Herr - Ditching Cards - 7 - My Fiancé died of Cancer and i didn't know anything about it: Storytime [No Clickbait]
DITCHING CARDS
[avviso: questo capitolo è estremamente lungo: per l'esattezza, sono 24 pagine di Pages in 13
Baskerville. Avevo in mente di dividerlo in due parti ma poi ho pensato di non farlo. Buona lettura!]
CAPITOLO 7
MY FIANCÉ DIED OF CANCER AND I DIDN'T KNOW ANYTHING ABOUT IT: STORYTIME [NO CLICKBAIT]
And oh my love remind me, what was it that I said?
I can't help but pull the earth around me, to make my bed
And oh my love remind me, what was it that I did?
Did I drink too much?
Am I losing touch?
Did I build this ship to wreck?
To wreck, to wreck, to wreck
I can't help but pull the earth around me, to make my bed
And oh my love remind me, what was it that I did?
Did I drink too much?
Am I losing touch?
Did I build this ship to wreck?
To wreck, to wreck, to wreck
(Florence + The Machine; Ship To Wreck)
presente – Castelia City – 17/02/13
« Buongiorno, mi chiamo Ethan Shepard ».
L’ufficiale di polizia alzò la testa dalle scartoffie nelle cui era immerso.
« Come la posso aiutare? ».
« La mia macchina… ahem… penso che sia stata prevelata, qualche giorno fa, dopo che l’ho parcheggiata ».
« Mi dica la targa ».
« Er… HI 138LD ».
« Ora vedo ».
Il suo sguardo attraversò le pagine e pagine di elenco, finché non si fermò verso metà del quarto foglio. « Uhm, sì… 8 febbraio 2013… ora vado a controllare ».
« Grazie mille ».
L’ufficiale di polizia alzò la testa dalle scartoffie nelle cui era immerso.
« Come la posso aiutare? ».
« La mia macchina… ahem… penso che sia stata prevelata, qualche giorno fa, dopo che l’ho parcheggiata ».
« Mi dica la targa ».
« Er… HI 138LD ».
« Ora vedo ».
Il suo sguardo attraversò le pagine e pagine di elenco, finché non si fermò verso metà del quarto foglio. « Uhm, sì… 8 febbraio 2013… ora vado a controllare ».
« Grazie mille ».
𐌳 𐌳 𐌳
flashback – Anville Town – 05/02/13
Un
nuovo sole brillava su Anville Town quella fine di febbraio. I suoi
calorosi raggi illuminavano dolcemente le casette e ne accarezzavano il
risveglio, come i primi rumori si facevano udibili per le strade e le
prime utilitarie animavano il quotidiano traffico del paese.
Era giornata di consegna, una giornata di cui Erika non si sarebbe scordata così presto.
Un camion grigio, che si mimetizzava perfettamente nella monocromia dell’asfalto cittadino, attraversava silenziosamente quei viali in direzione della Anville Edizioni, che aveva sede in un caratteristico edificio nel cuore della città. Al suo arrivo, fu accolto dal sorriso raggiante di Henry Philips, il proprietario di quell’impresa.
« Qua! Scarichi qua! ».
Il tir arrestò la corsa accanto all’imponente cancello della proprietà ed il conduttore scese per aprire il retro. Decine di pile di libri si ergevano nel container, copertine rosso cremisi che scintillavano nella luce del mattino. La scritta “Casteliagate: the Affair behind the Scenes” troneggiava al centro, di colore nero e trapuntata di fili argento. L’immagine di sfondo rappresentava una Castelia City durante una giornata di pioggia.
« Fantastico! Sono esattamente come le avevamo pensate! ».
« È tutto? ».
« Sì, è tutto, dobbiamo solo scaricarli e poi può andare ».
I due allungarono le mani verso le colonne di pagine che affollavano quel riquadro di spazio ed, una ad una, le scortarono fuori, di fronte all’entrata interna. Il camionista salutò con voce piatta e se ne uscì, lasciando Henry solo nel suo brodo di giuggiole.
Rimase qualche secondo ad ammirare ciò che pensava sarebbe diventato il nuovo caso letterario del decennio, dopodiché estrasse un telefonino e, scorrendo fra i contatti, cliccò Erika Joy.
Dall’altra parte, vi fu una tiepida risposta.
Drin drin.
« Lou! Il telefono sta squillando! ».
Lo sguardo di Louis corse velocemente dal giornale che aveva sottomano alla cornetta, qualche metro più in là sul como che faceva ad angolo nella cuina. La voce di Erika si poteva udire forte e chiara anche dal bagno, dove sarebbe da lì a poco entrata in doccia.
« Lo prendo io » borbottò Louis come si alzò e strisciò sul pavimento. « Arrivo, arrivo…».
Gettò la mano sulla cornetta senza la benchéminima convinzione ed alzò.
« Buongiorno, questo è il telefono di — yawn — Louis Bloomfield ed Erika Joy ».
« Louis! Dov’è Erika? ».
Louis fu scosso alla vita dalla squillante voce del direttore dela casa editrice.
« È… via, cosa posso dirle? ».
« Vorrei essere io a dir—».
« Me lo dica a me e basta ».
« Oh, ok… ». Louis trascinò la cornetta, stretta nel pugno della mano, fino alla porta, che chiuse con forza, per evitare che la sua voce uscisse fuori da quelle quattro mura. « È arrivato il libro! “Casteliagate: the Affair behind the Scenes”! Già lo adoro, così come faranno i lettori ».
« Il… libro? ».
« Sì! Non è fantastico? ».
« Supp—».
« Vedi di avvisare Erika il prima possibile, c’è una conferenza stampa da organizzare, e voglio farle fare un’apparizione nella tv di Anville Town! E poi chissà, a livello nazionale! ».
Louis deglutì. « Er… riferirò ».
« Ottimo! Mi aspetto di vederla entro sto pomeriggio qua alle Edizioni per gli ultimi dettagli di logistica ».
« Ok, ok… Posso farle una domanda? ».
« Dimmi pure! ».
« Alla fine… avete tenuto il finale che avevamo deciso? ».
« Certo! Che domande sono? ».
« Scusi, è ver—».
« Ora non ho tempo per parlare del più e meno. Devo andare: ciao Louis! ».
Louis sbattè la cornetta sul legno.
Era giornata di consegna, una giornata di cui Erika non si sarebbe scordata così presto.
Un camion grigio, che si mimetizzava perfettamente nella monocromia dell’asfalto cittadino, attraversava silenziosamente quei viali in direzione della Anville Edizioni, che aveva sede in un caratteristico edificio nel cuore della città. Al suo arrivo, fu accolto dal sorriso raggiante di Henry Philips, il proprietario di quell’impresa.
« Qua! Scarichi qua! ».
Il tir arrestò la corsa accanto all’imponente cancello della proprietà ed il conduttore scese per aprire il retro. Decine di pile di libri si ergevano nel container, copertine rosso cremisi che scintillavano nella luce del mattino. La scritta “Casteliagate: the Affair behind the Scenes” troneggiava al centro, di colore nero e trapuntata di fili argento. L’immagine di sfondo rappresentava una Castelia City durante una giornata di pioggia.
« Fantastico! Sono esattamente come le avevamo pensate! ».
« È tutto? ».
« Sì, è tutto, dobbiamo solo scaricarli e poi può andare ».
I due allungarono le mani verso le colonne di pagine che affollavano quel riquadro di spazio ed, una ad una, le scortarono fuori, di fronte all’entrata interna. Il camionista salutò con voce piatta e se ne uscì, lasciando Henry solo nel suo brodo di giuggiole.
Rimase qualche secondo ad ammirare ciò che pensava sarebbe diventato il nuovo caso letterario del decennio, dopodiché estrasse un telefonino e, scorrendo fra i contatti, cliccò Erika Joy.
Dall’altra parte, vi fu una tiepida risposta.
Drin drin.
« Lou! Il telefono sta squillando! ».
Lo sguardo di Louis corse velocemente dal giornale che aveva sottomano alla cornetta, qualche metro più in là sul como che faceva ad angolo nella cuina. La voce di Erika si poteva udire forte e chiara anche dal bagno, dove sarebbe da lì a poco entrata in doccia.
« Lo prendo io » borbottò Louis come si alzò e strisciò sul pavimento. « Arrivo, arrivo…».
Gettò la mano sulla cornetta senza la benchéminima convinzione ed alzò.
« Buongiorno, questo è il telefono di — yawn — Louis Bloomfield ed Erika Joy ».
« Louis! Dov’è Erika? ».
Louis fu scosso alla vita dalla squillante voce del direttore dela casa editrice.
« È… via, cosa posso dirle? ».
« Vorrei essere io a dir—».
« Me lo dica a me e basta ».
« Oh, ok… ». Louis trascinò la cornetta, stretta nel pugno della mano, fino alla porta, che chiuse con forza, per evitare che la sua voce uscisse fuori da quelle quattro mura. « È arrivato il libro! “Casteliagate: the Affair behind the Scenes”! Già lo adoro, così come faranno i lettori ».
« Il… libro? ».
« Sì! Non è fantastico? ».
« Supp—».
« Vedi di avvisare Erika il prima possibile, c’è una conferenza stampa da organizzare, e voglio farle fare un’apparizione nella tv di Anville Town! E poi chissà, a livello nazionale! ».
Louis deglutì. « Er… riferirò ».
« Ottimo! Mi aspetto di vederla entro sto pomeriggio qua alle Edizioni per gli ultimi dettagli di logistica ».
« Ok, ok… Posso farle una domanda? ».
« Dimmi pure! ».
« Alla fine… avete tenuto il finale che avevamo deciso? ».
« Certo! Che domande sono? ».
« Scusi, è ver—».
« Ora non ho tempo per parlare del più e meno. Devo andare: ciao Louis! ».
Louis sbattè la cornetta sul legno.
𐌳 𐌳 𐌳
presente – fuori Castelia City – 17/02/13
« Louis? Cosa ci fai qua? ».
Louis stringeva nelle sue mani due sacchetti ripieni di cibo preso al fast food di fronte al Motel. Un inquietante smile risaltava al centro della bianca plastica e recitava le parole “Mickey’s Kitchen”. L’odore di fritto e di ketchup permeava l’aria.
« Pensavo di portare un po’ di cibo mentre ne discutevamo ».
« Che— che ore sono? ». Lanciò un’occhiata all’orologio: erano le 8:30. « Oh… entra, entra… ».
« Grazie ».
Si tolse il giubbotto e lo lanciò a cavallo dello schienale della sedia, gettò il cibo sul letto e vi stese un fazzoletto sopra, da usare come tovaglia.
« Ho preso le patatine Mickey, le tue preferite ».
« Ahem… grazie ».
« Di niente ». Louis le sorrise. « Forza, vieni qua ».
« Come— come mi hai trovata? ».
« Quando mi hai lasciato con Ethan, abbiamo litigato. La polizia ha fatto irruzione e ci ha portato via… io sono andato in prigione, ma ne sono uscito subito dopo. Poi sono tornato a casa, e sono stato chiamato da questo strano tipo… Lacker, penso si chiami—».
« Looker? ».
« Sì!, scusa. Looker. Lo conosci? ».
Looker?, si chiese nella sua mente Erika.
« Dopo— dopo ti dico. Vai avanti ».
« Dicevo… Mi disse di venire a Castelia perché, a detta sua, era dove eri diretta tu. All’inizio ero un po’ titubante ma poi, sta mattina, ho deciso di andarci; non avevo notizie di te comunque. L’ho richiamato e mi ha dato delle coordinate, dov’era il tuo hotel. Da lì… ».
« E perché non mi hai contattato prima? ».
« Io— non ne ho idea ».
Erika lanciò un’occhiata alla scatola in cartone, tutta ricoperta di olio, dalla quale fuoriuscivano le dorate patatine fritte. Un delizoso olezzo si diffondeva da loro in tutta la stanza.
« Louis, ti ringrazio moltissimo per tutto questo, ma ho paura che dovrò passare ».
« Come? ».
« Ti ricordi quello che ti ho detto? Sul fatto che la mia vita fosse diversa. Poco prima… poco prima che tu mi urlassi contro ».
Louis asserì.
« A Castelia ho avuto modo di approfondire la questione. Non sono cose di cui posso parlarti, anche perché penseresti che me lo sia inventato, però sappi che quello che sto facendo ha un senso. Ed è per questo che non voglio rivederti mai più ».
« Cosa? ».
L’espressione del ragazzo dai capelli verdi parlava più di mille parole. I suoi occhi, verde smeraldo, erano puntati sul viso di Erika come ad assistere all’eruzione di un vulcano: il viso contratto, la pelle distesa e liscia, i muscoli tesi. Le sue mani tremavano come tentava di fare uscire qualche suono, indistinto, dalle sue labbra.
