The Mad Hatter
Una storia di Myzat e John Hancock per il Courage Community Day.
Una storia di Myzat e John Hancock per il Courage Community Day.
Presenza di linguaggio scurrile, violenza e scene di sesso.
Per le persone facilmente impressionabili è consigliata la fuga.
(Si consiglia la lettura con in sottofondo la canzone: Charlie Puth – Done For Me Jazz Version)
11/1923
La vita a New York non era mai stata tanto piacevole come lo era negli ultimi anni, ovunque si rivolgesse lo sguardo vi erano uomini, donne, bambini dal volto illuminato di una comune irrefrenabile ilarità, e anche il fare da spettatore a quella che ormai era la normalità pareva soddisfacente.
Sui tetti già calava il buio, accendendo ancor di più gli animi della gente, e alcune note già coloravano l'aria secca di Novembre. Si potevano osservare, tra risate e schiamazzi, ragazzi ovunque, seduti sulle scale di un locale con le luci accese, a fare ascoltare la loro musica ai passanti, noncuranti del freddo che lentamente li circondava. Le guance tipicamente arrossate, le punte dei nasi fredde, ma tanto fiato per dar vita all'arte del jazz. Già si notavano alcuni bambini avvicinarsi, ballare e rimanere ammaliati da quell'immagine abbastanza comune, ma dal loro punto di vista meravigliosa e nuova.
Green si lasciò scappare un lieve quanto breve sorriso a increspargli le labbra leggermente screpolate, lui che guardava dall'alto del palazzo affacciato al balcone, era uno di quegli spettatori che amavano cercare i piccoli cambiamenti della società per commentarli nella loro mente, per nulla insoddisfatti dello spettacolo che avevano davanti. Portò il sigaro alla bocca e la nuvoletta di fumo si mischiò all'aria condensa, chiuse gli occhi ed ascoltò quel sottofondo musicale, stringendosi nelle spalle.
Green Oak era un uomo sulla trentina, una figura seria ed impenetrabile che pretendeva e riceveva rispetto. Non sorrideva spesso, e non parlava neanche molto, teneva più segreti che altro dentro di sé, e l'immagine che dava era di un uomo cortese, ma pieno di orgoglio e diffidenza. D'altronde, un contrabbandiere doveva pur essere discreto con la gente, e lui per natura ci riusciva bene.
"Non hai freddo, là fuori?" lo richiamò una voce calda e femminile, facendolo risvegliare da quella situazione statica dove i pensieri e le considerazioni personali lo riempivano, assieme ai suoi sigari.
"Non particolarmente, si sta bene" rispose, negando di aver sentito alcuni brividi sulla schiena pochi minuti prima. In effetti, portava una semplice camicia bianca, leggera e per nulla adatta al tempo che vi era fuori.
Si voltò, osservando la donna che aveva davanti e che era appena uscita dal bagno e lo aveva raggiunto nella camera da letto, coi capelli bagnati e un solo asciugamano a coprirle il corpo. Avrebbe potuto affermare, tra le tante cose di cui era sicuro, che quella era una provocazione. Sabrina in ogni momento lo avrebbe sempre provocato, perché lei ormai sapeva meglio di chiunque altro come intrattenere il suo uomo.
Bastavano degli sguardi, un sorriso, un movimento più audace e Green perdeva la sua compostezza.
Si erano conosciuti per affari, lui contrabbandiere e lei proprietaria di uno dei bar più frequentati negli ultimi anni. C'era stata intesa fin da subito, come una calamita lei era riuscita ad attirarlo a sé, fino a renderlo suo. Sabrina era una donna seducente, ed era sempre stata brava con gli uomini, persuasiva e scaltra com'era, aveva fatto breccia nel cuore anche di Green, che era l'uomo più complesso e schivo che mai avesse incontrato.
Certamente rendeva le cose più interessanti, e anche più appagante la sensazione di averlo vicino. Ed era anche diverso il sentimento che provava verso quell'uomo, lo amava come amava la sua stessa vita, e non avrebbe mai desiderato qualcun altro se non lui al suo fianco.
Lei sorrise seraficamente e gli fece cenno di chiudere la vetrata, sentendo ovviamente freddo. Green non si fece problemi, ma lasciò la finestra semi aperta, in modo da poter sentire ancora la musica di quei ragazzi nelle orecchie. Ma c'era un particolare molto importante in quelle azioni meccaniche dell'uomo: non le aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un secondo.
"E' già buio" constatò Sabrina, tenendo con una mano l'asciugamano e avvicinandosi a Green.
"Tra un po' dovrai aprire il bar, no?" chiese, passando un braccio sui suoi fianchi.
"Quello può aspettare" rispose mefistofelica, posandogli le braccia al collo e lasciando che il tessuto cadesse a terra. Green schioccò la lingua e si avventò sulle labbra della donna, quasi come se avesse aspettato quel momento dall'inizio della conversazione, e in effetti non era completamente errata quell'ipotesi.
La spinse sul letto, baciandola ancora e stringendo uno dei seni. Sabrina lo lasciò fare, inarcando la schiena e sbottonandogli la camicia. Passò le mani sul suo petto tonico, e con le dita cominciò a tracciare delle linee immaginarie, poi gliela levò del tutto e cominciò a graffiargli la schiena.
Sapeva come farlo sospirare, come farlo animare più del dovuto. Ed era bellissimo guardarlo, specchiarsi in quelle due pozze di smeraldo e sapere che quegli occhi fossero proiettati solo su di lei, nuda o no, e che si appartenevano a vicenda. Non avrebbe mai desiderato trovarsi in un altro posto se non lì, sotto quel corpo caldo e schiava delle sue labbra che correvano sulle sue forme, e risalivano sulle sue, mordendogliele, leccandogliele.
In quel momento dove la lussuria ormai li aveva accesi i loro corpi si univano, e la musica che li accompagnava era benzina sul fuoco già creatosi in precedenza.
Green appoggiò la schiena sulla testiera del letto e lasciò che lei si avvicinasse sensualmente, strusciando la propria intimità con la sua; la baciò di nuovo, passando una mano sui suoi capelli umidi, dai quali alcune goccioline cadevano sulle spalle. Con un colpo di reni entrò dentro di lei, facendola sussultare. Cominciò a muoversi, ancheggiando e leccandosi famelicamente le labbra, conscia dell'effetto che aveva su Green quel gesto, e lentamente il ritmo delle spinte aumentava, come l'eccitazione del castano e la voglia di non smettere mai, di amarla sempre di più.
Le spinte erano sempre più veloci e irregolari, e Sabrina già sentiva il primo orgasmo sconquassarla, seguito poi da altri ancora più violenti ad annebbiarle la mente, per poi venire nuovamente insieme, sussurrando i loro nomi, stremati.
Sabrina stava davanti allo specchio, acconciandosi al meglio i capelli e poi allisciando il vestito nero e con le frange nella parte finale. Green invece si era rimesso la camicia, e sopra una giacca nera ed i pantaloni del medesimo colore.
