due—».
« Dobbiamo per forza cambiare titolo? Cards non va bene? ».
« Certo che no, tesoro. Il campo dell’editoria è più agguerrito che mai, e ti servirà un titolo vincente per diventare famosa. Ora, come dicevo, punto due: le vicende. Dobbiamo sistemare alcune cose ».
« Tipo? ».
« La scena dove il ragazzo e la protagonista si lasciano. È troppo irrealistica, non ha senso. Dovremmo aggiungerci un tocco di dramma, una sfumatura che dia vita alla storia! A questo proposito, avevo pensato di far venire una malattia mortale all’innamorato, cosicché la ragazza sia costretta a lasciarlo perché sa che lui non può vederla soffrire a causa sua, capisci? ».
Erika si trattenne dall’urlare. « Ma non ha senso! Non— il messaggio che voglio mandare è diverso! ».
« In che modo è diverso? Tesoro, se vuoi il mio aiuto su come scrivere un romanzo di success—».
« Non si tratta di questo! È molto più personale ». Abbassò lo sguardo, evitando gli occhi di Mike. « Il libro… è una cosa personale, mia. Non potrei mai… svenderlo così ».
Mike sorrise.
« Non posso aiutarti se non vuoi farti aiutare, Erika ».
Erika si alzò, raccogliendo le sue cose. « Non voglio farmi aiutare, infatti. Grazie del tuo tempo ».
Se ne andò.
𐌳 𐌳 𐌳
Louis si lanciò contro la porta, ottenendo come risposta un rumore sordo che riecheggiò nella stanza. Ethan era nell’angolo della stanza, seduto sul letto, che osservava la scena con riguardo.
« Così la romperai ».
« È il mio obbiettivo, idiota ».
« Ok » commentò atono. « E pensi che il tuo piano funzioni? Cioè, non ha funzionato fino ad ora ».
« Perché startene là seduto risolverà qualcosa? ».
« Non mi fa sembrare un matto » lo apostrofò, con un ghigno.
« La mia ragazza mi ha appena rinchiuso in una stanza con uno sconosciuto dopo essere scappata per—».
« Ex ».
« Eh? ».
« Ex ragazza. Non state più assieme ».
Louis lo fissò, dall’altra parte della stanza, in piedi di fronte alla porta.
Avanzò dei passi ed accorciò la distanza fra i due a mezzo metro, osservandolo dritto negli occhi.
« Mi chiedo cosa mi trattenga dal tirarti un pugno ».
Ethan sghignazzò. « Niente? ».
« Hai ragione » sorrise « niente ».
Alzò il braccio sinistro e tirò un gancio in direzione della sua testa, che venne scaravantata a terra. Un rivolo di sangue scorse sulla sua tempia destra.
« Cosa cazzo stai facendo? ».
« Niente? » lo scimmiottò Louis.
« Coglione ». Ethan si passò la mano fra i capelli: sul suo palmo era disegnata orizzontalmnete una linea di sangue, dalla quale la gravità tracciava delle striscie verso il basso. Si ripulì sulla maglietta e rialzatosi superò Louis, immobile.
« Cosa fai? Te ne vai? ».
« Mi allontano da te ».
« In una stanza di 9 metri quadri. Geniale ».
Ethan scostò una pila di vestiti da una sedia e vi si sedette, dando le spalle a Louis. I suoi occhi erano fissi sulla porta, che non dava segni di movimento; a quest’ora, Erika doveva esser già bella che andata. Scomparsa, svanita in una nuvola di fumo.
In quel silenzio era a disagio.
Improvvisamente il buio.
Come fece per guardarsi attorno si ritrovò a terra, la testa spiaccicata al muro, la vista annebbiata. Appoggiò i palmi della mano contro il freddo legno e spinse all’esterno per rialzarsi, solo per trovarsi con una mano stretta sul suo collo che lo tirava in alto.
« Cazz—».
Louis lo scaraventò in piedi, di fronte a lui. Ethan dovette appoggiarsi al muro per trovare l’equilibrio e riprendere fiato. Si passò la mano sul viso e tastò il sangue scendere copioso.
« Razza di matto! Cosa pensavi di fare? ».
« Cosa pensavi di fare tu, con Erika? Cosa cazzo le hai fatto, eh? ».
Un sorriso corse sul viso di Ethan. « Oh, se sapessi ».
Non completò la frase, colpito dal braccio di Louis. Tanta era la forza esercitata da mantenere il castano a schiena contro il muro a qualche centimetro da terra, i piedi che si agitavano senza toccare il pavimento con successo. L’avambraccio di Louis era orizzontale sulla gola dell’altro e faceva forza con tutto il peso del torace.