« Non forzarmi, Louis ».
« Key—».
« È questo il punto! Non capisci? » urlò « Io… io non sono Erika! Non sono Erika Joy, non lo sono mai stata… la mia vita è una bugia! Vorrei che ci fosse un modo attorno a questo, lo vorrei tanto— ma non è possibile ».
« Di cosa— di cosa cazzo stai parlando? ».
« Hilda Baskerville » rispose sibillina. Il suo sguardo era fisso nel vuoto, oltre Louis, perso nello sfondo boschivo illuminato da qualche lampione che si apriva dietro le finestre.
« Cos’è? ».
« Il mio nome. Io sono Hilda Baskerville ».
« Non dire cazz—».
« Non sono cazzate. Il mio nome è Hilda Baskerville, io sono Hilda Baskerville ».
« Non è vero! Tu sei Erika Joy! Lo sei sempre stata! ».
« SMETTILA! ».
Le palpebre di Erika erano serrate. Come le riaprì, si ritrovò i palmi delle mani stretti contro i padiglioni auricolari, ogni rumore era ovattato e attuito, ed il suo capo chino verso il basso. Louis era fuori dal suo campo visivo.
« È per questo che ti ho detto che non voglio più rivedert » pianse, « capisci? ». Una lacrima corse sul suo viso. « Non è colpa tua, credimi, ma non voglio più avere nulla a che fare con la vita di Erika Joy. E tu, purtroppo, fai parte di lei… ».
« Anche se fosse vero, come puoi gettare via tutto quello che è stato di noi? ».
« Come posso? La nostra relazione non ha mai funzionato, Louis! Come fai a non vederlo? ».
« Potremmo— potremmo sistemarla… ».
« Erika potrebbe sistemarla. Non io ».
I loro occhi riflettevano l’uno nelle pupille dell’altro. La tensione degli sguardi era tesa come un sottile filo rosso che attraversava i due corpi senza fissarsi.
« Non c’è nient’altro che io possa fare, suppongo ».
« So che quello che ti chiedo è un po’, e te ne sarei grata se lo facessi. Oltre a quello, no, nient’altro ».
« Allora addio, Erika Joy ».
Louis stringeva nelle sue mani due sacchetti ripieni di cibo preso al fast food di fronte al Motel. Un inquietante smile risaltava al centro della bianca plastica e recitava le parole “Mickey’s Kitchen”. L’odore di fritto e di ketchup permeava l’aria.
« Pensavo di portare un po’ di cibo mentre ne discutevamo ».
« Che— che ore sono? ». Lanciò un’occhiata all’orologio: erano le 8:30. « Oh… entra, entra… ».
« Grazie ».
Si tolse il giubbotto e lo lanciò a cavallo dello schienale della sedia, gettò il cibo sul letto e vi stese un fazzoletto sopra, da usare come tovaglia.
« Ho preso le patatine Mickey, le tue preferite ».
« Ahem… grazie ».
« Di niente ». Louis le sorrise. « Forza, vieni qua ».
« Come— come mi hai trovata? ».
« Quando mi hai lasciato con Ethan, abbiamo litigato. La polizia ha fatto irruzione e ci ha portato via… io sono andato in prigione, ma ne sono uscito subito dopo. Poi sono tornato a casa, e sono stato chiamato da questo strano tipo… Lacker, penso si chiami—».
« Looker? ».
« Sì!, scusa. Looker. Lo conosci? ».
Looker?, si chiese nella sua mente Erika.
« Dopo— dopo ti dico. Vai avanti ».
« Dicevo… Mi disse di venire a Castelia perché, a detta sua, era dove eri diretta tu. All’inizio ero un po’ titubante ma poi, sta mattina, ho deciso di andarci; non avevo notizie di te comunque. L’ho richiamato e mi ha dato delle coordinate, dov’era il tuo hotel. Da lì… ».
« E perché non mi hai contattato prima? ».
« Io— non ne ho idea ».
Erika lanciò un’occhiata alla scatola in cartone, tutta ricoperta di olio, dalla quale fuoriuscivano le dorate patatine fritte. Un delizoso olezzo si diffondeva da loro in tutta la stanza.
« Louis, ti ringrazio moltissimo per tutto questo, ma ho paura che dovrò passare ».
« Come? ».
« Ti ricordi quello che ti ho detto? Sul fatto che la mia vita fosse diversa. Poco prima… poco prima che tu mi urlassi contro ».
Louis asserì.
« A Castelia ho avuto modo di approfondire la questione. Non sono cose di cui posso parlarti, anche perché penseresti che me lo sia inventato, però sappi che quello che sto facendo ha un senso. Ed è per questo che non voglio rivederti mai più ».
« Cosa? ».
L’espressione del ragazzo dai capelli verdi parlava più di mille parole. I suoi occhi, verde smeraldo, erano puntati sul viso di Erika come ad assistere all’eruzione di un vulcano: il viso contratto, la pelle distesa e liscia, i muscoli tesi. Le sue mani tremavano come tentava di fare uscire qualche suono, indistinto, dalle sue labbra.
« Non forzarmi, Louis ».
« Key—».
« È questo il punto! Non capisci? » urlò « Io… io non sono Erika! Non sono Erika Joy, non lo sono mai stata… la mia vita è una bugia! Vorrei che ci fosse un modo attorno a questo, lo vorrei tanto— ma non è possibile ».
« Di cosa— di cosa cazzo stai parlando? ».
« Hilda Baskerville » rispose sibillina. Il suo sguardo era fisso nel vuoto, oltre Louis, perso nello sfondo boschivo illuminato da qualche lampione che si apriva dietro le finestre.
« Cos’è? ».
« Il mio nome. Io sono Hilda Baskerville ».
« Non dire cazz—».
« Non sono cazzate. Il mio nome è Hilda Baskerville, io sono Hilda Baskerville ».
« Non è vero! Tu sei Erika Joy! Lo sei sempre stata! ».
« SMETTILA! ».
Le palpebre di Erika erano serrate. Come le riaprì, si ritrovò i palmi delle mani stretti contro i padiglioni auricolari, ogni rumore era ovattato e attuito, ed il suo capo chino verso il basso. Louis era fuori dal suo campo visivo.
« È per questo che ti ho detto che non voglio più rivedert » pianse, « capisci? ». Una lacrima corse sul suo viso. « Non è colpa tua, credimi, ma non voglio più avere nulla a che fare con la vita di Erika Joy. E tu, purtroppo, fai parte di lei… ».
« Anche se fosse vero, come puoi gettare via tutto quello che è stato di noi? ».
« Come posso? La nostra relazione non ha mai funzionato, Louis! Come fai a non vederlo? ».
« Potremmo— potremmo sistemarla… ».
« Erika potrebbe sistemarla. Non io ».
I loro occhi riflettevano l’uno nelle pupille dell’altro. La tensione degli sguardi era tesa come un sottile filo rosso che attraversava i due corpi senza fissarsi.
« Non c’è nient’altro che io possa fare, suppongo ».
« So che quello che ti chiedo è un po’, e te ne sarei grata se lo facessi. Oltre a quello, no, nient’altro ».
« Allora addio, Erika Joy ».
𐌳
presente – fuori Castelia City – 17/02/13
Era
sera inoltrata al Blacksmith Inn e le luci al neon del motel
illuminavano blandamente la strada che s’addentrava nella tenuta
dell’edificio. Una macchina blu elettrico, che dall’aspetto pareva aver
avuto una trentina d’anni, scassata e rigata, si fece strada all’interno
del parcheggio, arrestando la sua corsa in un punto isolato, lontano
fra tutte le macchine.
La luce era così fioca che l’ombra che ne uscì fu capace di sgattaiolare nell’ombra fino all’entrata del motel, per poi girare attorno al perimetro fino al retro, dove si apriva la schiera di porte esterne. Si sedette per terra, su degli scalini che davano di fronte alla facciata, ed aspettò.
«—dio, Erika Joy » udì, mentre la porta si apriva. La luce proveniente dall’interno lo acccecò, tanto che dovette portare le mano davanti al suo viso per nascondersi.
Arretrò e, nell’ombra, si nascose dietro un cespuglio.
Affondò la sua mano destra nella tasca ed estrasse la pistola, che, stretta nel palmo, avvicinò al petto. Quando vide la figura di Louis allontanarsi dal caseggiato e la porta richiudersi, capì che era il momento giusto.
« Cosa cazzo ci fai qua? ».
« Mark? ».
« Ethan ».
Louis stropicciò le palpebre, poiché attraverso quello spesso strato di buio gli era difficile anche solo inviduare una silhouette.
« Cos’hai in mano? ».
« Niente ».
« Non mi sembra niente ».
Come Louis allungò la testa per vederci chiaro, Ethan indietreggiò e nascose la pistola sotto la giacca di pelle.
« Cosa facevi da Erika? ».
« Come– come fai a sapere che ero con Erika? ».
« E tu come hai fatto a trovarla, eh? ».
« Senti » Louis alzò le mani « non ho voglia di litigare, voglio—».
« COME HAI FATTO A TROVARLA? ».
Fu un flash.
Ethan si era ritrovato con la pistola stretta fra le due mani, la canna puntata verso Louis, a pochi metri dal so corpo. Non appena il ragazzo dai capelli verdi capì quello che stava succedendo, sussultò.
« Cosa cazzo fai? ».
« Non— non ho paura di usarla— Louis… ».
« Calmo… calmo… ».
« ZITTO! ».
Un rumore sordo saturò l’aria.
Louis rimase fermo, stordito dal boato della pistola, mentre Ethan provava a capire se, attraverso quell’oscurità, il colpo poteva esser riuscito a ferire l’altro. Quando i due ritornarono ai loro sensi, si accorsero che lo sparo non aveva toccato nessuno dei due.
Il proiettile era stato proiettato poco più in alto della spalla del castano ed era stato inghiottito dalla folta chioma smeraldo che circondava il motel, stretto da un lato dalla crescente foresta e dall’altro dall’autostrada. Il rumore che avevano percepito, tuttavia, era bastato a farli tentennare per qualche secondo.
« CHE CAZZO FAI? ».
« BASTA! ALLONTANATI DA HILDA! O— O—».
« Hilda? Non crederai alle sue put—».
« BAST—».
Un raggio di luce scintillò nel buio. Quel raggio si fece fascio, ed il fascio cono luminoso, che dalla loro destra era capace di rendere visibili anche i loro più piccoli particolari ed imperfezioni. Sia Ethan che Louis dovettero schermarsi inizialmente da quell’attacco ai loro occhi, ma quando abbassarono le braccia ed il loro sguardo corse per la fonte di quel fasstidio videro l’imponente figura di Erika, sottolineata dallo zampillo di luce che proveniva da dietro, porsi davanti a loro come una figura angelica davanti al sole. Come un’apparizione, l’apparizione che fa alzare le persone dalle carrozzine e sanguinare le statue, per non parlare dei gadget venduti.
« Erika? ».
« Erik—».
« SMETTETELA! ». La sua voce, acuta, rimbombò nel parcheggio. Allungò qualche passo e scese le scale che la separavano da loro, sotto gli sguardi increduli dei due. « Cosa pensavate di fare, eh? ».
« Allontanati, Hilda… è una cosa fra noi du—».
« Hilda? Erika, cosa sta dicend—».
« Louis—».
« No, niente Louis. Cosa sta dicendo? Hilda? Come fa a sap—».
« Cosa cazzo importa? Vattene ».
« Un cazzo. Non me ne vado finché Er—».
« È così ».
La voce di Louis ammutolì fino a scomparire.
Erika si era avvicinata a Ethan ed ora stava alla sua sinistra, lievemente nascosta dalla sua schiena. Il suo sguardo era chino verso il basso e le lacrime avevano indondato il viso.
« Cosa significa tutto ciò, Erika? ».
« È meglio che tu—».
Un altro colpo saturò l’aria.
Erika non riuscì a vedere nulla prima che un colpo non la centrasse in pieno viso. Venne spinta dietro, perdette l’equilibro e cadette sul terreno, le mani davanti a sé. Come primo istinto ebbe quello di alzare il viso e capire l’origine della spinta, quando vide Ethan tremante colla pistola in mano e l’ombra di Louis allontanarsi alla sua vista.
« Cos’è successo? » urlò « cos’hai fatto, Ethan? ».
« Non— non—». Ethan si guardò le mani, sporche di polvere di sparo e sudore, che mescolati avevano creato un pastoso liquido nero sopra tutta la pelle. Si sentiva soffocare. « Non— non ci darà più fa— fa— fastidio… ora rientriamo ».