Si accese un altro sigaro nella calma del momento e nel mentre che cercava una cintura adatta trovò un album di fotografie nel secondo cassetto del comò, sotto la biancheria di Sabrina. Non aveva molto tempo per poter perdere tempo a dire il vero, a breve avrebbe dovuto raggiungere degli uomini per aiutarli con un importante carico, eppure la copertina dell'album aveva catturato la curiosità dell'uomo che, notando la spiaggia, il mare e le palme ipotizzò fossero le foto del suo viaggio ai Caraibi, quando loro ancora si frequentavano e non vi era nulla di serio nella loro relazione.
Erano passati parecchi mesi da allora, e se lo ricordava bene poiché in quell'assenza di due settimane, capì di essere davvero attratto da lei per via della mancanza che sentiva non potendola vedere o sentire.
Si sedette sul letto col sigaro in bocca, e buttò fuori il fumo dal naso, cominciando a sfogliare l'album.
Erano davvero delle belle foto, la maggior parte di paesaggi e di vari locali particolari, tuttavia non rimase troppo sorpreso da esse, anzi, sfogliò più velocemente annoiato da quelle foto tutte simili tra di loro, e si concentrò su una in particolare, raffigurante Sabrina all'ombra di una palma con un altro uomo. Parevano intimi, talmente tanto che in quella successiva si stavano baciando. Green chiuse l'album e lo lanciò sul letto, sentendosi pervadere da quel sentimento che non era solito provare ma che in quel momento lo stava mandando a fuoco: la gelosia. Fece finta di ignorare la questione e prese la cintura, mettendosela.
Sabrina era pronta, e a minuti sarebbe scesa ad aprire il bar. L'orologio segnava le sette e mezza di sera, quindi si avvicinò al suo uomo per potergli scoccare un ultimo bacio e salutarlo, ma la reazione che vide fu talmente improvvisa che lei non seppe come reagire; ebbene l'aveva spinta, senza alcuna forza, quel che bastava per evitarne il contatto.
"Che succede, Green?" chiese, sfarfallando le lunghe ciglia nere ed incrociando le braccia sul seno. Green le rispose con un cenno del capo, indicando l'album di fotografie gettato sul letto, sul letto dove prima avevano fatto l'amore.
"Avevi un altro. Ce l'hai ancora?" Sabrina sbarrò gli occhi, prendendo l'album in mano e andando alla foto a cui Green si riferiva. Respirò pesantemente, sentendosi in colpa. In effetti aveva avuto una relazione durante il periodo in cui si frequentava col castano, eppure dopo il fidanzamento ufficiale non aveva mai avuto pensieri per altri uomini.
"No, non ce l'ho. Lui non lo vedo da quel viaggio" rispose calma, come sempre.
"Devo crederci? D'altronde, se non c'è lui non significa nulla; gli uomini non ti sono mai mancati" fece alludendo al suo modo di atteggiarsi coi suoi clienti. Non gli era mai andato bene quel suo essere seducente con gli altri, ma aveva sempre chiuso gli occhi conscio che fosse una parte integrante del suo carattere, e che non potesse o semplicemente non volesse cambiarla in alcun modo, dandole anche fiducia sulla fedeltà.
Ma adesso, non sapeva più cosa pensare. Lo aveva tradito ancor prima che loro si mettessero insieme, pareva comico e allo stesso tempo tragico.
"Non mi sono mai mancati, ma non sono stata io a chiederli. Ho sbagliato quella volta, ma è stata l'unica volta. Puoi credermi su questo?".
"No, non posso. Ti è sempre piaciuto avere gli occhi di tutti puntati su di te, pensi che non abbia mai notato nulla? Pensi che con qualche discorso io possa abbassare la testa nuovamente? Vaffanculo Sabrina" sbottò prendendo il portafogli dal comodino, e uscendo dalla stanza in preda all'ira.
Sabrina lo chiamò, lo richiamò più e più volte, alzando pure la voce. Ma niente, Green non aveva voluto sentir ragioni ed era uscito dal palazzo per prendere un taxi.
Lui amava Sabrina, ed era proprio per questo motivo che si sentiva completamente ferito. Le aveva dato fiducia, e lei aveva mentito dal principio; poteva mai credere a una donna come lei, che oltretutto era anche audace e provocante verso tutti?
Sospirò, e per sbollire la rabbia si accese l'ennesimo sigaro, perdendosi tra le persone che sorridevano, e quando nella sua mente vi era solo il caos assoluto quel paesaggio, altrettanto scombinato, era incredibilmente fastidioso.
(Si consiglia la lettura con in sottofondo la canzone: Louis Armstrong – Riverside Blues)
L’insegna con i neon blu e viola, recitante “The Mad Hatter” risplendeva, come ogni sera, dalle diciannove in poi, fino a che anche l’ultimo cliente non si fosse sentito soddisfatto. Le luci venivano riflesse dalle vetrate poste di fianco alla porta d’ingresso, andandosi a irradiare tutt’attorno, sul marciapiede e sulla strada. Sabrina varcò l’ingresso, salutando i baristi che si occupavano del bar esterno, quello di facciata, dove non venivano serviti alcolici e il cui accesso era concesso a chiunque avesse soldi da spendere.
Superò tranquillamente il bancone, passando dalla porta che dava sul retro, nel magazzino. Una volta dentro aggirò un paio di scatoloni, trovando uno dei suoi uomini in completo nero che l’aspettava.
“Buona sera, Signora” la salutò lui.
“Sera Michael. Tutto tranquillo?”.
“Sì Signora. La band sta già suonando, mentre i primi ospiti si sono accomodati ai tavoli. August e Fat Tony sono entrambi giù, li ho sentiti discutere sui termini per l’armistizio tra le loro famiglie”.
“Perfetto, grazie mille. Qualsiasi problema, non farti scrupoli nel richiamare gli altri dall’interno”.
“Certamente, signora” il suo bodyguard afroamericano le fece strada, aprendo la pesante botola a due maniglie e rivelando il passaggio sotterraneo nascosto, non rivelato sulla piantina dell’edificio. Sabrina scese le rampe di scale e percorse il lungo corridoio costellato, a entrambi i lati, da dipinti e statue che aveva riunito lì con molta fatica e innumerevoli dollari, quasi tutto frutto delle aste sul mercato nero.
Arrivò alla fine del corridoio, dove si trovava la porta che dava sul suo vero bar, protetta dalle due enormi riproduzioni di Alakazam, poste a guardia dell’ingresso. Salutò Daisy, la ragazza addetta al guardaroba per quanto riguardava cappotti e armi, seduta al suo bancone con le proprie guardie del corpo. Notò con piacere che Daisy, sotto suo suggerimento, stava indossando il tailleur verde chiaro, il quale metteva in risalto il colore dei suoi occhi, un paio di smeraldi. Le sorrise, annuendo il suo consenso.