Ciò che usciva dalle labbra di Ethan, respiri mozzati.
« C— t—».
I suoi occhi cominciarono a perdere precisione, le immagini si facevano sfocate.
« Cosa sta succedendo, Ethan? ».
Erika apparse di fronte a lui, Louis era scomparso: il suo sorriso era così luminoso da riscaldare la sua pelle e trasmettergli una sensazione di calore. Era circondata da un alone di luce, un’immagine divina.
« Sono… sono morto? ».
Erika non rispose, sorrise.
« Erika… ».
Un rumore sordo scosse le pareti.
La porta cedette di fronte a loro, svelando dietro di sé due uomini in blu. Sulle loro magliette “ATPD”, nelle loro mani una pistola.
𐌳
Come la macchina sfrecciava sull’asfalto della superstrada la sua mente viaggiava fra i ricordi, persa. Fissava il vuoto di fronte a sé, corrispondente a delle linee di cemento e inchiostro bianco che si susseguivano senza fine sulla strada; poteva tuttavia vedere, vivide e di fronte ai suoi occhi, le immagini di Louis e di Ethan. L’idea dei due, rinchiusi nella stanza, le martellava la testa: aveva fatto bene? Decise di sì, aveva fatto bene: non avrebbe avuto modo di scappare altrimenti.
Da sola, alla ricerca di se stessa.
Impiegò l’intera giornata per arrivare a Castelia City e, per l’ora in cui giunse, si era già fatta sera; le luci del crepuscolo illuminavano in lontananza il mare, sostituito dalle ben poco accoglienti coltri di nuvole che si erano accumulate sopra la città. Il colore del cielo rifletteva la monocromia del paesaggio cittaidno, occupato dal cemento, senza che qualche squarcio nel cielo bastasse a ravvivare una città che aveva già perso in partenza. Pareva come se a Castelia stessa non desse fastidio aver perso ogni colore: le macchine erano grigie, le strade erano grigie, i palazzi erano i grigi. Anche le persone lo sarebbero state, se il loro stato d’animo si fosse manifestato in un colore.
La macchina oltrepassò il lungo tunnel di accesso e sbucò sulla Back Street, il lungo ed affollato viale che, dopo kilometri, sbucava sulla Central Plaza. Si guardò attorno alla ricerca di qualche segno ma non ottene che sguardi frenetici ed occhiataccie dai passanti. Andò avanti ancora, imboccò una strada laterale e parcheggiò la macchina.
Nella ricerca di un posto dove stare s’imbatté in qualche ostello dall’aria non troppo invitante sino a che, mezz’ora che camminava, non vide un hotel dall’altra parte della strada che catturò la sua attenzione. Le due stelle che faceva capolino sopra la scritta “Smith Brothers” e la facciata pulita la convinsero che era il posto per lei: un, sperava, basso costo a fronte di un servizio decente.
𐌳 𐌳 𐌳
flashback – Anville Town – 21/12/12
Louis
era appena rientrato in casa di Erika, dove viveva, e stava sistemando
la posta che aveva raccolto dalla cassetta la mattina stessa. Lei non si
ricordava mai di controllarla e toccava sempre a lui, anche settimane
dopo, aprirla, per scoprire come, busta dopo busta, puntualmente si
raggiungeva la capacità massima.
Era solito rispondere alla posta di entrambi di mano sua, firmando e archiviando in uno spazio che si era ricavato lui stesso a casa della sua ragazza. Lo divertiva, quel lavoro maniacale.
Bollette, cartoline e buste indirizzate ad entrambi affollavano la tavola. In quel momento, si era ritrovato ad aprire una lettera di rifiuto per un lavoro a cui Erika si era proposta ancora un mese prima, quando la porta trillò.
Alzò il viso dalle scartoffie e andò verso la porta, premendo una chiave sopra il pannello di controllo. Non fu molto che la porta suonò di nuovo.
« Buongiorno, stavo cercando Erika Joy ».
L’uomo di fronte a lei era di altezza, avvoltò in un trench beige stretto sulla vita dalla cintura dell’abito. I pantaloni erano fradici, così come il cappotto, e stringeva un ombrello nella mano destra, che grondava acqua sullo zerbino.
« Harry Philips, piacere » scambiò goffamente l’ombrello sulla mano sinistra e allungò l’altra verso Louis « tempaccio, eh? ».
Louis lo guardò e sorrise, assecondandolo. « Già. Vuole entrare, o—».