La luce era così fioca che l’ombra che ne uscì fu capace di sgattaiolare nell’ombra fino all’entrata del motel, per poi girare attorno al perimetro fino al retro, dove si apriva la schiera di porte esterne. Si sedette per terra, su degli scalini che davano di fronte alla facciata, ed aspettò.
«—dio, Erika Joy » udì, mentre la porta si apriva. La luce proveniente dall’interno lo acccecò, tanto che dovette portare le mano davanti al suo viso per nascondersi.
Arretrò e, nell’ombra, si nascose dietro un cespuglio.
Affondò la sua mano destra nella tasca ed estrasse la pistola, che, stretta nel palmo, avvicinò al petto. Quando vide la figura di Louis allontanarsi dal caseggiato e la porta richiudersi, capì che era il momento giusto.
« Cosa cazzo ci fai qua? ».
« Mark? ».
« Ethan ».
Louis stropicciò le palpebre, poiché attraverso quello spesso strato di buio gli era difficile anche solo inviduare una silhouette.
« Cos’hai in mano? ».
« Niente ».
« Non mi sembra niente ».
Come Louis allungò la testa per vederci chiaro, Ethan indietreggiò e nascose la pistola sotto la giacca di pelle.
« Cosa facevi da Erika? ».
« Come– come fai a sapere che ero con Erika? ».
« E tu come hai fatto a trovarla, eh? ».
« Senti » Louis alzò le mani « non ho voglia di litigare, voglio—».
« COME HAI FATTO A TROVARLA? ».
Fu un flash.
Ethan si era ritrovato con la pistola stretta fra le due mani, la canna puntata verso Louis, a pochi metri dal so corpo. Non appena il ragazzo dai capelli verdi capì quello che stava succedendo, sussultò.
« Cosa cazzo fai? ».
« Non— non ho paura di usarla— Louis… ».
« Calmo… calmo… ».
« ZITTO! ».
Un rumore sordo saturò l’aria.
Louis rimase fermo, stordito dal boato della pistola, mentre Ethan provava a capire se, attraverso quell’oscurità, il colpo poteva esser riuscito a ferire l’altro. Quando i due ritornarono ai loro sensi, si accorsero che lo sparo non aveva toccato nessuno dei due.
Il proiettile era stato proiettato poco più in alto della spalla del castano ed era stato inghiottito dalla folta chioma smeraldo che circondava il motel, stretto da un lato dalla crescente foresta e dall’altro dall’autostrada. Il rumore che avevano percepito, tuttavia, era bastato a farli tentennare per qualche secondo.
« CHE CAZZO FAI? ».
« BASTA! ALLONTANATI DA HILDA! O— O—».
« Hilda? Non crederai alle sue put—».
« BAST—».
Un raggio di luce scintillò nel buio. Quel raggio si fece fascio, ed il fascio cono luminoso, che dalla loro destra era capace di rendere visibili anche i loro più piccoli particolari ed imperfezioni. Sia Ethan che Louis dovettero schermarsi inizialmente da quell’attacco ai loro occhi, ma quando abbassarono le braccia ed il loro sguardo corse per la fonte di quel fasstidio videro l’imponente figura di Erika, sottolineata dallo zampillo di luce che proveniva da dietro, porsi davanti a loro come una figura angelica davanti al sole. Come un’apparizione, l’apparizione che fa alzare le persone dalle carrozzine e sanguinare le statue, per non parlare dei gadget venduti.
« Erika? ».
« Erik—».
« SMETTETELA! ». La sua voce, acuta, rimbombò nel parcheggio. Allungò qualche passo e scese le scale che la separavano da loro, sotto gli sguardi increduli dei due. « Cosa pensavate di fare, eh? ».
« Allontanati, Hilda… è una cosa fra noi du—».
« Hilda? Erika, cosa sta dicend—».
« Louis—».
« No, niente Louis. Cosa sta dicendo? Hilda? Come fa a sap—».
« Cosa cazzo importa? Vattene ».
« Un cazzo. Non me ne vado finché Er—».
« È così ».
La voce di Louis ammutolì fino a scomparire.
Erika si era avvicinata a Ethan ed ora stava alla sua sinistra, lievemente nascosta dalla sua schiena. Il suo sguardo era chino verso il basso e le lacrime avevano indondato il viso.
« Cosa significa tutto ciò, Erika? ».
« È meglio che tu—».
Un altro colpo saturò l’aria.
Erika non riuscì a vedere nulla prima che un colpo non la centrasse in pieno viso. Venne spinta dietro, perdette l’equilibro e cadette sul terreno, le mani davanti a sé. Come primo istinto ebbe quello di alzare il viso e capire l’origine della spinta, quando vide Ethan tremante colla pistola in mano e l’ombra di Louis allontanarsi alla sua vista.
« Cos’è successo? » urlò « cos’hai fatto, Ethan? ».
« Non— non—». Ethan si guardò le mani, sporche di polvere di sparo e sudore, che mescolati avevano creato un pastoso liquido nero sopra tutta la pelle. Si sentiva soffocare. « Non— non ci darà più fa— fa— fastidio… ora rientriamo ».
𐌳 𐌳 𐌳
« Tancredi, non lasciarmi, ti prego! ».
« Lo sai che non posso, Genevieve! Ormai è tardi… mi devo sposare con stardust94! ».
« ੨( ·᷄ ︵·᷅ )シ ».
Il trillo di un telefono interruppe la tensione che aleggiava nell’aria.
« Vai tu, Key? ».
« Non— mpf… non ho vowwa » mugolò, portando alla bocca una manciata di popcorn che avrebbe poi inghiottito in un sol boccone. « Non puoi andare tu? ».
« Ai suoi ordini! ».
« Bwawo » continuo « mpf— ora wewmo il wilm ». Alzò il telecomando in direzione dello schermo e congelò l’immagine in un’istante, nel momento in cui Genevieve e Tancredi avrebbero dovuto darsi il loro ultimo bacio.
Louis si trascinò al telefono ed alzò stancamente la cornetta.
« Pronto? ».
« Signor Bloomfield! Ha già comunicato a Erika la buona notizia? ».
« Uh? ».
« Il libro, signor Bloomfield! ».
« Oh… non— non la sento bene ».
« Come? ».
« Pronto? Pronto? Non sento niente, alzi la voce! ».
Louis agitò la cornetta attorno a sé.
« Signor Bloomfield, lei—».
« Non sento niente! » urlò, per poi schiaffare la cornetta giù.
« Mpf— chi era? ».
Louis osservò Erika distesa sul divano, in mano un contenitore rotondo grande quanto la sua testa ripieno di popcorn, e per un attimo si dimenticò del libro. Quell’attimo, purtroppo, era destinato a finire.
« Uh? Oh, nessuno. Non sentivo niente ».
𐌳
flashback – Anville Town – 06/02/13
Erika
affondò le fauci in una dorata brioche fumante, e dal retro colò un
rivolo di liquido arancione sul piatto. Alzò il mento per evitare che la
fuoriuscita pregiudicasse la quantità di marmellata all’interno, ma
ottene solo che essa cadesse sul suo mento e, conseguentemente, sul suo
pigiama. Indossava una maglietta verde smeraldo, sulla quale capeggiava
la scritta “THINK GREEN, LIVE GREEN”. I pantaloncini, analogamente,
mantenevano gli stessi toni ed erano puntellati da piccoli alberelli.
« Qualcuno… mpf… bussa alla porta ».
« Ah sì? ».
Erika asserì. « U-uh. Chi va? ».
« Sono sicuro che non sia importante. Chi vuoi che sia a quest’ora del mattino? ».
« Effettivamente… ». Erika lasciò la presa sulla brioche, che cadde a filo di piombo sul piatto, e scese dalla sedia « arrivo! ».
« Tranquilla Key—».
« Torno subito » cantilenò. Aprì la porta.
« Erika! ».
« Signor Philips? Come mai questa visita? ».
La testa dell’uomo baluginò dallo stipite della porta, dentro l’appartamento, e si guardò attorno come una vispa marmotta alla ricerca di cibo: Louis. Come il ragazzo incontrò il suo sguardo, nascose gli occhi nella tazza di caffé che stava bevendo, la quale gli restituì un’immagine intimorita di egli stesso.
« Louis! Non gliel’hai detto? ».
« Uh? ».
« Cosa— cosa non mi avrebbe detto? ».
Erika ed il signor Philips si scambiarono due sguardi confusi. « Come cosa? Il libro! ».
« Libro? Louis, cosa—».
« Sono arrivate le copie del libro, Key » la interruppe gelido « Henry— il signor Philips mi ha chiamato ieri per dirtelo ».
« E come mai non me l’hai dett—».
« Cosa importa! » esclamò l’uomo « non è entusiasta di andare a vedere le prime copie del suo nuovo libro? ».
« Io— certo, ma—».
« Allora bando alle ciance! Forza, vi aspetto entro pranzo da me in ufficio! Abbiamo grandi piani per te, Erika! ».
L’eco della porta riempì l’imbarazzante silenzio che andò a crearsi come Henry lasciò la stanza. I loro sguardi fluttuavano nell’aria cercando un punto incontro, ma con loro sfortuna come uno dei due cercava l’attenzione dell’altro, ecco che l’altro scivolava via.
« Perché non mi hai detto niente del libro? ».
Erika si passò una sciarpa attorno il collo.
« L’ho saputo nemmeno 24 ore fa, Key… me ne sono solo dimenticato ».
« Ok ma come può esserti passato di testa? Cioè non potevi dir—».
« Facciamo che basta, ok? Ora stiamo uscendo, tra poco ritroverai i tuoi fantastici libri e saremo tutti contenti ».
« Lou—».
« Basta, Key ».
Louis superò Erika, sotto il suo sguardo stupefatto, e, uscito dalla porta, scomparì dentro la tromba delle scale, mentre Erika era intenta ad inserire le chiavi nella toppa della porta.
« Qualcuno… mpf… bussa alla porta ».
« Ah sì? ».
Erika asserì. « U-uh. Chi va? ».
« Sono sicuro che non sia importante. Chi vuoi che sia a quest’ora del mattino? ».
« Effettivamente… ». Erika lasciò la presa sulla brioche, che cadde a filo di piombo sul piatto, e scese dalla sedia « arrivo! ».
« Tranquilla Key—».
« Torno subito » cantilenò. Aprì la porta.
« Erika! ».
« Signor Philips? Come mai questa visita? ».
La testa dell’uomo baluginò dallo stipite della porta, dentro l’appartamento, e si guardò attorno come una vispa marmotta alla ricerca di cibo: Louis. Come il ragazzo incontrò il suo sguardo, nascose gli occhi nella tazza di caffé che stava bevendo, la quale gli restituì un’immagine intimorita di egli stesso.
« Louis! Non gliel’hai detto? ».
« Uh? ».
« Cosa— cosa non mi avrebbe detto? ».
Erika ed il signor Philips si scambiarono due sguardi confusi. « Come cosa? Il libro! ».
« Libro? Louis, cosa—».
« Sono arrivate le copie del libro, Key » la interruppe gelido « Henry— il signor Philips mi ha chiamato ieri per dirtelo ».
« E come mai non me l’hai dett—».
« Cosa importa! » esclamò l’uomo « non è entusiasta di andare a vedere le prime copie del suo nuovo libro? ».
« Io— certo, ma—».
« Allora bando alle ciance! Forza, vi aspetto entro pranzo da me in ufficio! Abbiamo grandi piani per te, Erika! ».
L’eco della porta riempì l’imbarazzante silenzio che andò a crearsi come Henry lasciò la stanza. I loro sguardi fluttuavano nell’aria cercando un punto incontro, ma con loro sfortuna come uno dei due cercava l’attenzione dell’altro, ecco che l’altro scivolava via.
« Perché non mi hai detto niente del libro? ».
Erika si passò una sciarpa attorno il collo.
« L’ho saputo nemmeno 24 ore fa, Key… me ne sono solo dimenticato ».
« Ok ma come può esserti passato di testa? Cioè non potevi dir—».
« Facciamo che basta, ok? Ora stiamo uscendo, tra poco ritroverai i tuoi fantastici libri e saremo tutti contenti ».
« Lou—».
« Basta, Key ».
Louis superò Erika, sotto il suo sguardo stupefatto, e, uscito dalla porta, scomparì dentro la tromba delle scale, mentre Erika era intenta ad inserire le chiavi nella toppa della porta.
𐌳 𐌳 𐌳
Nella mente di Erika frullavano migliaia di domande come collo sguardo seguiva i pesanti movimenti di Ethan, che si trascinava per la stanza di motel. La sua pistola era stretta nella mano destra e, usando la sinistra, si sistemava i capelli castani, impregnati di sudore e sporco. Non ricordava l’ultima volta che lui avesse fatto una doccia.