Bussò sulle doppie porte, e quelle immediatamente furono spalancate per lei. Era di nuovo nel suo regno, dove lei era la regina.
Nonostante si trattasse di un luogo sotterraneo, ricavato da una grossa grotta in cui per molto tempo erano stati fatti scavi e modifiche, il “The Mad Hatter” non aveva nulla da invidiare ai migliori bar d’America. Sabrina scese le scale intagliate nella nuda pietra, facendo scivolare una mano sul corrimano. Arrivò in fondo, nell’unica, grande sala circolare che costituiva il suo regno. Il grande palco occupava tutto un intero lato della sala, con alla sua destra il lungo bancone, dietro il quale i barman già si preparavano le varie bottiglie di alcolici, pronti per servirli alla prima richiesta. I tavoli occupavano lo spazio subito prima del palco, lasciando tuttavia una moderata distanza fra i due, nel caso qualcuno avesse avuto voglia di ballare. Infine, dietro i comuni tavoli, si trovavano le carambole, i tavoli da poker e per qualsiasi altro possibile gioco d’azzardo. Lungo tutte le pareti, subito sotto i grandi dipinti affissi sulla nuda roccia, c’erano decine e decine di scaffali stracolmi di bottiglie di alcol, sigarette e sigari di ogni genere e marca, e ogni dieci metri vi era un cameriere pronto a servire la clientela.
Sabrina andava molto fiera di ciò che era riuscita a costruire lì, dove tutti gli uomini di potere potevano incontrarsi, discutere di affari o semplicemente prendersi una sbronza come dio comanda. C’erano voluti anni per diffondere il nome del “The Mad Hatter”, facendolo arrivare dove contava grazie anche all’appoggio di Giovanni, il capo mafia per eccellenza lì a New York, ma alla fine il tutto aveva dato i suoi risultati: il suo bar era diventato una zona franca, dove erano vietati ogni tipo di violenza e di armi.
Tutti rispettavano doverosamente le poche regole del suo regno, lasciando i torti e gli odi fra famiglie, bande o città intere, rigorosamente fuori dalle sue porte. Sapevano benissimo cosa succedeva a chi non rispettava la pace una volta messo piede lì dentro, e i pochi che avevano osato sfidarla adesso stavano facendosi una bella nuotata nel fiume, con un paio di scarpe in cemento su misura.
Passò volontariamente di fianco al tavolo dov’erano seduti August e Fat Tony, intenti a discutere fra di loro come dividersi le strade di Brooklyn. Lasciò che i due si togliessero i cappelli in segno di rispetto e la salutassero, rispondendo solo con un semplice e sobrio accenno di sorriso. Sfilò di fianco a loro, conscia degli sguardi che l’avrebbero seguita finché possibile. Bella e irraggiungibile, ecco ciò che chiunque pensava, al suo passaggio. Non c’era un solo uomo immune al suo fascino, eppure nessuno di loro aveva mai osato più del dovuto, consci del tipo di donna con cui avevano a che fare. Per non parlare di Green, il suo uomo, calmo quanto letale con le sue revolver. Giravano voci sul famoso contrabbandiere, secondo cui riusciva a colpire il collo di una bottiglia di whiskey da una distanza di cento piedi.
Arrivò ai piedi della scalinata posta di fianco al palco, dalla quale si raggiungeva la terrazza riservata a lei e i suoi ospiti d’onore. Quella sera, a occupare una delle poltrone al suo fianco, ci sarebbe stato King Oliver, arrivato lì sotto suo personale invito, da Chicago.
Lui la stava già aspettando di sopra, affacciato sulla terrazza, appoggiato al marmo bianco che ne incorniciava il perimetro. Per l’occasione aveva scelto di indossare una camicia bianca su di un paio di pantaloni grigio chiaro, con un gilet abbinato, dello stesso colore, e la sua intramontabile cravatta, con la quale probabilmente andava anche a dormire. Lui si alzò appena la vide, la sua figura nettamente in contrasto con il porpora scuro delle tende che racchiudevano il privé con un delicato abbraccio, al tempo stesso materno e sensuale.
“Mia signora, sei sempre la più bella” il bianco sorriso di lui parve irradiare luce propria.
“Joe, quanto tempo che non ci vediamo. Come sta tua sorella?”.
“Bene, grazie. Vedo che questo posto non smette di crescere, sbaglio o il palco è molto più grande rispetto all’anno scorso?”.
“Lo abbiamo allargato questa estate. Speravo di poterti offrire di salirci, qualche volta. Hai intenzione di suonarmi qualcosa, questa sera?”.
“Oh no, piccola mia. Oggi sono in vacanza, sono qui solo per godere della tua compagnia, ma non preoccuparti, ho portato con me uno dei miei migliori allievi”.
“Chi?” chiese Sabrina.
“Il ragazzo alla tromba, si chiama Louis Armstrong, credo abbia davvero del potenziale”.
King Oliver le indicò il musicista, intento a scaldarsi insieme alla band, scambiandosi un paio di battute con la pianista. Subito dopo il ragazzo si lasciò andare con un assolo per niente male. Le note iniziarono a rimbalzare nell’ambiente, amplificandosi sulla nuda pietra.
“Ho intenzione di produrre qualcosa con Louis” King Oliver rise.
“Stasera, e solo perché sei tu, gli ho suggerito di suonare ciò a cui abbiamo lavorato finora, forse registreremo proprio questa. Si chiama ‘Riverside Blues’. Ci tengo a conoscere il tuo parere”.
“Non male il ragazzo, vediamo un po’ come se la cava”.
Sabrina si alzò e si diresse alla balconata, appoggiandosi al bianco marmo. Uno dei suoi camerieri la raggiunse immediatamente, appoggiò un sottobicchiere alla sua destra, vi appoggiò un bicchiere in cristallo e lo riempì con un Bourbon invecchiato di quarant’anni, il suo preferito.
Sabrina avvicinò con lentezza studiata il bicchiere alle sue labbra. Un gesto sensuale, intimo, come una carezza a un amante un attimo prima di un bacio passionale, di quelli che ti sconvolgono l’anima, fanno esplodere musica e colori attorno a te, portando la luce di mezzogiorno anche nelle strade più buie di mezzanotte. Inevitabilmente i suoi pensieri stavano dirigendosi verso di Green, e la cosa le fece non poco male.
Chiuse gli occhi per un istante, stringendo con la mano sinistra il corrimano a cui era appoggiata. Fece un respiro profondo e cercò di sintonizzarsi sulla musica che, lentamente, stava nascendo all’interno del suo locale. Riuscì ad accantonare per un attimo il pensiero di Green, proprio quando i suoi ospiti stavano iniziando ad arrivare.
E lei, dall’alto del suo regno, li salutò, sorridente e bellissima.