« No no, sarà veloce. È da qualche tempo che abbiamo inviato le modifiche al libro per posta ma non abbiamo ricevuto risposta, sa quando potrei parlarle? ».
« Oh, è della casa editrice? ».
Harry asserì.
« Mmh, mi faccia controllare ».
Louis ritornò in salotto e cercò fra le carte una busta che, possibilmente, avesse l’effige della casa editrice stampatavi sopra. Trovata, la aprì in fretta e furia e corse subito alla fine: un lungo tratto sopra il quale era scritto firma. Afferrò una penna e vi tracciò la firma di Erika in men che non si dicesse.
« Eccomi! Sì, ho tutto qua ».
« Bene! Ne sono lieto ».
« Se posso chiedere, in cosa consistono i cambiamenti? ».
« Non ne avete discusso? ».
Louis scosse la testa.
« Il titolo, il finale, c’erano molte cose da cambiare ». Harry ripose i documenti in un plico che poi conservò in una busta di plastica impermeabile. « Fortunatamente Erika ha fatto la scelta migliore ».
Era solito rispondere alla posta di entrambi di mano sua, firmando e archiviando in uno spazio che si era ricavato lui stesso a casa della sua ragazza. Lo divertiva, quel lavoro maniacale.
Bollette, cartoline e buste indirizzate ad entrambi affollavano la tavola. In quel momento, si era ritrovato ad aprire una lettera di rifiuto per un lavoro a cui Erika si era proposta ancora un mese prima, quando la porta trillò.
Alzò il viso dalle scartoffie e andò verso la porta, premendo una chiave sopra il pannello di controllo. Non fu molto che la porta suonò di nuovo.
« Buongiorno, stavo cercando Erika Joy ».
L’uomo di fronte a lei era di altezza, avvoltò in un trench beige stretto sulla vita dalla cintura dell’abito. I pantaloni erano fradici, così come il cappotto, e stringeva un ombrello nella mano destra, che grondava acqua sullo zerbino.
« Harry Philips, piacere » scambiò goffamente l’ombrello sulla mano sinistra e allungò l’altra verso Louis « tempaccio, eh? ».
Louis lo guardò e sorrise, assecondandolo. « Già. Vuole entrare, o—».
« No no, sarà veloce. È da qualche tempo che abbiamo inviato le modifiche al libro per posta ma non abbiamo ricevuto risposta, sa quando potrei parlarle? ».
« Oh, è della casa editrice? ».
Harry asserì.
« Mmh, mi faccia controllare ».
Louis ritornò in salotto e cercò fra le carte una busta che, possibilmente, avesse l’effige della casa editrice stampatavi sopra. Trovata, la aprì in fretta e furia e corse subito alla fine: un lungo tratto sopra il quale era scritto firma. Afferrò una penna e vi tracciò la firma di Erika in men che non si dicesse.
« Eccomi! Sì, ho tutto qua ».
« Bene! Ne sono lieto ».
« Se posso chiedere, in cosa consistono i cambiamenti? ».
« Non ne avete discusso? ».
Louis scosse la testa.
« Il titolo, il finale, c’erano molte cose da cambiare ». Harry ripose i documenti in un plico che poi conservò in una busta di plastica impermeabile. « Fortunatamente Erika ha fatto la scelta migliore ».
𐌳 𐌳 𐌳
« Louis Clark Bloomfield » mormorò l’ufficiale di polizia come Louis entrava nella sala. « È un piacere conoscerti ».
Rispose con un grugno.
« Da quello che vedo » aprì un fascicolo sotto i suoi occhi « la tua fedina penale è pulita. Questo faciliterà le cose ».
« Cosa vuole da me? ». Il suo tono, inizialmente, acceso, calò mano a mano che la frase proseguiva resosi conto di chi stava di fronte a lui. Abbassò la testa per evitare il suo sguardo.
« Dobbiamo solo ricostruire alcune cose sulla rapina, e poi—».
« Uh? Rapina? ».
« Il signor Shepard ci ha informato sulle dinamiche della rapina, come dicevo, e speravo che lei potesse dirci qualcosa di più a riguardo? ».
« Non… non ricordo molto bene, a dire il vero ».
« Sappiamo che ha cercato di resistere, è vero? ».
« Uhm, sì, è così. Ma come le ho detto, non ricordo bene ».
Il detective lo guardò dall’alto al basso, alzando il sopracciglio. La situazione non lo convinceva ma aveva tutto in mente fuorché seguire una rissa fra due sconosciuti. Lo salutò e fece entrare un suo collega, ad escortare Louis fuori dalla stazione.
𐌳
Erika si rigirò nel letto.