Si sedette su una sedia che recuperò dalla mini-scrivania nell’angolo della camera e rimase a fissarlo, in attesa del dafarsi. Era rimasta molto scossa da quanto appena accaduto e ciò l’aveva portata a ripensare a tutto quello che aveva intenzione di fare appena entrata in contatto con Ethan. Poteva fidarsi di lui? Non ne era certa. Ciò che gli aveva detto non corrispondeva a quanto appreso dalla registrazione, ma gliene mancava ancora un’altra. Quale scelta aveva, se non assecondare i suoi movimenti?
In quel momento, in quel breve e coinciso istante, provò per la prima volta nella sua, breve, vita di Erika Joy, paura. Paura per la sua vita. Paura, rappresentata dall’uomo che si ergeva davanti a lei: Ethan Shepard.
« Vuoi… vuoi farti un bagno? Il motel mi ha dato tutte queste cose per… il bagno, ma non mi servono. Ho già fatto una doccia ».
« Va— va bene ». La sua voce tremava.
« Ok… allora vieni, ti accompagno… devi essere molto scosso ».
Ethan asserì.
Erika si alzò dalla sedia ed andò da lui, avvolgendo le sue braccia intorno alla vita dell’uomo. Lo alzò, aiutata anche dai suoi movimenti, ed assieme si avviarono al bagno.
Ethan sedette su di uno sgabello presso la vasca mentre la ragazza ruotava la manovella che apriva il rubinetto dell’acqua calda.
« Una bel bagno caldo fa passare tutto » commentò atona Erika, cercando nel più profondo di sé un calore che avrebbe permesso alla voce di suonare, anche se per poco, dolce o confortante. Non lo trovò.
« Gra— grazie… ».
Gli sorrise. « Di niente. Ora io torno di là, mi distendo un attimo sul letto… tu fai con calma ».
Ethan asserì.
« Bene. Buon bagno ».
Sorrise.
𐌳
Erika uscì dalla stanza come lo scrosciare dell’acqua inondava l’etere della sua melodia. Il flusso era costante e poteva sentire i pesanti movimenti di Ethan immergersi goffamente nella vasca: per un attimo, un breve attimo, pensò a come dovesse esser stato in quella stanza. Cacciò quel pensiero dalla testa e guardò avanti a sé. I suoi passi si susseguivano leggeri, il suo sguardo vagava per le pareti dell’appartamento alla ricerca del tomo datole da Looker.: finalmente lo vide, poggiato sul letto, aperto, il cd in procinto di esser ascoltato. Giusto. Aveva provato a sentirlo dopo che Louis era uscito.
Si sedette sul letto e rigirò il cd fra le mani, rapita dal suo contenuto, attirata da ciò che si nascondeva dietro quella superficie così brillante: cos’altro l’avrebbe aspettata? Un misto di paura ed eccitazione pervadeva la sua mente mentre stringeva fra le mani quel gioiello di tecnologia.
Un lampò la accecò.
Come avrebbe sentito quel cd?
Si guardò attorno, ma nulla che assomigliasse ad uno stereo od un lettore digitale si palesava alla sua vista. Repentina com’era stata, lanciò un’occhiata alla porta del bagno: nulla pareva muoversi.
Afferrò il cd con la mano destra, si mise la giacca addosso ed uscì.
𐌳
« Uno stereo, ha detto? ».
Erika asserì. « Qualsiasi cosa in grado di leggere un cd, in realtà ».
« Ora controllo ».
La ragazza si poggiò sul bancone di legno mentre con i suoi vispi occhietti seguiva la donna della reception scomparire dietro una porta grigia, recante la scritta “AUTHORIZED PERSONNEL ONLY”.
Ritornò sui propri piedi e si diede un’occhiata attorno, alla hall di cui quel piccolo motel disponeva. La sala era circolare ed il bancone si trovava nel punto diametralmente opposto alla porta, ai lati della quale si trovavano due caminetti che vedevano adunati a loro due divani ed altrettante poltrone attorno ad un tavolino di vetro. Solo un uomo sedeva in quella grande sala, ad osservare cupo il fuoco che crepitava e brontolava.
Per qualche momento, le sembrò che la stesse osservando.
Scosse la testa.
I suoi occhi andarono oltre le ampie finestrate che circondavano il salone, proiettata nel buio pesto della notte e nella folta boscaglia che si estendeva di fronte a lei. Con sua grande sorpresa, c’era ancora una macchina girare per i dintonri a quella ora.
Senza accorgersene, la donna era arrivata.
« Eccole! » esclamò, mentre issava sul bancone un piccolo stereo rosa a forma di Chansey « Non è molto, ma spero che le possa essere utile ».
« Grazie mille! Le saprò dire. Uh, e posso delle cuffiette? ».
TRACK HILDA recitava la traccia sul display del lettore cd.
Premette play.
« Possiamo cominciare, ora. Perché stai registrando? Oh, per questioni… non preoccuparti. Andiamo avanti. In questa sessione, come ti ho già spiegato, andrò a fare una mappatura dei tuoi ricordi affinché possiamo individuare ogni tuo tipo di ricordo legato ad N, al giornale Castle ed alla tua vita come Hilda Claude Baskerville, isolarlo e cancellarlo dalla tua memoria. Come abbiamo discusso nel precedente incontro, procederemo prima a ricapitolare ogni tuo ricordo ed evento nella tua vita legato ad esso, per poi, come essi appaiono nella tua mappatura cerebrale, andarli ad isolare. Ora procederò a, per così dire, raccontare la tua vita e i fatti salienti; se sono corretti fai un cenno del capo, in caso contrario fermami e correggimi. Iniziamo… Hilda Claude Baskerville, sei nata il 26 Maggio 1990… ».
Deglutì.
𐌳
Erika uscì dall’edificio stringendo con forza il cd nelle sue mani. Una lacrima scese lungo il suo volto, lacrima che subito asciugò con un drappo della sua maglietta dal suo viso.
Fissò il suo riflesso sulla superficie del disco mentre camminava rasente alla parete, illuminata dalla luce che l’enorme quantità di fari e torce appese ed incastrate nello stabile. Il suo viso, ieratico, si dipanava lungo tutta la sezione circolare, qualche volta rigato da un segmento radiale arcobaleno.
Sovrappensiero, non rese conto di aver camminato così tanto da essersi trovata di fronte ad un cestino.
Alzò la mano sinistra e prese con essa il lato scoperto del cd. I suoi polpastrelli premevano con forza dal basso verso l’alto mentre incurvava leggermente i polsi. Inizialmente dovette metterci un po’ d’impegno, ma, poco dopo, riuscì a sbloccarsi. Le sue dita corsero veloci mentre una crepa si disegnava a metà del dispositivo: la crepa correva da un lato all’altro, separando a metà le due parti del cd. Prima che se ne accorgesse, sul fondo del cestino era caduto quanto restava del secondo disco.
𐌳
« Key? ».
« Lou? ».
𐌳 𐌳 𐌳
« Mi vuoi dire cos’hai? ».
« Cos’è che ho? ».
« Dimmelo tu! È da stamattina che mi tieni il broncio ».
« Va tutto bene ».
« Sicuro? ».
Louis asserì. « Sì ».
Parcheggiarono la macchina accanto al cancello dell’editoria.
Erika e Louis non si scambiarono uno sguardo mentre uscivano dalla macchina e, a ritmi e velocità diverse, attraversavano lo spazio che li separava dall’entrata dell’edificio. Potevano vedere la silhouette di Henry attraverso la porta finestra agitarsi animatamente attorno pile di quelli che sembravano libri. Più si avvicinavano all’obbiettivo, più ne erano certi: erano i loro libri.
Un brivido corse lungo la schiena di Louis come osservava Erika avvicinarsi alla porta, alla verità. Camminava a testa alta, i suoi occhi brillavano di gioia al pensiero di ciò che l’aspettava e le sue mani tremavano dall’emozione incontenibile.
La spia a capo delle porte vetrate s’illuminò di verde e le porte cominciarono, lentamente, a scivolare ai lati, scomparendo dentro le mura del palazzo, e subito una folata di aria calda investì la castana. Proseguì di qualche passo e vide, di fronte a sé, Henry Philips, il direttore della casa editrice, che sorrideva accanto ad una sagoma di cartone.
Molto diversa dalla sagoma che si aspettava.
Raffigurava una ragazza dai capelli biondi e gli occhi azzurri in un abito da sera molto corto ed attillato, che rivelava le sinuosità della donna. In prossimità del seno, molto generoso, era un ciondolo di smeraldo a forma di cuore. Stringeva una pistola nella mano destra. Le gambe, i cui piedi erano tagliati dalla sagoma, erano oscurate dalla scritta a caratteri cubitali CASTELIAGATE: THE AFFAIR BEHIND THE SCENES in un font fatto di fiamme e carte da gioco.
« Erika! Finalmente ti vedo! Non è fantastico? Sono arrivati i libri! ».
Tentò di aprire bocca ma il fiato era corto e non raggiungeva la sua lingua.
Poteva sentire il suo cuore accelerare nel suo petto: i respiri si fecero corti ed interrotti.
« Cosa… » sussurrò, guardandosi attorno « cosa… cosa… ».
« Cos’è successo? ». Sul volto di Henry era dipinta un’espressione confusa, riflesso di ciò che vedeva negli occhi di Erika. « Va tutto bene? Troppa emozione, eh? ».
« Cosa cazzo è questo? ».
« Cosa? ».
« Ho detto » continuò, il suo tono più forte e cupo « cosa. Cazzo. È. Questo ».
« I libri—».
« Che cazzo vuol dire? ». Le sue mani corsero sul colletto della camicia che aveva indossato per l’occasione, una camicietta bianca con sbuffo sulle maniche, e ne tirarono i lembi. Li forzarono, fino a ché non udì dei rumori di strappi provenire da essi. « Non… non… ».
« Erika, va tutto bene? ».
« Io… ».
« Key, devo—».
« Zitto. Io—».
« Va tutto bene? Se vuo—».
« Se voglio? Cazzo dovrei volere? Questo… tutto questo… non era niente di quello che avevo pensato! Cosa avete fatto… avete rovinato la mia storia! ».
Erika si avventò sulla pila di copie che si ergeva in parte alla sagoma e ne tolse uno, spazzando via con un calcio la restante parte della composizione. Aprì le pagine, dopo esser rimasta inorridita dalla copertina affibiatagli, e corse per le pagine. Corse, corse, attraverso tutto il libro, ed ecco che lì era: l’ultimo capitolo, il capitolo 19, che aveva deciso di non aggiungere. Che non aveva proprio scritto.
Sentiva una parte di sé violata.
« Cosa avete fatto… » pianse, sottovoce, mentre le sue mani correvano veloci fra le pagine. L’eco della cellulosa che veniva lacerata riempì l’aria: ben presto, pagine e pagine volavano nella stanza.
« Stai bene? Vuoi che chiamo un’ambulanza? ».
« BASTA! » urlò « basta! Non pensi di aver fatto abbastanza? ».
Lasciò cadere il libro ai suoi piedi.
« Non capisco… non era questo che volevi? ».
« QUESTO? ». La sua voce era rotta e flebile. Indicò la sagoma di cartone che si ergeva di fronte a lei. « Questo? Come puoi pensare che sia quello che volevo? Io… non si avvicina lontanamente a quello che avevo detto! ».
« Quello che avevi edetto? È… è questo, Erika. L’hai firmato proprio tu ».
« Cosa? ».
« L’hai firmato tu, qualche mese fa. Non ti ricordi? ».
« Buongiorno, stavo cercando Erika Joy ».
« Harry Philips, piacere. Tempaccio, eh? ».
« Già. Vuole entrare, o—».
« No no, sarà veloce. È da qualche tempo che abbiamo inviato le modifiche al libro per posta ma non abbiamo ricevuto risposta, sa quando potrei parlarle? ».
Improvvisamente, Erika si ricordò della presenza di Louis nella stanza.
Il suo sguardo attraversò le pareti ed atterrò sul viso del ragazzo, il quale in ogni modo aveva tentato di esimersi dalla conversazione.
« L— L— Lou—». Ogni respiro che compieva per prendere parola era come fuoco lungo la sua gola. Parlare bruciava di più ogni altra cosa. Di ogni altra bugia. « Ne— ne sai— qual— qualcosa? ». Le lacrime continuavano a scendere.
« Key—».
« No… dimmi— dimmi la verità ».
Louis asserì.
Erika strofinò il lembo della sua camicietta sulle sue labbra ed asciugò le lacrime che avevano bagnato la pelle. Passò la stoffa su tutto il viso e, qualche secondo dopo, riuscì a veder il suo amato Louis chiaramente: i suoi occhi puntavano verso il basso ed il suo sguardo era vuoto, perso nei pensieri.