Green aveva preferito camminare, quella sera. Doveva digerire quello che era successo solo un paio di ore prima. Abbandonò il Brooklyn Heights, diretto verso l’East River, dove aveva appuntamento con uno dei suoi fornitori e gli uomini di Giovanni, a cui sarebbe dovuto andare il carico. Quasi per sbaglio il suo sguardo venne attratto da un orologio di un passante qualunque, una semplice altra ombra per le strade.
“Merda!” bestemmiò ad alta voce, accortosi di quanto fosse in ritardo.
Infilò due dita in bocca e proruppe in un sonoro fischio, richiamando l’attenzione di un tassista che, con una derapata, frenò, fermandosi a una decina di metri più avanti di lui.
Green non perse tempo e si lanciò all’interno della macchina giallo matto.
“East River, molo sei” chiuse rapidamente lo sportello dietro di sé, rischiando di chiudersi una caviglia nella ferraglia.
Il tassista, un uomo sulla cinquantina, annoiato della vita e dell’esistenza, annuì sfaticatamente. Si rimise nella carreggiata senza utilizzare la freccia e iniziò a frugare all’interno del portaoggetti.
Green si concesse un attimo per rilassarsi, pensare e riflettere sugli ultimi avvenimenti. Non poteva credere che Sabrina fosse stata capace di tanto. Lui sapeva benissimo il tipo di donna che era, eppure gli era sembrato che tutto fosse cambiato, dal momento in cui lui l’aveva conosciuta.
Lei gli aveva assicurato di essere cambiata, e aveva perso il conto del numero di volte in cui lei gli aveva dimostrato di non avere occhi se non per lui.
Il tassista trovò finalmente ciò che stava cercando. Facendo sbandare l’auto, estrasse una sigaretta dal pacchetto e se l’accese con un fiammifero. Immediatamente l’abitacolo venne infestato dal fumo che usciva dalle narici e dalla bocca dell’uomo calvo, un po’ sovrappeso e con una tosse che poteva essere scambiata per lo scoppio dei pistoni del motore della sua vecchia auto.
Green abbassò un po’ il finestrino, quanto bastava per poter respirare una boccata d’aria pulita senza rischiare di congelare per colpa del freddo invernale. Già aveva avuto troppi problemi a causa sua, quando la nave con le scorte di alcolici per Giovanni aveva tardato di ben tre settimane a causa di ghiaccio nel mare lungo la costa. Gatsby, il suo amico in affari, aveva dovuto fare uno scalo d’emergenza quando lo scafo della sua nave aveva rischiato di spezzarsi in due; riparlarla aveva chiesto più tempo di quanto pensassero, il che ovviamente non era piaciuto affatto a Giovanni, il capo mafia della zona di Brooklyn in cui vivevano lui e Sabrina, così potente da avere anche il rispetto della polizia e la sua più che totale omertà ogni volta che lui o i suoi erano invischiati in qualcosa.
Green sentì le mani vibrare, mentre andava a scavare nelle tasche interne del suo cappotto. Sfiorò con le dita della mano destra la revolver nella fondina ascellare che teneva alla sua sinistra; il contatto col freddo acciaio lo rassicurò.
Cercò la confezione di sigari, aveva proprio bisogno di fumare quella sera. I problemi al lavoro lo avevano spinto sull’orlo di una crisi di nervi, senza contare il fatto che Sabrina s’era aggiunta alla lista di problemi, e alla pressione che gli opprimeva il petto.
Finalmente le dita si richiusero attorno a una piccola confezione, e Green estrasse immediatamente la mano dalla tasca del cappotto. Nel frattempo, il tassista stava imprecando contro un gruppo di ragazzi in festa che aveva deciso di fare una piccola sosta dal loro party in mezzo alla strada, dove uno di loro aveva iniziato a vomitare.
Green distolse lo sguardo, con lo stomaco ancora in subbuglio. Fece per aprire la scatola, distrattamente, quando si accorse che non si trattava dei suoi sigari. Estrasse l’anello di fidanzamento dal suo alloggio, facendo ben attenzione a non far sciupare il velluto color porpora, una delle tonalità preferite di Sabrina.
Avrebbe voluto darglielo quella sera stessa: il programma era di scaricare quel carico per conto di Giovanni, ritornare al bar e, invece di aiutare i baristi come sempre, salire sul palco con Sabrina, per poi darle l’anello una volta rimasti soli nel locale. E poi fare l’amore con lei, su ogni tavolo e superficie possibile. Le avrebbe chiesto di andare in vacanza con lui. Le avrebbe detto che quel viaggio in Europa, visitando le città italiane, avrebbe finalmente voluto farlo con lei.
Si girò fra le dita il piccolo cerchietto d’oro, così sottile e delicato, un po’ come la sua donna lo era per lui.
“Che cazzo stai facendo?” pensò fra sé e sé.
Per qualche attimo il suo cervello parve spegnersi, per poi riattivarsi subito dopo, con un’idea in mente che era apparsa con la stessa potenza, e senza preavviso, come una folgore a ciel sereno.
“Non ti conosceva neanche bene. Tu per lei eri solo la scopata del sabato sera, dopo la chiusura del bar. E lei era lo stesso per te. Era ovvio che lei avesse un altro, bella com’è. Però poi è cambiata, te ne ha dato prova”.
Green si sentì invadere da uno strano calore alle viscere, un misto di paura ed eccitazione, mentre l’idea di correre indietro, tornare dalla sua donna per baciarla, possederla e farla sua, s’insinuava all’interno del suo cranio.
“Fanculo il carico”.
“Hai detto qualcosa, compare?” chiese il tassista.
Forse Green non aveva parlato sottovoce come credeva.
“Sì, torna indietro, Brooklyn Heights, al centosettant’otto, sulla 7th Avenue”.
Green quasi si lanciò fuori dal finestrino del taxi, lasciando nella mano del tassista una banconota da cento dollari, più che abbondante per il suo tragitto. Si lanciò verso il retro del “The Mad Hatter” quasi senza dare il tempo a Michael di aprire il passaggio verso il cuore del bar.
Daisy lo vide arrivare da lontano, e fece segno a degli ospiti di farsi da parte. Arrivato in prossimità del banco della ragazza, le porte del locale erano già spalancate per lui.
“Grazie!” le urlò, non sicuro che le sue parole fossero giunte a destinazione. Scese in fretta la scalinata, zigzagando fra le centinaia di persone lì presenti.
“Siete tutti molto gentili. Vorrei ringraziare tutti voi per la magnifica serata. Ringrazio la bellissima Sabrina per averci dato l’occasione di suonare qui da voi. Vi propongo ora un pezzo del tutto nuovo, io e King Oliver avevamo intenzione di registrarlo, quindi fatemi sapere cosa ne pensate, ok?” Green notò il trombettista della band che stava facendo un rapido discorso al pubblico, dando così il tempo ai suoi compagni di riprendere fiato e farsi un goccio.
Il pianoforte prese a suonare, ma Green era troppo occupato per accorgersi del tipo di melodia che stava suonando. Si fece largo fra la folla di persone. Sembrava che tutti stessero fumando lì dentro, e una nuvola persistente di un grigio sporco aleggiava nell’aria, tutt’attorno alle teste degli ospiti, andando a levarsi fino al soffitto.