Le coperte ed il cuscino si erano rivelate più morbide delle aspettative e trovava che la visuale sulla Castelia Street fosse niente male. Il traffico la cullava, come solo esso sapeva fare: col tempo, aveva imparato a recepire i rumori delle macchine che superavano casa sua e delle sirene come una ninna nanna, una musica di sottofondo ripetitiva a cui, infine, si sarebbe addormentata.
Guardò il soffito sopra di lei, fissava il vuoto, mentre la sua mente partiva per la tangente nelle più diverse situazioni possibili. Una redazione giornalistica, quante potevano essercene a Castelia?
𐌳 𐌳 𐌳
flashback – Anville Town – 22/12/12
« Louis! Louis! ».
Anche dall’altra parte della porta, la sua voce si udiva forte e chiara. Era contenta, a sentire.
Louis mormorò qualcosa mentre correva dall’altra parte della casa ad aprire la porta, per trovare una Erika raggiante dietro essa. In parte al suo viso scintillava una bottiglia di champagne ricoperta di brina, dalla quale evaporava una nebbiolina bianca.
« Pubblicheranno il mio libro! ».
« Oh—».
Erika lo assalì, costringendolo ad arretrare di qualche passo. Se la ritrovò, in poco tempo fra le braccia, la porta accompagna col piede.
« Non sei felicissimo? ».
« Uhm, sì » borbottò « che bello ».
« Inizialmente avevo paura che volessero modificarlo, ma evidentemente hanno capito il vero valore del mio libro! È fantastico, ti immagini? Andrò a fiere del libro, farò interviste, incontrerò i miei fan… ».
« Non pensi di andare un po’ troppo in là colla fantasia? ».
« Può darsi » ribatté « ma cosa importa? Festeggiamo! ».
Estrasse due calici lunghi e stretti dalla credenza e stappò la bottiglia, facendo gorgogliare dal collo una schiuma candia e voluminosa. Versò, quindi, lo spumante, che poi Louis prese per sé.
« A noi! ».
« A noi » commentò Louis, evitando lo sguardo di Erika.
Angolo esimio, egregio ed educato autore
Friendly reminder: Mike e Harry sono comparse. Come nei film. Non diverranno personaggi fissi.
Onestamente speravo di far accadere più cose ma non volevo scrivere tanto più dell'altra volta. Sono abbastanza contento di come è uscito il capitolo.
Nel prossimo episodio ci saranno dei ritorni (tanto attesi – ahahahahahahahahahahahahahahahahah che comico che sono, ciao Ricky Gervais).
it's murder on the dance floor, but you better not kill the groove
herr che ha un fascino retrò ma non tanto
Anche dall’altra parte della porta, la sua voce si udiva forte e chiara. Era contenta, a sentire.
Louis mormorò qualcosa mentre correva dall’altra parte della casa ad aprire la porta, per trovare una Erika raggiante dietro essa. In parte al suo viso scintillava una bottiglia di champagne ricoperta di brina, dalla quale evaporava una nebbiolina bianca.
« Pubblicheranno il mio libro! ».
« Oh—».
Erika lo assalì, costringendolo ad arretrare di qualche passo. Se la ritrovò, in poco tempo fra le braccia, la porta accompagna col piede.
« Non sei felicissimo? ».
« Uhm, sì » borbottò « che bello ».
« Inizialmente avevo paura che volessero modificarlo, ma evidentemente hanno capito il vero valore del mio libro! È fantastico, ti immagini? Andrò a fiere del libro, farò interviste, incontrerò i miei fan… ».
« Non pensi di andare un po’ troppo in là colla fantasia? ».
« Può darsi » ribatté « ma cosa importa? Festeggiamo! ».
Estrasse due calici lunghi e stretti dalla credenza e stappò la bottiglia, facendo gorgogliare dal collo una schiuma candia e voluminosa. Versò, quindi, lo spumante, che poi Louis prese per sé.
« A noi! ».
« A noi » commentò Louis, evitando lo sguardo di Erika.
Angolo esimio, egregio ed educato autore
Friendly reminder: Mike e Harry sono comparse. Come nei film. Non diverranno personaggi fissi.
Onestamente speravo di far accadere più cose ma non volevo scrivere tanto più dell'altra volta. Sono abbastanza contento di come è uscito il capitolo.
Nel prossimo episodio ci saranno dei ritorni (tanto attesi – ahahahahahahahahahahahahahahahahah che comico che sono, ciao Ricky Gervais).
it's murder on the dance floor, but you better not kill the groove
herr che ha un fascino retrò ma non tanto
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