« Come… come hai potuto! ».
« Key—».
« SMETTILA! ». Si avventò sulla pila di libri e ne afferrò uno a caso, per poi scaraventarlo contro la figura di Louis. Fece lo stesso con i seguenti 3 libri, dopodiché la pila giunse al termine. « BASTA, BASTA! ».
« Volevo… volevo che tu fossi felice ».
𐌳 𐌳 𐌳
« Pensavo… pensavo fossi andato via ».
La figura di Louis si muoveva esile nel pesto buio che era calato, assieme alla sera ed al gelo invernale, su Unova. Anche se non riusceva a vederlo, riconosceva nell’uomo che si presentava di fronte a lei il ragazzo che, un tempo, aveva amato.
« Come avrei potuto? Non potevo lasciarti nelle mani di quel pazzo! ».
« Dob—».
« Ascoltami Key, devi chiamare la polizia! È un pericolo pubblico! ».
« Non ora, Lou! È troppo presto ora ».
« Cosa significa “è troppo presto”? Non ti rendi conto di quello che può fare? ».
« Sì, sì— ma non capisci! Ethan—».
« Niente Ethan, Erika! Lo fermerò, che tu lo vogl—».
« Vediamoci. Fra un’ora, stesso luogo, arriverò con Ethan. Chiameremo la polizia e lo terremo qua finché non arriva, ok? ».
Louis asserì.
« Ottimo, ora dev—».
Erika provò una leggera stretta al suo braccio destro. Girò la testa in direzione del ragazzo e vide che la sua mano la tratteneva, la collegava idealmente a lui.
« Quello… quello che hai detto prima. Lo credi veramente? Non— non c’è più posto per me nella tua vita? ».
« Lou—».
« Ho bisogno di una risposta, Key ».
« E io… ho bisogno di andare, scusa. A fra poco ».
Erika si divincolò dalla stretta di Louis e scomparì nell’oscurità, inghiottita dalle ombre della regione di Unova.
𐌳
La porta cigolò come Erika timidamente cercò di aprirla.
« Erika? ».
« Ethan… io—».
« Dov’eri finita? Perché non c’eri quando sono entrato nella stanza? ».
Ethan era seduto sul letto, vestito, l’asciugamano bagnato gocciolava a cavallo della sedia. Stringeva nella mano sinistra la pistola e con la destra la stava accarazzendo, come a smussare una qualche inesistente imperfezione. Dalla posizione qual era, non gli sarebbe stato difficile alzarsi e prima che Erika se ne potesse accorgere, colpirla fatalmente.
Erika chiuse la porta ed avanzò verso di lui.
« Scus— scusa. Volevo… fare una passeggiata ».
« Erika… posso fidarmi di te? ».
« Cosa? Ce— certo che puoi, Ethan ».
« Non credo. Dov’eri? ».
Raccolse dentro di sé quanta più sicurezza poteva ed esibì il sorriso più caldo che era mai riuscita a fingere in quanto si ricordava di vita. Allungò la mano verso di lui, aperta, sperando di essere ricambiata dalla stretta del ragazzo.
« Ti ho detto, a fare una passeggiata… volevo schiarirmi le idee ».
« Su cosa? ».
« Su… noi ».
« Noi? ».
Erika asserì.
« Erika… io mi sto impegnando, ho cercato di fare quanto potevo per aiutarti, ma sto trovando un muro davanti a me. E prima o poi, potrei finire, involontariamente, per buttarlo giù ».
Involontariamente.
Il gelo che plasmava le sue parole era fonte di paura nella ragazza. Era serio, ma la sua serietà non era corrotta dal minimo istinto bonario: tutt’altro, nella sua fermezza lasciava trasparire una sensazione di freddezza.
« Non accadrà più ».
« Come faccio a saperlo? Erika? Come? ».
« Te lo pr—».
Il respiro le mancò in gola. Udì una scarica di dolore partire dal suo braccio destro, e quando ritornò ai suoi sensi, una frazione di secondi dopo, vide la mano di Ethan che imponeva una morsa sul suo arto.
« Mi— mi stai facendo male ».
In quel momento, i loro due sguardi si incrociarono. Poteva sentire sulla sua pelle la spietata aria di sfida con la quale gli occhi di Ethan osservavano Erika: in quel momento, pari ad un animale ferito, accasciato al suolo, che tentava di ribellarsi al suo padrone.
« Devi promettermi, Erika, che non mi deluderai più. Che non— che potrò fidarmi di te ».
« Sì, Ethan, te lo promet—».
« Non dirmi sì! Devi esserne convinta ».
Erika abbassò lo sguardo. « Ne sono convinta ».
« Bene. Ora usciamo, non sopporto più questo posto ».
𐌳
La macchina di Ethan si aggirava furtiva nell’oscurità.
Erika giaceva a peso morto sul sedile anteriore, in parte al ragazzo, in uno stato di passiva quiescenza.
Immersi in un paesaggio fatato, in un’atmosfera fatta di buio pesto e luccicanti luci al neon, che disegnavano suggestive ombre sui vetri della vettura, i due si apprestavano a lasciare quel luogo dietro. Nella sua mente, la ragazza pensava al cd, a Louis, ad N. Quanto sarebbe riuscita a trattenere la verità? Per quanto ancora avrebbe sopportato il peso di quanto Hilda Baskerville aveva lasciato su di lei? E, poi, sentiva veramente di essere Hilda? Avrebbe avuto il coraggio di reclamare quel nome? Di ritornare Hilda?
Erika sentì una forza estranea spingerla verso il cruscotto. Quando aprì gli occhi, la macchina aveva inchiodato in mezzo alla strada, e due fari illuminavano il suo viso a giorno. Non riusciva a vedere chi fosse dall’altra parte.
« Che cazzo? ».
« Cos’è stato? » mormorò Erika. Poi si ricordò.
« È… Louis? Cosa ci fa ancora qua? ».
Ethan scese dalla macchina ed alzò il suo braccio destro a coprire gli occhi dall’insistente fascio di luce che veniva diretto contro di lui.
« Che cazzo ci fai qua? Non ti era bastato il primo round? ».
« La tua corsa finisce qua, Ethan. Lascia stare Erika, non ti ha fatto niente ».
Un sorriso corse sulle labbra di Ethan.
« Sei ancora arrabbiato perché lei ha scelto me? » rise « sei patetico. Fammi strada ».
Come non avesse ascoltato le sue parole, Louis cercò il viso di Erika nel sedile anteriore. Vide una macchia di colore blu, nella quale poteva scorgere il candido viso della castana rintanato e nascosto.
« ERIKA! MI SENTI? » urlò.
« Non vuole avere niente a che fare con te, Louis. Vattene ».
« Non è vero… non— non è vero… ».
Erika osservava lo spettacolo inerme. Quello che riusciva a fare era muovere il capo a segno di negazione verso Louis, nella speranza che lo vedesse. Non voleva parlargli, non voleva combatterlo. Non in quel momento. Che fine aveva fatto la promessa?
« Erika… ».
Poteva sentire la sua voce rompersi, nell’oscurità e nel coro di rumori che rimombavano nella sua mente.
Lo sguardo di Louis era deluso.
« Dovevo… dovevo saperlo. Non fa niente ».
« Ad Erika non frega un cazzo di te, ora puoi andare? Avremo altro da fare ».
« No. Sapevo… sapevo che Erika mi avrebbe deluso di nuovo. Ho già chiamato la polizia, arriverà qui a momenti. La vostra corsa è finita, in ogni modo ».
« Bastardo » bofonchiò Ethan « e pensi di bastare a—».
« BASTA ».
Una voce femminile irruppe nel silenzio.
« Basta, tutti e due ».
Erika scese dalla macchina e vi si mise in parte, dal lato opposto a quello del ragazzo. Louis era davanti a lei, a qualche metro di distanza. Poteva sentire i suoi respiri, nel buio.
« Louis, devi andartene. Non c’è più spazio per te ».
« Key… ».
« Niente Key. Non sto scherzando ».
Il gelò calò nella strada.
Erika rivelò dalla sua mantella blu la pistola di Ethan, che lui aveva lasciato sul sedile di guida dopo essersi alzato, pronto ad usarla. Se Louis poteva dirsi sorpreso, nel castano lo chock era decisamente maggiore: non avrebbe mai detto che quella ragazza, così gracile all’apparenza, sarebbe stata capace di tanto ardore. I due rimasero senza parole a fissarla, mentre alzava la canna della pistola contro la tempia di Louis.
Le sue mani tremavano come le braccia si issavano su, nell’aria, lentamente, a causa del pesto stesso dell’arma.
« Cosa ti è succeso, Key? Mi… mi amavi. Ci amavamo ».
« Ti— ti sbagli. Erika Joy amava Louis Bloomfield. Ma io non sono Erika Joy: io sono Hilda Baskerville. Lo sono sempre stata, ed Hilda Baskerville ha sempre amato una ed una sola persona… ma quella persona è morta ».
« Ancora con questa storia? ».
« SMETTILA! ». Per un attimo le braccia non ressero la tensione e caddero senza vita lungo il suo corpo. Cercò la forza di alzarla nuovamente nella sua rabbia, nell’ira che in quel momento si era accesa, come un fuoco, dentro di sé. « Mi dispiace, Louis… mi dispiace vermente. Ma non c’è più niente che possiamo fare. Ora ho capito qual è il mio scopo, cos’è che devo fare, ed è più di quanto Erika Joy abbia mai provato in vita sua. L’unica volta in cui ho provato un’emozione vera, qualcosa che andasse oltre la mia indolenza e passività, è stato quando hanno rovinato il mio libro. Quando tu hai rovinato il mio libro. Ma va bene, non ce l’ho con te. Devo ringraziarti, anzi… ho capito che non c’era posto per me. E non c’è neanche posto per te, Louis. Sei già morto, noi siamo già morti. Rendiamolo ufficiale ».
Le volle uno sforzo più grande di quanto immaginava a premere il grilletto contro il corpo della pistola. Il contraccolpò che le diede la spinse a terra, tanto che dovette allungare il suo braccio sinistro allo specchietto della macchina per reggersi in piedi. Udì un rumore sordo infuocare le sue orecchie, e poi Hilda svenne.
𐌳 𐌳 𐌳
Erika si chinò ed sollevò un libro da terra, uno dei tanti appartenenti alla pila che aveva fatto cadere, e si alzò con gli occhi incollati alle pagine. Con le dita sfogliò tra i capitoli sino a che non giunse all’ultima pagina, accanto della quale stava la terza di pagina.
« Una nuova luna calava su Unova. Erano passati tre giorni da quando Brancaleone, a causa della malattia, era morto. Poco tempo prima, l’ultima cosa che era riuscito a fare, aveva ferito i sentimenti di Vassillissa, che a causa sua l’aveva lasciato: Brancaleone sapeva che, anche a costo di rovinare la loro relazione, Vassillissa stessa non sarebbe mai riuscita a sopportare il dolore che vedere la morte del suo amato avrebbe causato ».
Un libro sfiorò il capo di Louis.
« PENSI CHE QUESTA SIA LA FELCIITÀ, EH? ». Erika prese tempo per respirare, dopodiché afferrò un altro volume in mano e lo scaraventò contro la finestra. « Questo… tutto questo… non è la felicità. Quel libro era una parte di me, la parte più intima di me… e l’avete rovinato. Tu, Henry, quando hai deciso di renderlo accattivante al pubblico, e tu, Lou, quando hai accettato quella proposta ».
« Non pensavo che potesse farti così tanto male… purtroppo non c’è niente che possa fare io adesso ».
« Va— va bene. Non c’è più nulla che io voglia in ogni caso ».
Henry si chinò e raccolse qualche volume di quelli che Erika, nella sua rabbia, aveva lanciato per terra, e li impilò nuovamente uno sopra l’altro.
« Mi dispiace dirtelo, Erika, ma ho paura che dovremmo proseguire con questo libro. Siamo una piccola casa editrice di Anville Town, non possiamo permetterci di andare in rosso ».
« E io cosa dovrei fare? ».
« Dopodomani ci sarà la presentazione del libro. Presenzia a quella, e cercheremo di vendere quanto stampato. Dopodiché, potrai andartene senza problemi ».
Erika fissava il basso, il vuoto, nella speranza che qualcosa accadesse e stravolgesse gli eventi. Che si svegliasse da quell’incubo, se poteva. Ma anche quando si guardava attorno, tutto urlava reatà.
« Ok ».
« Bene. Ora andate, rimarrò io a sistemare ».