La tromba entrò a far compagnia al piano, proprio mentre Green si districava fra i tavoli del gioco d’azzardo. C’erano risa nell’aria, e l’odore dell’alcol ne accompagnava le tonalità. Al tavolo del poker vide Fat Tony ridere a crepapelle, mentre il banco gli passava tutte le fiches di August, battuto di nuovo. I due sembravano aver raggiunto finalmente un accordo, e ora gli uomini di entrambi si ubriacavano, mentre le cameriere con vestiti succinti sfilavano fra di loro, ammaliandoli e fregandoli, vendendo alcol su alcol.
La batteria s’aggiunse all’orchestra, e così fecero anche tutti gli altri strumenti, creando una melodia che, se Green ci avesse prestato orecchio, l’avrebbe rapito senza alcuna difficoltà. La gente stava iniziando a scaldarsi, muovendosi agitata per ballare, occupando tutti gli spazi possibili fra il palco e i tavoli. Sentì qualche ragazza urlare “Ti amo, Louis” al che il trombettista rispondeva con una fugace improvvisazione, assecondato dai suoi compagni. Green scavalcò letteralmente un gruppo di ragazze intente a far bere una grossa bottiglia di gin a un loro povero compagno, steso per terra.
Arrivò finalmente dall’altro lato della sala, ai piedi delle scale che portavano al piano rialzato dove era sicuro di trovare Sabrina. La guardia alla base lo riconobbe subito e lo fece passare.
Salì i gradini a tre a tre, giungendo in niente sulla balconata. I salottini erano tutti pieni, per lo più uomini influenti con le loro donne, o con donne di altri uomini influenti. I capi di praticamente tutte le bande di New York erano lì, affianco ai quali si trovava il sindaco, diversi capi della polizia e fra di essi Green riconobbe anche qualche divisa dell’aeronautica. L’ambiente elitario lo si poteva percepire, lo sentivi già dall’aria e dall’odore del finissimo tabacco costoso che tutti stavano fumando, accompagnato da litri di champagne, vino italiano e qualsiasi bottiglia superasse i mille dollari al pezzo.
Sabrina era, come sempre, affacciata alla balconata, intenta a scrutare il suo regno. Green sentì il cuore battergli sempre più forte, mentre il suo sguardo scivolava sulle forme sinuose della sua donna. I suoi occhi le percorsero la schiena, le accarezzarono i capelli e la strinsero attorno alla vita, mentre lui avanzava verso di lei. Nessuno gli parve dare retta. E perché avrebbero dovuto prestare attenzione a uno sporco contrabbandiere? Lui per loro era solo una pedina.
Arrivò di fianco Sabrina, allungò una mano a sfiorarle la spalla lasciata scoperta dall’abito e quella si voltò verso di lui.
Green notò una scintilla avvampare nei suoi occhi, alimentando il fuoco che gli donava il loro colore così inusuale, il rosso delle fiamme vive.
“Sabrina, io…” iniziò a parlare Green.
In quel momento la band stava volgendo verso la fine della loro canzone, Louis stava regalando un assolo prolungato al pubblico, che li acclamava a gran voce.
“Non c’è bisogno di dire nulla. È tutto ok” lei gli si aggrappò alle spalle e, tenendolo fermo, gli si avvicinò baciandolo con una delicatezza che Green non aveva mai visto.
“C’è una cosa che devo dirti, non può più aspettare”.
“Cosa?”.
“Mi vuoi sposare?” chiese Green, estraendo il cofanetto con dentro l’anello.
Nella penombra del locale, però, Sabrina non notò di cosa si trattasse.
“Che hai detto?” urlò lei, cercando di sovrastare il rumore provocato dagli applausi del pubblico.
La band aveva appena finito di suonare, e si stava godendo la standing ovation a lei dedicata.
“Ho detto, mi vuoi…” le parole di Green gli si strozzarono in gola quando sentì l’enorme boato, seguito a raffica da come delle esplosioni più piccole.
In un attimo, fu il caos.
(Ecco, ora spegnete la musica. Silenzio)
Green fece da scudo col suo corpo a Sabrina, mentre la gente impazzita correva in tutte le direzioni. I due caddero per terra, uno nelle braccia dell’altro, mentre la follia dilagava.
Ci furono altre esplosioni e, nonostante il riverbero causato dalle pareti in pietra, Green riconobbe il rumore causato dagli spari. Corse alla balconata, vedendo le guardie del locale impegnate in una sparatoria con degli uomini in nero. Fra di loro c’erano decine di cadaveri.
L’odore del sangue e della bile impregnò in poco tempo l’aria. Le grida dei morenti e le esplosioni della polvere da sparo andarono a sostituire la gioia e il calore del jazz.
Tutto questo non aveva senso per Green. Il Mad Hatter era la zona franca di praticamente tutta New York, nessuno poteva entrare lì armato, tantomeno provocare una guerriglia sparando sulla folla.
Green si sporse un po’ in più, notando che i membri della band avevano ora raggiunto le scale e si davano alla fuga.
Pensò che era un’ottima idea.
“Dobbiamo andarcene da qui” disse a Sabrina, dandole una mano ad alzarsi.
In quel momento il rumore degli spari cessò. Green intimò a Sabrina di fermarsi, e i due rimasero in ascolto, nascosti fra i mobili del privé.
“Sabrina, lurida puttana! Dov’è quel senzapalle del tuo ragazzo?”.
Green riconobbe immediatamente quella voce: Johnny Faccia Da Cavallo. Uno degli uomini di Giovanni, la sua mano destra.
“Resta qui” Green baciò Sabrina, per poi alzarsi.
Aveva le mani in alto, sulla testa, mentre si avviava a scendere le scale. Lì in fondo, in mezzo a una pila di corpi senza vita, c’era Johnny, la cui faccia aveva dato il suo soprannome: brutto, con i denti sporgenti e il viso allungato, il mento più lungo del normale e le narici tanto larghe da sembrare lo scarico di una locomotiva. Il suo aspetto orribile era nulla, però, in confronto con i suoi occhi, i quali sembravano quelli di un pazzo in procinto di fare una strage. Stava trascinando per i capelli Daisy, noncurante delle ferite che la ragazza si stava provocando mentre strusciava sui cocci di vetro.
“Sei un uomo morto, senzapalle. Dov’eri? Hai dimenticato il nostro appuntamento?”.
“No” Green si sforzò con tutto sé stesso per non allungare le mani verso le fondine delle revolver e crivellare quell’idiota di colpi.
“Quel bastardo del tuo amico non ha voluto venderci la partita di alcol. Ha detto che di noi non si fida e che senza di te non avrebbe fatto nulla. Si è rifiutato anche di portare la nostra eroina al di là del fiume”.