𐌳
flashback – Anville Town – 07/02/13
« Henry? ».
« Erika! Volevo solo comunicarti la posizione della presentazione ».
« Oh. Ora prendo un foglio ».
« Ok, dimmi quando hai fatto »
« Dimmi ».
« Gazi Kodzo Square, alle 9 ».
« Ok. Cercherò— di esserci ».
« Erika! Volevo solo comunicarti la posizione della presentazione ».
« Oh. Ora prendo un foglio ».
« Ok, dimmi quando hai fatto »
« Dimmi ».
« Gazi Kodzo Square, alle 9 ».
« Ok. Cercherò— di esserci ».
𐌳
flashback – Anville Town – 08/02/13
La
Gazi Kodzo Square era una piazza che nasceva, nel cuore di Anville
Town, dall’inconrocio di quattro strade, parallele a due a due, che al
centro davano vita ad uno spiazzo di modeste dimensioni, sul quale era
sorto un parco ed, al centro di esso, il Centro Conferenze Kat Blaque.
L’edificio era di forma cubica, con quattro rampe di scale che davano
ciascuna su un lato; dei quattro, tuttavia, solo uno era usato come
entrata, mentre i restanti tre erano stati chiusi con delle sbarre di
metallo. Una grossa cupola faceva dal soffitto, facendo entrare la luce
dall’occhiello posto sulla sommità di essa.
Erika attraversò la strada e subito la sua attenzione fu catturata dal largo cartellone pubblicitario di fronte a lei, che rappresentava cinque giovani ragazze in una passerella, sulla quale era stata stampata a caratteri cubitali la scritta “Yearly Sommer Gals”, l’annuale sfilata di moda della nota stilista Sommer Claude. Scosse la testa e proseguì: otto file per otto colonne di sedie foderate in pelle rossa che davano ad un palco di compensato davanti a loro.
La prima cosa che notò entrando fu la scarsità delle persone che in quel momento si trovavano nel luogo, tanto che se si fossero unite anziché rimanere sparpagliate per la sala avrebbero sì e no riempito una fila.
« Erika! Accomodati pure là, le persone arriveranno ».
Erika evitò il suo sguardo e continuò a camminare.
« Ok » mormorò, ma Henry era già intento ad accogliere le poche persone che si apprestavano ad entrare.
Erika sedeva in una posizione che le permetteva di vedere l’intera platea, che in quel momento poteva dire di raggiungere quasi metà della sua capienza. Decine di macchine fotografiche che puntavano verso di lei, ed altrettante persone che stringevano fra le proprie mani dei taccuini o dei dispositivi elettronici per tenere traccia del discorso.
Le porte lentamente cominciarono a chiudersi e la folla si fece silenziosa, mentre Henry, attraversata la sala, si apprestava a raggiungerla nel palco. Salì la breve rampa di scale e arrivò dietro di lei, superandola e prendendo possesso del microfono.
In quel momento, Erika sentì un nodo alla gola. L’aria si faceva più rara, ed il cuore accelerava i battiti.
« Benvenuti a tutti, signori e signore! Siamo riuniti qui oggi, domenica 8 febbraio, per la presentazione del nuovo, scoppiettante, audace, disturbante, avanguardistico romanzo di Erika Joy: Casteliagate: The Affair behind the Scenes! ».
La ragazza osservò il pubblico mentre uno scroscio di applausi si diramava come un’onda concentrica sulle loro mani.
« Ora lascio la parola all’autrice ».
Henry si fece indietro e lasciò la presa del microfono, che ritornò sulla struttura di metallo che lo reggeva, in cima del poggio.
Erika si guardò attorno, dopodiché si schiarì la gola, suono che rimombò lungo tutta la sala attraverso l’amplificazione del dispositivo.
« Buon— buongiorno a tutti… sono Erika Joy ». Portò la mano destra sul collo e si massaggiò l’ugola. « Direi… di cominciare con le domande ».
Un leggero brusio si levò fra il pubblico.
Una mano si alzò.
Erika acconsentì con un cenno del capo.
« Buongiorno » esordì l’uomo. Era un giornalista di mezza età, da quanto poteva vedere, ed indossava un completo grigio come il cielo quel giorno. Fra le mani stringeva una fragile penna stilografica che, ad occhio e croce, era costata più del vestito. « Mi chiamo Christian Black e sono un famoso giornalista di Anville Town, e scrivo per La Gazzetta di Domani, un giornale molto famoso. Dato che mi sembra che tu— lei è una persona che gli piace molto scrivere, qual è stata la cosa più difficile da scrivere? ».
Erika alzò il sopraccigliò.
« Ahem… la ringrazio molto per la domanda, signor Black… be’ la parte più difficile da scrivere… penso sia stato l’inizio. Quando ho delineat—».
« Grazie mille ».
La ragazza lo fissò buttare giù la frase che aveva appena detto sul taccuino, gli occhi sgranati.
Scosse la testa e proesguì con la donna che stava nella prima fila, davanti a lei. Indossava un tauiller rosso Valentino e stringeva una macchina fotografica tra le mani.
« Buongiorno, sono Becky White e scrivo per un settimanale online, Bravery. Sarei molto interessata riguardo ciò che pensa del finale, e la sua opinione sul ruolo della donna nella società moderna ».
« Ottima— ottima domanda. Il finale… è certamente un finale, ecco…. ». Si schiarì la gola. « Credo che la scelta fatta dalla protagonista, Vassillissa, sia stata la scelta giusta. Per rispondere alla sua seconda domanda, credo che sia una questione troppo grande da affrontare in uno spazio relativamente piccolo come questo… sarei felice di discuterne in altri luoghi, però ».
« In che modo è stata giusta la scelta di Vassillissa, però? ».
« Be’… direi che facciamo prima a leggerlo… » si guardò attorno, sperando che il pubblico raccogliesse la sua offerta « … no? ».
Prima che potesse girarsi, Henry aveva le mani allungate verso di lei, nelle sue mani una copia del libro.
« Ahem… Una nuova luna calava su Unova. Erano passati tre giorni da quando Brancaleone, a causa della malattia, era morto. Poco tempo prima, l’ultima cosa che era riuscito a fare, aveva ferito i sentimenti di Vassillissa, che a causa sua l’aveva lasciato: Brancaleone sapeva che, anche a costo di rovinare la loro relazione, Vassillissa stessa non sarebbe mai riuscita a sopportare il dolore che vedere la morte del suo amato avrebbe causato. In quel momento, la giovane ragazza sedeva davanti alla sua valigia, a casa sua, sperando in una risposta dal suo amato Brancaleone: la giovane era infatti inconsapevole della malattia di Brancaleone. Sedeva tranquilla, quieta e rilassata, mentre con la sua mente scrutava il telefonino nella speranza che uno zampillo di luce zampillase lucentemente dallo schermo. Decise di farsi coraggio ed afferrò in modo dinoccolato il telefono, per poi fare il numero del suo amato Brancaleone. Attese. « Pronto? ». Nessuna voce rispondeva. « Pronto? Sono Vassillissa ». ».
Angela fissava Erika con lo sguardo con cui un Dedenne fissa una Baccamela.
« « Sì, sono la ragazza di Brancaleone… cioè ero, ci siamo lasciati… ha notizie di lui? Perché non ha rispsoto lui? ». Lo sguardo di Vassillissa si faceva sempre più triste come la conversazione andava avanti. Sentiva che qualcosa non andava, che il suo amore, in qualche modo, era più lontano del solito. Attese, nella speranza che la sorella, Mariaddolorata, rispondesse positivamente. « Cosa? ». Una lacrima rigò le sue gote rosee. « Cosa ha detto? Branca— Brancaleone è… morto? ». Vassillissa chiuse il telefono senza neanche aspettare la risposta. Lo strinse forte tra le mani con forza, si alzò e lo lanciò verso il muro. La scocca uscì dal corpo del dispositivo e tutti i circuiti si riversarono per terra. Vassillissa corse in camera sua, mentre le lacrime scendevano dal viso, e cercò disperataente qualcosa che la salvasse. Aprì con forza l’armadio ed afferrò la camicia a quadri che Brancaleone usava indossare durante le loro uscite, ed affondò il suo viso nella stoffa. L’acre profumo del loro amore si sollevò da quel tessuto di flanella. « Brancaleone, io… ». Stringendolo nella mano, si diresse nel letto, afferrò la telecamera e la posò sul treppiede. Diede un’occhiata al suo rfilesso nel vetro della macchiana e tirò un sospiro di sollievo nel vedere che la sua pelle era perfetta ed il correttore era rimasto anche dopo le lacrime. Prese il mascara che aveva poggiato sulla scrivania e si sistemò le ciglia, dopodiché con le punta inumidite delle dita trascinò il prodotto lungo le guancie, tale da creare una striscia nera che pendeva dagli occhi. Allungò la mano verso la telecamera e schiacciò PLAY. « Salve a tutti, ragazzi, e benvenuti nel mio canale! Nello storytime di oggi, come avrete capito dal titolo, parlerò di una cosa molto importante… la morte del mio amato Brancaleone » ».
Uno scroscio di applausi investì Erika come un treno. Era rimasta stordita, al leggere quelle parole, quasi uscite da un mondo estraneo al suo.
« Io… scusate ».
Erika attraversò la strada e subito la sua attenzione fu catturata dal largo cartellone pubblicitario di fronte a lei, che rappresentava cinque giovani ragazze in una passerella, sulla quale era stata stampata a caratteri cubitali la scritta “Yearly Sommer Gals”, l’annuale sfilata di moda della nota stilista Sommer Claude. Scosse la testa e proseguì: otto file per otto colonne di sedie foderate in pelle rossa che davano ad un palco di compensato davanti a loro.
La prima cosa che notò entrando fu la scarsità delle persone che in quel momento si trovavano nel luogo, tanto che se si fossero unite anziché rimanere sparpagliate per la sala avrebbero sì e no riempito una fila.
« Erika! Accomodati pure là, le persone arriveranno ».
Erika evitò il suo sguardo e continuò a camminare.
« Ok » mormorò, ma Henry era già intento ad accogliere le poche persone che si apprestavano ad entrare.
Erika sedeva in una posizione che le permetteva di vedere l’intera platea, che in quel momento poteva dire di raggiungere quasi metà della sua capienza. Decine di macchine fotografiche che puntavano verso di lei, ed altrettante persone che stringevano fra le proprie mani dei taccuini o dei dispositivi elettronici per tenere traccia del discorso.
Le porte lentamente cominciarono a chiudersi e la folla si fece silenziosa, mentre Henry, attraversata la sala, si apprestava a raggiungerla nel palco. Salì la breve rampa di scale e arrivò dietro di lei, superandola e prendendo possesso del microfono.
In quel momento, Erika sentì un nodo alla gola. L’aria si faceva più rara, ed il cuore accelerava i battiti.
« Benvenuti a tutti, signori e signore! Siamo riuniti qui oggi, domenica 8 febbraio, per la presentazione del nuovo, scoppiettante, audace, disturbante, avanguardistico romanzo di Erika Joy: Casteliagate: The Affair behind the Scenes! ».
La ragazza osservò il pubblico mentre uno scroscio di applausi si diramava come un’onda concentrica sulle loro mani.
« Ora lascio la parola all’autrice ».
Henry si fece indietro e lasciò la presa del microfono, che ritornò sulla struttura di metallo che lo reggeva, in cima del poggio.
Erika si guardò attorno, dopodiché si schiarì la gola, suono che rimombò lungo tutta la sala attraverso l’amplificazione del dispositivo.
« Buon— buongiorno a tutti… sono Erika Joy ». Portò la mano destra sul collo e si massaggiò l’ugola. « Direi… di cominciare con le domande ».
Un leggero brusio si levò fra il pubblico.
Una mano si alzò.
Erika acconsentì con un cenno del capo.
« Buongiorno » esordì l’uomo. Era un giornalista di mezza età, da quanto poteva vedere, ed indossava un completo grigio come il cielo quel giorno. Fra le mani stringeva una fragile penna stilografica che, ad occhio e croce, era costata più del vestito. « Mi chiamo Christian Black e sono un famoso giornalista di Anville Town, e scrivo per La Gazzetta di Domani, un giornale molto famoso. Dato che mi sembra che tu— lei è una persona che gli piace molto scrivere, qual è stata la cosa più difficile da scrivere? ».
Erika alzò il sopraccigliò.
« Ahem… la ringrazio molto per la domanda, signor Black… be’ la parte più difficile da scrivere… penso sia stato l’inizio. Quando ho delineat—».
« Grazie mille ».
La ragazza lo fissò buttare giù la frase che aveva appena detto sul taccuino, gli occhi sgranati.