Johnny sputò per terra, volontariamente sul viso di un giovane ragazzo africano, un cameriere in prova, lo stesso che Green aveva raccolto dalla strada pochi giorni prima. La rabbia iniziò a montare dentro di lui, ma doveva cercare un modo per evitare uno scontro a fuoco. Loro erano sette, e lui da solo, allo scoperto e senza riparo.
“Deve ringraziare Giovanni che è troppo buono, se respira ancora. Ma tu… tu ora verrai con noi, così potrò spellarti per bene prima di darti in pasto ai miei amici pesci”.
“Gatsby ha fatto bene a non vendervi la roba. Una cosa è l’alcol, un’altra è l’eroina. È stato Giovanni a mandarti qui?”.
“Certo che no, lui non si sporca le mani con questioni così ridicole. Gli porterò la tua testa come souvenir”.
Green iniziò a ridere, cercando di sembrare quanto più naturale possibile.
“Sei un uomo morto, Johnny. Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Questa era la zona sicura di tutta New York. Hai una minima idea di quanti ti cercheranno, per tagliarti un pezzetto al giorno fino a ucciderti, per aver distrutto la loro sicurezza, aver ucciso i loro parenti e amici? Forse sarà proprio Giovanni a ucciderti” cercò di prendere tempo, lui, con le parole.
Fece un segno impercettibile a Daisy, dicendole di andare a destra. Era già riuscito a fare un passo indietro, verso le scale.
Loro erano sette, ma lui aveva ben dodici colpi. Avrebbe anche potuto giocare un po’ con loro. Se solo fosse riuscito ad andare un po’ più indietro.
La distrazione avvenne nel modo in cui lui meno se l’aspettava. Daisy si districò dalla presa di Johnny e gli morse il polpaccio. Lui gridò di dolore e puntò la pistola verso la ragazza. Sparò, e il cervello di lei andò a unirsi ai corpi giacenti per terra. Green ci mise poco per riprendersi dalla sorpresa e in un attimo estrasse le sue due calibro trentotto. Sparò dritto alla testa di un uomo di Johnny, mentre l’altro proiettile andò a colpire quest’ultimo all’altezza del cuore, uccidendolo all’istante. Lo scompiglio raggiunse i restanti cinque, mentre Green approfittò dell’attimo per risalire le scale. Salendo sparò altre due volte, colpendo uno dei restanti cinque, ormai quattro.
Uno di loro prese il proprio Thompson con caricatore a tamburo e iniziò a sparare verso di lui. Le schegge di legno volarono ovunque mentre Green saltava al riparo dietro lo stesso tavolo dove si trovava Sabrina.
I due non proferirono parola, e lei capì di dover restare al coperto. Green iniziò a rispondere al fuoco, facendo fuori altri due uomini dei quattro.
Le nuvole di fumo, rese rossastre dal sangue presente nell’aria, gli ostruirono la vista, dando la possibilità agli uomini di Giovanni di scomparire per un attimo.
“Dove sono?” urlò Green.
“A destra!” Sabrina indicò con una mano, ma lui immediatamente le fece scudo col proprio corpo, ponendosi fra lei e il loro assalitore. Rispose al fuoco, obbligando l’altro a trovare riparo.
Sabrina cadde a terra, riversa su un fianco, alla sinistra di Green. Vide con la coda dell’occhio l’altro scagnozzo, intento a salire su un tavolo da poker, prendere la mira e prepararsi a sparare.
Erano entrambi sotto tiro, e quello stava puntando verso di Green che, troppo occupato a combattere con l’altro scagnozzo, non si accorse di nulla. Sabrina agì senza pensarci, e si alzò, inserendosi nella traiettoria di tiro. Sentì come un pizzico allo stomaco, poi venne colta dalle vertigini.
Green aveva appena colpito il suo avversario, facendogli saltare buona parte della testa, quando sentì un altro sparo. Si girò d’istinto, vedendo l’ultimo scagnozzo che lo teneva sotto tiro. Per fortuna l’aveva mancato.
In un istante, Green aggiustò la mira e sparò, colpendolo alla gamba all’altezza del ginocchio. Quello cadde urlante.
“Sabrina, tutto bene?” Green si voltò verso di lei, senza però riuscire a trovarla.
Volse lo sguardo intorno a sé, individuandola poco lontano, dietro di lui. Era distesa sulla schiena, il vestito macchiato di rosso sul ventre.
“No…”.
Il silenzio calò sulla sala.
Le si avvicinò e s’inginocchiò di fianco a lei, prendendole la testa e adagiandola delicatamente sulle sue gambe.
“No, no, no, no…” il panico gli afferrò le viscere.
Aveva bisogno di un medico, e di medicazioni. Ricordò del kit medico dietro il bancone e fece per alzarsi, quando lei lo bloccò, stringendogli la mano.
“Cosa…” venne interrotta da un attacco di tosse, mentre il sangue prese a colarle dalle labbra.
“Cosa volevi dirmi, prima?”.
“Ti amo. Volevo chiederti di sposarmi”.
“Perché non lo fai ora?” lei cercò di sorridergli.
Lui voltò lo sguardo verso dove aveva visto cadere il cofanetto. Allungò una mano, raggiungendolo solo con le dita. Lo tirò verso di sé e lo aprì davanti agli occhi di Sabrina. Ne estrasse l’anello e lo tenne in vista, in modo da poterglielo far vedere.
“È bellissimo. Avanti, non credo di avere molto tempo” Sabrina alzò la mano sinistra.
Green la prese delicatamente fra le sue, andando a infilarle l’anello all’anulare.
“È bellissimo. Credo proprio che lo terrò”.
Sabrina tossì di nuovo, strinse più forte la sua mano, nonostante la sua presa si facesse più debole ogni secondo che passava.
“Baciami”.
Lui fece come lei desiderava: s’inchinò verso di lei e la baciò con tutta la dolcezza che aveva in corpo.
Non seppe dire quanto durò quel bacio. Si ritrasse lentamente, quasi per paura di spezzare quel debole fiore che reggeva fra le mani.
Le accarezzò il viso, spostandole una ciocca di capelli da davanti agli occhi. Una sola, singola lacrima cadde dagli occhi di Green. Sabrina era morta.
La sua Sabrina. Per mano di un idiota senza un briciolo di rispetto.
Raccolse il corpo della sua amata con la delicatezza di una madre che vede per la prima volta il proprio figlio. La portò sul suo divanetto e lì l’adagiò, chiudendole gli occhi. Il silenzio venne interrotto dal lamento dello scagnozzo ancora in vita, quello che aveva sparato a Sabrina.
Green le diede un ultimo bacio e poi scese le scale, mantenendo una calma glaciale innaturale.
“Senti, io non so niente. È stata tutta un’idea di Johnny” provò a scusarsi, quello senza nome.
Ma l’uomo ormai senza anima non gli diede retta.
Lo alzò di peso, facendolo ululare di dolore, e lo mise a sedere su di una sedia.
“Dov’è?” chiese Green.