Scosse la testa e proesguì con la donna che stava nella prima fila, davanti a lei. Indossava un tauiller rosso Valentino e stringeva una macchina fotografica tra le mani.
« Buongiorno, sono Becky White e scrivo per un settimanale online, Bravery. Sarei molto interessata riguardo ciò che pensa del finale, e la sua opinione sul ruolo della donna nella società moderna ».
« Ottima— ottima domanda. Il finale… è certamente un finale, ecco…. ». Si schiarì la gola. « Credo che la scelta fatta dalla protagonista, Vassillissa, sia stata la scelta giusta. Per rispondere alla sua seconda domanda, credo che sia una questione troppo grande da affrontare in uno spazio relativamente piccolo come questo… sarei felice di discuterne in altri luoghi, però ».
« In che modo è stata giusta la scelta di Vassillissa, però? ».
« Be’… direi che facciamo prima a leggerlo… » si guardò attorno, sperando che il pubblico raccogliesse la sua offerta « … no? ».
Prima che potesse girarsi, Henry aveva le mani allungate verso di lei, nelle sue mani una copia del libro.
« Ahem… Una nuova luna calava su Unova. Erano passati tre giorni da quando Brancaleone, a causa della malattia, era morto. Poco tempo prima, l’ultima cosa che era riuscito a fare, aveva ferito i sentimenti di Vassillissa, che a causa sua l’aveva lasciato: Brancaleone sapeva che, anche a costo di rovinare la loro relazione, Vassillissa stessa non sarebbe mai riuscita a sopportare il dolore che vedere la morte del suo amato avrebbe causato. In quel momento, la giovane ragazza sedeva davanti alla sua valigia, a casa sua, sperando in una risposta dal suo amato Brancaleone: la giovane era infatti inconsapevole della malattia di Brancaleone. Sedeva tranquilla, quieta e rilassata, mentre con la sua mente scrutava il telefonino nella speranza che uno zampillo di luce zampillase lucentemente dallo schermo. Decise di farsi coraggio ed afferrò in modo dinoccolato il telefono, per poi fare il numero del suo amato Brancaleone. Attese. « Pronto? ». Nessuna voce rispondeva. « Pronto? Sono Vassillissa ». ».
Angela fissava Erika con lo sguardo con cui un Dedenne fissa una Baccamela.
« « Sì, sono la ragazza di Brancaleone… cioè ero, ci siamo lasciati… ha notizie di lui? Perché non ha rispsoto lui? ». Lo sguardo di Vassillissa si faceva sempre più triste come la conversazione andava avanti. Sentiva che qualcosa non andava, che il suo amore, in qualche modo, era più lontano del solito. Attese, nella speranza che la sorella, Mariaddolorata, rispondesse positivamente. « Cosa? ». Una lacrima rigò le sue gote rosee. « Cosa ha detto? Branca— Brancaleone è… morto? ». Vassillissa chiuse il telefono senza neanche aspettare la risposta. Lo strinse forte tra le mani con forza, si alzò e lo lanciò verso il muro. La scocca uscì dal corpo del dispositivo e tutti i circuiti si riversarono per terra. Vassillissa corse in camera sua, mentre le lacrime scendevano dal viso, e cercò disperataente qualcosa che la salvasse. Aprì con forza l’armadio ed afferrò la camicia a quadri che Brancaleone usava indossare durante le loro uscite, ed affondò il suo viso nella stoffa. L’acre profumo del loro amore si sollevò da quel tessuto di flanella. « Brancaleone, io… ». Stringendolo nella mano, si diresse nel letto, afferrò la telecamera e la posò sul treppiede. Diede un’occhiata al suo rfilesso nel vetro della macchiana e tirò un sospiro di sollievo nel vedere che la sua pelle era perfetta ed il correttore era rimasto anche dopo le lacrime. Prese il mascara che aveva poggiato sulla scrivania e si sistemò le ciglia, dopodiché con le punta inumidite delle dita trascinò il prodotto lungo le guancie, tale da creare una striscia nera che pendeva dagli occhi. Allungò la mano verso la telecamera e schiacciò PLAY. « Salve a tutti, ragazzi, e benvenuti nel mio canale! Nello storytime di oggi, come avrete capito dal titolo, parlerò di una cosa molto importante… la morte del mio amato Brancaleone » ».
Uno scroscio di applausi investì Erika come un treno. Era rimasta stordita, al leggere quelle parole, quasi uscite da un mondo estraneo al suo.
« Io… scusate ».
𐌳 𐌳 𐌳
presente – fuori Castelia City – 18/02/13
« Remember when we fell for the first time… ».
Dei semplici riff di chitarra riempivano la macchina, accompagnati da una melodiosa voce femmnile.
« … you said to me, you'd pay me back in time… ».
Hilda fissava l’oscurità di fronte a sé, un telo di velluto nero raramente illuminato da fugaci punti luminosi. Fari di auto, catarinfrangenti lungo i bordi della strada, semafori dismessi, un arcobaleno di luci che aiutava, seppur il suo sforzo non sfociasse in un vero e proprio aiuto, nel gettare luce sul paesaggio boschivo che si distendeva davanti a loro; più proseguivano nel viaggio, più s’immergevano nella foresta.
Ethan non le aveva rivolto parola dopo l’incidente. La ragazza si era svegliata da sola, in macchina, e le volle qualche tempo per ricordare i dettagli di quanto accaduto prima dello svenimento. Doveva averla raccolta e messa nel sedile accanto al suo ed essere scappato. Non ne era sicura, ma poteva dire di scorgere l’abbozzare di un sorriso sulle labbra del castano.
« … I can't take this, now we're caught in the middle… ».
Hilda si strinse fra le braccia e sprofondò nel sedile, il suo sguardo che saliva, come lei scendeva, verso il cielo, verso le stelle. Era così pacifico, avrebbe potuto congelarsi in quel momento e smettere di vivere.
« …. cause I can't take this, break my heart just a little… ».
Non aveva coraggio di parlare, di dire una parola. Cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito?
Era più sicuro aspettare una risposta dal ragazzo. Solo così avrebbe potuto prepare la sua risposta, se solo ne fosse stata capace.
« … I remember kissing and crashing and I remember crying from laughing… ».
« Riguardo… a prima ».
La voce di Ethan spezzò l’imbarazzante silenzio.
« … look at what we've become, how did we go so numb? ».
« Hai… hai fatto la scelta giusta, Erika. Ora è meglio trovare un posto dove andare a dormire ».
Hilda asserì.
« … help me break this, make it hurt just a little… ».
« Puoi anche parlare, Erika ».
« S— sì. Per me va— va bene ».
« … I wanna fight to keep us together, cause I can't take this… ».
« Ottimo. Vedo una stazione qua vicino, dovrebbe esserci delle stanze ».
« O— ok ».
« … beak my heart just a little ».
Dei semplici riff di chitarra riempivano la macchina, accompagnati da una melodiosa voce femmnile.
« … you said to me, you'd pay me back in time… ».
Hilda fissava l’oscurità di fronte a sé, un telo di velluto nero raramente illuminato da fugaci punti luminosi. Fari di auto, catarinfrangenti lungo i bordi della strada, semafori dismessi, un arcobaleno di luci che aiutava, seppur il suo sforzo non sfociasse in un vero e proprio aiuto, nel gettare luce sul paesaggio boschivo che si distendeva davanti a loro; più proseguivano nel viaggio, più s’immergevano nella foresta.
Ethan non le aveva rivolto parola dopo l’incidente. La ragazza si era svegliata da sola, in macchina, e le volle qualche tempo per ricordare i dettagli di quanto accaduto prima dello svenimento. Doveva averla raccolta e messa nel sedile accanto al suo ed essere scappato. Non ne era sicura, ma poteva dire di scorgere l’abbozzare di un sorriso sulle labbra del castano.
« … I can't take this, now we're caught in the middle… ».
Hilda si strinse fra le braccia e sprofondò nel sedile, il suo sguardo che saliva, come lei scendeva, verso il cielo, verso le stelle. Era così pacifico, avrebbe potuto congelarsi in quel momento e smettere di vivere.
« …. cause I can't take this, break my heart just a little… ».
Non aveva coraggio di parlare, di dire una parola. Cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito?
Era più sicuro aspettare una risposta dal ragazzo. Solo così avrebbe potuto prepare la sua risposta, se solo ne fosse stata capace.
« … I remember kissing and crashing and I remember crying from laughing… ».
« Riguardo… a prima ».
La voce di Ethan spezzò l’imbarazzante silenzio.
« … look at what we've become, how did we go so numb? ».
« Hai… hai fatto la scelta giusta, Erika. Ora è meglio trovare un posto dove andare a dormire ».
Hilda asserì.
« … help me break this, make it hurt just a little… ».
« Puoi anche parlare, Erika ».
« S— sì. Per me va— va bene ».
« … I wanna fight to keep us together, cause I can't take this… ».
« Ottimo. Vedo una stazione qua vicino, dovrebbe esserci delle stanze ».
« O— ok ».
« … beak my heart just a little ».
𐌳
Hilda seguiva i movimenti di Ethan con lo sguardo di un Miltank pronto al macello. Ogni azione che compieva, passo che faceva e respiro che giungeva alle sue orecchie, la ragazza sussultava. Il suo collo era teso e gli occhi iniettati di sangue, le mani correvano lungo la sua maglietta a scatti, gesti febbrili che, in qualche modo, sperava scaricassero il nervovismo che aveva accumulato in corpo. Allo stesso modo, qualunque volta lui si girasse, era pronta a sfoderare il migliore dei suoi sorrisi, cosicché Ethan non notasse lo stato in cui versava. Cosicché lui potesse fidarsi di lei.
« Sono rimasto… colpito, diciamo, da quello che hai fatto prima, Erika. Non mi aspettavo che lo facessi ».
Hilda sorrise. « Ah… sì? ».
« Sì. È stato… bello. Non pensavo fossi capace di tanto per me ».
« Be’… l’hai detto tu, no? Eravamo fida—fidanzati ».
Un ghigno attraversò il viso di Ethan all’udire quelle parole.
« Sì, hai ragione. È difficile ritornare a com’eravamo prima, ma spero sia possibile ».
« Siamo già ritornati, no? Io ti a—amo ».
« Anch’io, Erika. Ora forza, vai a letto ».
Vide Ethan appoggiare la giacca a cavalcioni sulla spalliera del letto, e subito notò un peso tentare di trascinar l’indumento verso terra. Il ragazzo si allontanò da essa ed andò verso di lei.
« Dai, andiamo a letto ».
« Aspe—aspetta. Puoi portarmi un fa—fazzoletto dal bagno? ».
« Certo, Erika. Vai a letto, intanto ».
Hilda asserì.
Ethan lasciò la presa della sua mano e si diresse verso il bagno, senza chiudere la porta. Era una questione di secondi prima che sarebbe tornato.
Lo sguardo di Hilda corse verso la giacca: era ancora là, dove l’aveva lasciata. Ora, o mai più.
Fece un salto verso il letto ed afferrò la giacca con entrambe le mani. Le sue dita corsero lungo la stoffa alla ricerca dell’apertura della tasca, guidate dal rigonfiamento che potevano tastare anche attraverso la pelle, ed estrassero la pistola. Era pesante come la ricordava, e tiepida.
« Eccomi, Eri—».
Ethan balenò dalla porta e, come vide Hilda, lasciò la presa del pacchetto di fazzoletti, che cadde a terra senza far rumore. Il suo sguardo era quanto di più lontano dall’espressione facciale che aveva un secondo prima, e ciò, in fondo alla ragazza, era motivo di soddisfazione. I suoi occhi castani erano persi nell’osservare come la docile ragazza che pensava di aver avuto sotto il suo pugno poteva ribellarsi contro di lui.
« Posa quella pistola, Erika ».
« Non— non muoverti, Ethan ».
Il ragazzo alzò le mani davanti a sé a segno di resa e fece un passo in avanti. « Erika, calmat—».
« NON MUOVERTI! Non— non muoverti o spa—sparo ».
« Er—».
« E sai che ne sono ca—capace ».
Hilda stringeva la pistola fra le due mani, le braccia dritte a sostenerne il peso, puntata contro il suo torace. Come il ragazzo procedeva avanti, lei spostava il suo corpo indietro.
« Come— come hai fatto a trovarmi? ».
« Cosa? ».
« Hai ca—capito. Come mi hai trovato? ».
« Che ne so, Erika! Non ricordo ».
« BUGIARDO! So—so di Looker ».
Ethan rise.
« E così… è sempre stato questo il tuo obbiettivo, eh? ».
« Rispondi ».
« Da quanto sai di Looker? ».
« Non è impo—portante. Dimmi come mi hai trovato ».
« Lo sai, no? Looker. Ora metti giù la pisto—».
« SMETTILA! Prima di Lo— di Looker, devi esser entrato in possesso del mio nome. Chi te l’ha detto? Come hai fa—fatto a scoprirlo? ».
« Pensi veramente che te lo dica? Se te lo dicessi, non avresti più ragioni per tenermi in vita. Non che io sia sicuro del fatto che tu voglia uccidermi ».
« Pensi— pensi che io non sia capace di ucciderti? ».
« Ne sono sic—».
Un rumore sordo bruciò nelle orecchie di Ethan. Fu un attimo, ed il ragazzo cadde a terra, una macchia di sangue che si espandeva dalla sua spalla. Come i secondi scorrevano, sentiva l’intensità di mille aghi colpirlo ripetutamente, infilarsi nella pelle ed uscire, per poi ritornarvi dentro. E più la vista del sangue si faceva grande, più gli aghi auemntavano di forza.
« Cosa cazzo hai fatto? ».
« Ti ho co—colpito ».
« Sei uscita di testa, Erika? ».
« BASTA! Te l’ho de—detto, non sono Erika. Sono Hilda ».
« Cosa cazzo stai dicendo? ».
« So tutto, Ethan. So di Nimbasa, so del Team Plasma, so di te. E ora, o mi dici come cazzo mi hai trovato o queste saranno le ultime parole che dirai ».
« Sei solo una bimba del cazzo ».
« Una bimba del ca—cazzo con una pistola ».
« Sparami ».
« Che?—».
Hilda rimase interdetta da quando aveva appena sentito, e per pochi secondi abbassò la pistola. Fu questo il momento che Ethan stava aspettando per approffittarsi del suo calo di attenzione e non appena vide la ragazza prendere una pausa la assalì. In risposta, la castana fece fuoco, speranzo di arrestare la rincorsa del ragazzo, ma il proiettile vagò a vuoto. Alzò la mano destra verso di lei e le afferrò il braccio sinistro, con l’altra mano bloccò il braccio destro mentre cercava di gettare il suo corpo a terra. La stretta che poneva sul suo polso era insostentibile e Hilda, poco dopo, cedette, lasciando la presa della pistola. Nel fare ciò, tuttavia, sparò un colpo, il cui contraccolpo separò definitivamente i due. Hilda fu gettata a terra e Ethan ritornò in possesso della pistola, in piedi.
La ragazza si trovò senza appigli. Ricercò nella fioca luce della stanza un sostegno, che trovò nell’abajour del comodino in parte al letto. Fece pressione su di essa per tentare di alzarsi, ma come distendeva le gambe sentiva delle scariche di dolore partire dalle ginocchia e diffondersi su tutto il corpo.
Gli occhi di Ethan erano iniettati di sangue.
« Hai finito di vivere, Hilda… » borbottò, un cupo sorriso ad illuminare il suo volto come pronunciava quelle parole « Avresti dovuto accettare la mia proposta. Sarebbe stata una bella vita… almeno, più bella di quella che avevi. Più bella di quella che avresti mai avuto ».
« Zitto… ».
« E pensare che hai ucciso Louis solo per questo! Solo per tentare di avere delle informazioni da me… quanto puoi essere egoista? La soddisfazione di sapere valeva tanto una vita umana? ».
« Stai zitt—».
« E invece parlo, Hilda! La tua vita è una collezione di fallimenti, uno dietro l’altro. Prima N, poi Natalie, poi Louis… pensi che io non lo sappia? So tutto di te, Hilda. Ma purtroppo dovrò lasciarti andare col dubbio. Addio, Hilda ».
𐌳 𐌳 𐌳
Erika lasciò la presa del libro, che cadde a terra, e si fece strada oltre la scalinata che la separava dal pubblico sotto le occhiate confuse degli spettattori. A quella vista, Henry si alzò e la seguì, avendo cura di lanciare rassicuranti sorrisi alla folla che lo seguiva con lo sguardo ricercando una risposta.
Un leggero brusio si alzò nella sala.
« Erika! Erika! Dove stai andando? ».
« Non… non ce la faccio, Henry ».
Erika attraversò la sala ed in poco tempo si ritrovò sulla soglia dell’uscita, una quarantina di volti rivolti verso di lei.
« Scusate… scusatemi voi tutti, che siete venuti fin qua. Ma non è un posto per me ». La sua voce rimbombò per tutta la stanza. Era rotta e consumata dalla penuria di aria che giungeva alla bocca, tanto che ogni respiro era come fuoco riversato nella gola. « Scusate ancora ».
« Erika! Non puoi andartene così! ».
« Posso, Henry, ed è quello che sto facendo ».
Percorse le scale sotto le urla di Henry, che non esitò a seguire la sua scrittrice fino a raggiungere le striscie pedonali.
« Erika! Aspetta! ERIKA! ».
« Basta, Henry! Non hai capito che ne ho avuto abbastanza? Non ti è bastato quello che hai fatto? ».
« Eri—».
« È finita, Henry. Tutto questo, è finito. Nel giro di poche ore, ho perso due delle cose più importanti nella mia vita, e sopportare anche questo è troppo. Prima Lou, poi il libro… lasciami in pace. Hai avuto quello che volevi, ora avrai anche la notizia! “Giovane scrittrice di Anville scoppia a piangere e scappa dalla conferenza stampa”, non resterà più una copia in magazzino. Ma ora basta, ho finito di assecondare questa pagliacciata. Addio ».
𐌳
La camminata a casa fu per Erika un ottimo modo per metabolizzare quanto accaduto e ragionare sulla sua effettiva voglia di rimanere ad Anville. Cosa la tratteneva ancora là? Non aveva più motivo di restare, dopo che ogni cosa in cui credeva era stata distrutta, in un modo o nell’altro.
Era stufa.
Stufa di tutto quello che aveva subito, di ciò che aveva dovuto affrontare durante la pubblicazione del libro, stufa della sua vita. L’obbiettivo che si era posta all’inizio le sembrava così stupido, in quel momento: ad essere onesta, non ricordava di aver avuto un obbiettivo per molto tempo. Ogni ricordo precedente della sua vita le sembrava sfocato, come se non fosse mai esistita. Era anche da quel senso di insoddisfazione che aveva cominciato la creazione del suo libro. Prima che arrivasse la prima casa editrice di turno e glielo rovinasse.
Scosse la testa.
Prima di rendersene conto, era già arrivata a casa.
Il suo appartamento, un grigio palazzo all’incrocio fra due scarsamente trafficate vie, si ergeva di fronte a lei. Entrando, non poté che non notare uno strano ragazzo schiacciare uno dei nomi sulla lista. Avvicinatasi, notò che era il suo, Erika Joy.
« Sta cercando Erika? ». Il ragazzo non rispose. « La sta cercando? ».
« … ».
« Com’è che ha detto, scusi? ».
« Ni— niente. È lei— è lei, Erika Joy? ».
Erika asserì. « Sì, sono io. Vuole dirmi chi è lei? ».
𐌳 𐌳 𐌳
Ethan premette il grilletto.
Il silenzio giaceva nella stanza.
Quando Hilda riaprì gli occhi, vide Ethan davanti a sé, stringere la pistola nella mano, senza che essa abbia avuto nessuno effetto. L’assenza del minimo rumore fra i due, troppo occupati a rendersi conto di quanto accaduto, generava una singolare atmosfera nella camera di hotel.
« Cosa cazzo? ».
Hilda si gettò sull’abajour che stava sul comodino e, impugnandola con tutta la sua forza, la fracassò contro il cranio del ragazzo, colto di sorpresa dalla rapida azione della giovane. Non fece in tempoo a liberarsi le mani dall’arma che Hilda era sopra di lui, ciò che rimaneva della lampada nelle sue mani ed un nutrito rivolo di sangue che sgorgava dal mento di Ethan.
I frammenti della ceramica erano andati ad incastrarsi su tutto il suo volto, occhi, guance e collo, aumentando considerevolmente il numero di orfizi da cui il liquido cremisi poteva uscire.
Alzo nuovamente quanto le restava in mano dell’abajour e la infilzò nel collo, venendo conseguentemnte investita da un getto di sangue improvviso che le bagnò tutti i suoi vestiti.
Ethan era morto.
𐌳
Aveva dato una lavata ai suoi vestiti, che erano comunque rimasti sporchi di quanto sangue aveva fatto in tempo a seccarsi sui suoi abiti, ed aveva gettato il corpo di Ethan giù per la finestra, sui cespugli che circondavano la piccola stazione, per poi scendere a recuperare il cadavere. Era bastato trascinare le sue gambe e sollevarle sino al balcone affinché, con una forte spinta, il resto scendesse trascinato dal peso.
Hilda si era messa in macchina, intenzionata a ritornare da Looker per avere le risposte che andava cercando, e, paradossalmente, la morte del ragazzo aveva acceso in lei il fuoco che da molto tempo si era spento nel suo cuore. L’adrenalina correva nel suo corpo, i suoi occhi, altrimenti stanchi, erano vispi e vigilanti. La sua sete di vendetta era forse più forte di qualsiasi altro sentimento avesse mai provato.
Fatta eccezione per l’amore che provava verso N.
A quel pensiero, si sentì quasi mancare. Non aveva tempo per pensare a Natural, per pensare a Louis. La scelta che aveva fatto era stata dura, ma quale altra opzione aveva? N era morto molto tempo prima.
La sua corsa fu arrestata da una macchina della polizia posta in parte al casello dell’entrata di Castelia.
Rallentò la macchina in prossimità della sbarra ma, con suo disappunto, la sbarra non si alzò. Il poliziotto poggiato sul cofano della sua macchina accese una torcia e la puntò contro Hilda, facendo cenno di abbassare il finestrino.
« Buongiorno signora, può scendere dalla macchina? ».
« Come scusi? Perché? ».
« È avvenuto un incidente in un motel lungo l’autostrada Anville Town–Castelia City e stiamo fermando ogni persona nelle uscite. Scenda dalla macchina, per favore ».
« Er… ho un impegno urgente ».
Il poliziotto sorrise.
« Ho paura che dovrà aspettare ».
« Oh… ok, ora scendo ».
Hilda allungò la mano verso la pistola, che giaceva nel sedile accanto al suo, e la nascose sotto la giacca. Sperava che chiudere il finestrino le desse un po’ di tempo per pensare a che mossa fare, ma ben presto si rese conto che non sarebbe riuscita a pensare ad una strategia in tempo.
Uscì dalla macchina, lasciando scivolare la pistola nel sedile vicino a lei.
L’ufficiale passò una mano lungo la sua giacca, e poi lungo i suoi vestiti, mentre l’altra reggeva la torcia.
« Bene, apra il cofano ».
Hilda andò nel panico.
« Ahem… aspetti che prendo le chiavi ».
Entrò con la testa dentro la macchina ed afferrò con la mano sinistra la pistola, per poi appenderla dentro l’elastico dei pantaloni. Con la destra sfilò le chiavi dalla toppa e raggiunse il poliziotto dietro la macchina.
« Forza, apra il cofano ».
« Er… ».
Infilò le chiavi nella toppa del cofano.
« Non… non si apre ».
« Come non si apre? ».
« È dura, non ho forza per aprirla ».
« Lasci, faccio io ».
Hilda si scansò e lascio passare l’uomo, che subito si chinò per tentare di aprire la serratura. Come lo fece, la ragazza estrasse la pistola dai pantaloni e, impugnando la canna, diede il calcio contro il suo cervelletto, casuandogli uno svenimento. Il corpo del poliziotto si accasciò sotto di lei, dopodiché continuo a colpirlo, a colpirlo ed a colpirlo, sino a che la vita spirò dal suo corpo.
Did I build this ship to wreck?
Angoloso angolo dell'autorevole ed autoritario autorePrima cosa, volevo dire a tutti gli haters che angoloso esiste, ok?
Seconda cosa, eccoci tornati con un altro capitolo!, che è quattro capitoli di DC... ma non importa. È per dare un'illusione che questa storia abbia effettivamente un climax: resta di stucco, è un barbatrucco! È una barbapalette di Jefree Star. Comunque, si va avanti. Hilda forse un po' meno, ma noi sì. Avrei piacere che ascoltiate questa canzone, che, in breve, è la canzone che appare durante la scena dell'auto. Una delle 20.000. Parlando di cose più serie, sono contento di come è uscito questo capitolo, anche se ho ancora molte riserve su tutto ciò che ci ho inserito dentro. Ma, come si dice, sbaglando s'inpara.
il vostro herr che tra parentesi per la prima volta nella sua vita ha sentito dire herr ad alta voce (ma non era riferito a lui)
[I totally just thought it meant like friend or, like, homie]
Commenti
Posta un commento