“Dov’è chi?”.
Green estrasse la sua revolver, abbassò il cane, e sparò nella gamba sana del senza nome, facendolo urlare di nuovo.
“La mia pazienza è finita. Dov’è Giovanni?”.
“Io… io non lo so!”.
Green scosse la testa. Prese una pistola da terra e scaricò l’intero caricatore nelle gambe dello scagnozzo.
“Non ho tempo! Rispondimi o ti stacco le gambe a furia di proiettili”.
“È… è a Manhattan, a Midtown, angolo fra la Fifth Avenue e la West sulla trentaquattresima strada! Lasciami andare, ti prego”.
“Certo, ti lascio andare adesso” prese la sua revolver e sparò dritto fra gli occhi del senza nome.
Lasciò cadere il cadavere, ancora fumante e sanguinolento, sul pavimento.
Iniziò a camminare, diretto verso il bancone principale. I cocci di vetro, le schegge di legno e i bicchieri rotti scricchiolarono sotto le suole delle sue scarpe, unico suono in un mondo ormai cieco e muto.
Spalancò il piccolo ingresso che dava sul retro del bancone e vi entrò. Prese una bottiglia di Bourbon del milleottocento ottantatré e si versò due bicchieri. Il primo lo raccolse, se lo girò fra le mani e lo alzò verso l’alto, in direzione di dove riposava il corpo della sua Sabrina. Dopodiché inghiottì il liquore in una sola volta. Il calore gli esplose fra le viscere.
Solo allora si guardò le mani, e si accorse di averle completamente ricoperte di sangue. Il sangue di Sabrina, ne era certo. Lui lo sentiva.
Prese il secondo bicchiere e lo rovesciò su di una mano. Utilizzò il liquore per pulirla quanto bastava e quindi passò all’altra, ripulendole entrambe. Dopodiché, si passò le mani fra i capelli, ravvivandoli e tirandoli tutti indietro, rimuovendo le ciocche ribelli dagli occhi e riportandoli al loro aspetto normale, seppur di normale, nell’aspetto di Green, ormai non c’era più niente.
Allungò una mano sotto il bancone e rimosse dai ganci il Winchester modello 1873 che lui stesso vi aveva sistemato. Raccolse anche la scatola di proiettili, e il suo vecchio cinturone. Vi ripose tutti i proiettili che riuscì a sistemarci, caricò le due revolver che pose nelle due fondine ai due lati del cinturone, controllò che il Winchester fosse carico, e poi si slacciò le fondine ascellari, lasciandole cadere per terra.
Tornò sopra da Sabrina, strappò un lembo di tenda e la usò per coprirle il corpo. Le diede un ultimo bacio, e poi si allontanò, non in grado di restare un momento di più.
“Ti troverò presto, amore mio”.
Green scese le scale e s’incamminò verso l’uscita. L’unico suono percepibile era quello delle sue scarpe, a contatto con i detriti sul pavimento, mentre rompeva vetri o faceva schioccare il legno.
Si mise il Winchester in spalla e superò la porta d’ingresso.
Con lui, solo silenzio.
Note D’autore
(Scrive Hancock)
Ok, questo per me è stato qualcosa di nuovo. Non uccidere persone, ormai lo faccio sei volte al giorno nelle mie storie. Sto parlando di una storia ambientata negli anni venti. Una cosa in cui non avrei mai pensato di cimentarmi. Eppure, eccola qui. Certo, con il contesto di mafia, jazz e Green, diciamo che si è un po’ scritta da sola. Spero per voi che abbiate letto seguendo i nostri consigli musicali, e abbiate rispettato la parte in cui ho detto di spegnere la musica. Altrimenti avete distrutto l’atmosfera che ho creato con tanta cura. E per colpa vostra è morto un piccolo bambino indifeso. Siatene orgogliosi.
Se invece non avete fatto tutto questo, siete delle brave persone.
Comunque, questa storia è stata un po’ una sfida, soprattutto perché come concetti da utilizzare avevamo la palma e il cavallo. ‘Ndo cazzo ce lo metto il cavallo in una storia mafiosa degli anni venti?
E poi ho avuto l’illuminazione, con Johnny Faccia Da Cavallo. Nessuno ha detto che doveva essere un vero cavallo. Andy ha riso un sacco quando gliel’ho detto. E mi ha detto che non sto bene con la testa perché penso ste cose. E vabbè, tutta invidia.
Anyway, spero che la nostra storia sia piaciuta a tutti voi. Sono davvero felice di far parte di questo collettivo, che oggi (spero che quella grassona di Andy pubblichi la storia il giorno giusto, sennò aggiustatevi da soli la data qui sopra citata) ha compiuto gli anni. Sia per la gentaccia che ho conosciuto, sia per le possibilità di pubblicazione date.
Spero sinceramente che continuiate a seguirci, ho bisogno di condividere la mia follia col mondo.
È un arrivederci, niente di più, non mettetevi a piangere. Ciao belli, e ora buone vacanze a tutti (più o meno).
Il vostro amichevole Hancock di quartiere.
(Scrive Myzat)
È stato traumatico tornare a scrivere di Pokémon. Onestamente non tocco questo fandom da Aprile, quindi è stata dura soprattutto perché amo procrastinare ed evidentemente sono la peggior persona con cui si possa collaborare, me lo dico da sola. E nonostante questo faccio parte del collettivo e, Gesù mi guarda male e anche Hancock e Andy lo fanno, ne sono particolarmente felice, sia per le persone che ho conosciuto (chi più, chi meno) sia per avermi fatto fare qualcosa di nuovo, dato che prima di entrare in Courage non ho mai collaborato con altri autori per via del mio disagio mentale.
Comunque si parlava di Green, e il mio amore verso di lui mi ha spinta ad aprire dopo mesi Word, e nonostante l’inizio per nulla convincente mi sono divertita abbastanza a scrivere qualcosa di diverso negli anni venti.
Spero che vi sia garbata, e se così non fosse non importa, almeno avete ascoltato della musica vera, e per me è una soddisfazione personale.
Ringrazio chiunque legga le nostre storie, come al solito fa piacere vedere che qualcuno le segua e le apprezzi.
E niente, non ho altro da dire, quindi bye bye.
Myzat.
(Scrive Hancock)
Ok, questo per me è stato qualcosa di nuovo. Non uccidere persone, ormai lo faccio sei volte al giorno nelle mie storie. Sto parlando di una storia ambientata negli anni venti. Una cosa in cui non avrei mai pensato di cimentarmi. Eppure, eccola qui. Certo, con il contesto di mafia, jazz e Green, diciamo che si è un po’ scritta da sola. Spero per voi che abbiate letto seguendo i nostri consigli musicali, e abbiate rispettato la parte in cui ho detto di spegnere la musica. Altrimenti avete distrutto l’atmosfera che ho creato con tanta cura. E per colpa vostra è morto un piccolo bambino indifeso. Siatene orgogliosi.
Se invece non avete fatto tutto questo, siete delle brave persone.
Comunque, questa storia è stata un po’ una sfida, soprattutto perché come concetti da utilizzare avevamo la palma e il cavallo. ‘Ndo cazzo ce lo metto il cavallo in una storia mafiosa degli anni venti?
E poi ho avuto l’illuminazione, con Johnny Faccia Da Cavallo. Nessuno ha detto che doveva essere un vero cavallo. Andy ha riso un sacco quando gliel’ho detto. E mi ha detto che non sto bene con la testa perché penso ste cose. E vabbè, tutta invidia.
Anyway, spero che la nostra storia sia piaciuta a tutti voi. Sono davvero felice di far parte di questo collettivo, che oggi (spero che quella grassona di Andy pubblichi la storia il giorno giusto, sennò aggiustatevi da soli la data qui sopra citata) ha compiuto gli anni. Sia per la gentaccia che ho conosciuto, sia per le possibilità di pubblicazione date.
Spero sinceramente che continuiate a seguirci, ho bisogno di condividere la mia follia col mondo.
È un arrivederci, niente di più, non mettetevi a piangere. Ciao belli, e ora buone vacanze a tutti (più o meno).
Il vostro amichevole Hancock di quartiere.
(Scrive Myzat)
È stato traumatico tornare a scrivere di Pokémon. Onestamente non tocco questo fandom da Aprile, quindi è stata dura soprattutto perché amo procrastinare ed evidentemente sono la peggior persona con cui si possa collaborare, me lo dico da sola. E nonostante questo faccio parte del collettivo e, Gesù mi guarda male e anche Hancock e Andy lo fanno, ne sono particolarmente felice, sia per le persone che ho conosciuto (chi più, chi meno) sia per avermi fatto fare qualcosa di nuovo, dato che prima di entrare in Courage non ho mai collaborato con altri autori per via del mio disagio mentale.
Comunque si parlava di Green, e il mio amore verso di lui mi ha spinta ad aprire dopo mesi Word, e nonostante l’inizio per nulla convincente mi sono divertita abbastanza a scrivere qualcosa di diverso negli anni venti.
Spero che vi sia garbata, e se così non fosse non importa, almeno avete ascoltato della musica vera, e per me è una soddisfazione personale.
Ringrazio chiunque legga le nostre storie, come al solito fa piacere vedere che qualcuno le segua e le apprezzi.
E niente, non ho altro da dire, quindi bye bye.
Myzat.
(Anonimo, ma mi firmerò lo stesso alla fine, non mi oriento ancora bene su questa piattaforma, per cui chiedo scusa)
RispondiEliminaBene, non è la prima storia che leggo su Pokémon Courage, ma non mi sono mai fatta viva in quanto a recensioni, principalmente per la mia insicurezza e la mia tendenza ad esprimermi in modo più fluido in inglese di quanto io non faccia in italiano. Ma adesso, direi che mi sono dilungata abbastanza in chiacchiere.
L'atmosfera cambia di continuo, rimanendo però sempre sulla stessa lunghezza d'onda: l'apertura con la descrizione di una serata fredda mi porta immediatamente lì, spettro invisibile che osserva il viavai cittadino degli anni Venti, in una città come New York che ritrova la sua vera essenza di notte.
I personaggi si adattano all'atmosfera, freddi come lo stesso ghiaccio ma capaci di rivelare un lato vulnerabile, quasi dolce, come le luci a neon del locale che fendono la notte: nonostante questa sia una AU, nessuno dei due autori commette un qualsiasi passo falso; i personaggi sono sempre coerenti con loro stessi, sia Green che Sabrina mantengono la stessa identica personalità che avrebbero nel manga, devo dire che è una delle qualità che personalmente apprezzo di più.
La musica, che ho sempre visto usata in altre storie come puro sottofondo, è qui usata quasi come un mezzo per rompere la quarta parete: i toni cambiano, partendo con un jazz che ho adorato, per poi lanciare quasi un segnale di avvertimento al lettore (azzardo, forse allo stesso Green) quando la scena inizia a farsi più intensa.
Avvertimento, sì: nonostante ciò, il lettore non può prevedere cosa accada dopo, come il locale - descritto con precisione magistrale, che evidenzia quanto gli autori siano esperti di quel periodo al punto da costruire con scie di inchiostro un palco da esibizioni, la scalinata che porta ai posti d'onore e tanto altro - possa diventare un luogo dove il sangue viene versato a fiumi, ma si resta fermamente convinti della vittoria di Green, fino allo spannung finale, che lascia il lettore interdetto, sconvolto da quel colpo di scena così poco prevedibile: il romanticismo, purtroppo terminale, tra Green e Sabrina arricchisce la storia di un'atmosfera ancora più cupa delle serate di inverno più fredde, dei bar più spogli, del fumo di sigari più denso.
Concludo questa recensione con una citazione da "Le Favole" dello scrittore romano Fedro, a cui subito la mia mente è volata nel gran finale della storia: "Elapsam semel occasionem non ipse potest Iuppiter reprehendere", tradotto "Neanche Giove potè recuperare un'occasione mancata".
Augurando ai due scrittori che questa AU riceva la spotlight che merita, porgo di nuovo i miei complimenti.
-ShipHeatRook
Premetto che questa è la prima recensione che io abbia mai ricevuto qui sul blog. Non sapevo neanche si potessero fare delle recensioni, qui. Proprio per questo ci ho impiegato un po' per rispondere, mi ero giusto collegato un attimo per controllare come stavano avanzando le nostre shot, e ho visto un '1' di troppo vicino il numero delle visualizzazioni.
EliminaSono davvero, davvero, davvero molto felice che ti sia piaciuta così tanto la nostra storia (Myzat ha sclerato non poco quando l'ho contattata per avvisarla). Non sai quanto fa piacere che sia stata apprezzata così tanto: c'è stata molta preparazione alle spalle, da parte di entrambi. Adoro il jazz e quell'epoca, quindi è stato anche un piacere per me andarmi a cercare la vita di Armstrong, vedere un po' cosa faceva in quegli anni, in modo da capire se potevo usarlo in qualche modo. La loro canzone, Riverside Blues, è stata ad esempio pubblicata verso Dicembre dell'anno in cui è ambientata la shot, così come sono veritieri tutti gli altri particolari.
So che risulterà banale a sentirselo dire, ma davvero hai rallegrato la giornata a entrambi. È sempre una grande soddisfazione quando qualcuno apprezza una tua creazione. Personalmente, ho sempre scritto per il gusto di farlo, aiutare Andy col blog è stato secondario, una specie di scusante per dare un senso a quello che faccio, quindi puoi immaginare che grande sorpresa è stata ritrovarmi con un commento così tanto positivo.
Ti ringrazio ancora per il tempo che ci hai dedicato e spero che continuerai ad apprezzare i nostri lavori nel futuro. I miei, però, maggiormente degli altri.
Un saluto da parte di entrambi.
- Jonh Hancock